Reddito di cittadinanza e reato di falsa dichiarazione: depositate sentenze di non luogo a procedere e assoluzione

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L’art. 7, comma 1 del D.L. 4/2019 stabilisce che chiunque al fine di percepire indebitamente il reddito di cittadinanza “rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni.”

La norma desta notevole preoccupazione per quelle persone che nel corso di quest’anno si sono viste revocare il reddito di cittadinanza per la mancanza del requisito di residenza decennale in Italia: spesso si tratta di persone straniere con redditi molto bassi che hanno fatto affidamento ai CAF per presentare domanda e che non erano a piena conoscenza dei requisiti di residenza al momento della compilazione dell’autodichiarazione. Oltre alla revoca del beneficio e alla richiesta di rimborso delle somme percepite, queste persone sono anche passibili di denuncia penale per falsa dichiarazione ex art. 7 d.l. 4/2019.

Negli ultimi mesi, tuttavia, ci sono stati segnali positivi dai tribunali: in diversi procedimenti penali i giudici hanno disposto il non luogo a procedere o l’assoluzione, ritenendo che il fatto non costituisse reato. Si tratta di due sentenze del Tribunale di Asti, rispettivamente del 26.04.2022 e del 26.09.2022, di una sentenza del Tribunale di Venezia del 24.05.2022, di una del Tribunale di Vercelli del 02.11.2022 e di una del Tribunale di Verbania del 16.11.2022.

Per pervenire alla conclusione di non sussistenza del reato, i giudici hanno prestato particolare attenzione alle circostanze in cui gli imputati avevano presentato domanda per il reddito di cittadinanza: in tutti i casi pervenuti davanti alla magistratura (di cui siamo a conoscenza) le persone accusate di aver reso false dichiarazioni erano arrivate in Italia solamente da qualche anno. Viste le loro difficoltà linguistiche e di comprensione della burocrazia italiana, si erano rivolte ad un intermediario, un CAF, per l’invio della domanda, a cui avevano anche sottoposto il permesso di soggiorno che evidenziava la mancanza del requisito. Sulla base di questi elementi, i giudici hanno escluso la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, ritenendo plausibile che gli imputati non avessero compreso a pieno la richiesta del requisito di residenza o quanto stessero dichiarando.

La GUP di Vercelli in particolare ha valutato che l’imputato “al momento della compilazione della domanda si trovasse in una condizione di ignoranza normativa scusabile e che gli operatori del CAF lo abbiano indotto in errore facendogli compilare una domanda che conteneva delle false dichiarazioni di cui loro, a differenza dell’imputato, erano consapevoli”. Rispetto a tale ignoranza normativa, la giudice osserva che “il principio cardine del nostro sistema penale secondo cui l’ignoranza della legge non scusa, infatti, […] deve trovare un temperamento nei casi in cui vi sia stato un tentativo di informazione e le persone preposte a fornirle non le abbiano date o abbiano date informazioni fallaci”.

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