Il Reddito di Cittadinanza (RdC) è una misura di contrasto alla povertà che prevede un sostegno economico per il reinserimento nel mondo del lavoro e l’inclusione sociale. Per i nuclei familiari composti esclusivamente da persone di età pari o maggiore ai 67 anni (o con componenti di età inferiore ma in condizione di disabilità grave) viene chiamato Pensione di cittadinanza.
In questa pagina, realizzata nell’ambito del Progetto LAW, abbiamo raccolto informazioni e materiali utili, elaborati sulla base delle segnalazioni ricevute dal Servizio Antidiscriminazione dell’ASGI.

Il materiale è disponibile in diverse lingue:
Français
I requisiti
Per ottenere il RdC è necessario rientrare in requisiti (1) di tipo economico, (2) di cittadinanza o titolo di soggiorno, e (3) di residenza.
Il limite massimo ISEE per accedere al RdC è di 9.360 euro, a cui bisogna aggiungere ulteriori limiti relativi al reddito, al patrimonio, ai beni di proprietà.
Possono accedere al RdC i cittadini italiani, i cittadini dell’UE, i familiari di cittadini UE, i cittadini extra UE titolari del permesso di soggiorno di lungo periodo. L’INPS, sul suo sito istituzionale, ha riconosciuto il diritto anche ai titolari di protezione internazionale. La Corte Costituzionale (sentenza n. 19/2022) ha dichiarato legittimo il requisito del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo. Non hanno quindi diritto al RdC i titolari di permesso unico lavoro e degli altri permessi di soggiorno (salvo i titolari di protezione internazionale).
Sia italiani che stranieri devono risiedere in Italia per tutta la durata del beneficio e aver risieduto in Italia per almeno 10 anni, di cui gli ultimi due in maniera continuativa, al momento della presentazione della domanda. È sufficiente la residenza effettiva sul territorio italiano anche se non si è iscritti all’anagrafe (nota n. 3803 del 14 aprile 2020 del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali). Per i periodi di mancata iscrizione anagrafica occorre avere a disposizione documenti che attestano la regolare permanenza (es. estratto conto contributivo dell’INPS, precedenti permessi di soggiorno, documentazione medica, lavorativa, contratti di affitto) e presentarli al Comune di residenza, che deve comunicare all’INPS di aver accertato la residenza effettiva.
Per avere diritto al RdC, è necessario essere in possesso di tutti i requisiti sopra indicati.
FAQ
No. Non hai diritto al RdC quindi sconsigliamo di presentare domanda. La Corte Costituzionale (sentenza n. 19/2022) ha confermato il requisito di titolo di soggiorno previsto dalla legge. Quindi i titolari di permesso unico lavoro e degli altri permessi di soggiorno (salvo quelli per protezione internazionale) restano esclusi dal RdC.
Se effettivamente non eri in possesso del titolo di soggiorno richiesto, dovrai restituire la somma percepita (vedi la risposta 1). È possibile richiedere di pagare a rate.
Se chiedi la rateizzazione, è importante dichiarare che la richiesta non costituisceammissione del debito. Rivolgiti al Servizio antidiscriminazione di ASGI per maggiori informazioni.
Se pensi di non poter restituire non chiedere la rateizzazione. L’INPS potrà avviare una azione esecutiva nei tuoi confronti (un pignoramento) e potrà sospendere il pagamento di eventuali altre prestazioni (ad es. l’assegno unico per i figli) fino a estinzione del debito. Ne parliamo in maniera più approfondita nella risposta 8.
Sì. La legittimità del requisito di residenza decennale è al momento all’esame sia della Corte Costituzionale sia della Corte di Giustizia UE. Se una di queste due Corti (o entrambe) riterrà illegittimo il requisito, questo verrà a cadere per tutti. Quindi, qualora tu abbia tutti gli altri requisiti (di reddito, di titolo di soggiorno ecc.) salvo i 10 anni di residenza, conviene presentare comunque la domanda: se il requisito di residenza decennale dovesse decadere, avresti diritto di ricevere le somme arretrate. La domanda va presentata via PEC dichiarando la durata effettiva della residenza. In questo modo si eviterà di dichiarare il falso, barrando caselle di requisiti che non si posseggono (come accade se si presenta la domanda on line sui moduli predisposti dall’INPS).
Sì. Secondo la nota n. 3803 del 14 aprile 2020 del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, per la verifica del requisito di residenza decennale è sufficiente documentare la propria residenza effettiva sul territorio italiano. Al momento della domanda, sarà necessario allegare documentazione aggiuntiva che provi i periodi di presenza in Italia (estratto conto previdenziale, contratti di affitto e lavoro, documentazione medica, vecchi permessi di soggiorno, pagamento di bollette, iscrizioni a scuola dei figli, biglietti nominativi del treno ecc.). Se non dovessi riuscire ad allegare questa documentazione attraverso la procedura online, ti consigliamo di allegarla inviando una PEC all’INPS del tuo territorio.
ASGI ritiene che il requisito di residenza decennale costituisca una discriminazione indiretta verso i cittadini stranieri e sia contrario alla Costituzione. Come leggi alla risposta 4, si è in attesa della decisione della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia Europea su questo punto. Se la decisione sarà nel senso della illegittimità del requisito, la somma da te ricevuta non dovrà più essere restituita all’INPS. Suggeriamo quindi di non restituire la somma richiesta dall’INPS in attesa delle due decisioni di cui sopra che dovrebbero intervenire entro il prossimo anno. Se però ricevi una “cartella esattoriale” (vedi la risposta 8) rivolgiti subito a un avvocato perché va impugnata entro 40 giorni.
La verifica del requisito di residenza è di competenza del Comune di residenza al momento della domanda, a cui bisogna quindi rivolgersi per chiarire le motivazioni per cui non è stata certificata la residenza decennale in Italia.
Nel caso in cui la residenza anagrafica risulti inferiore a 10 anni, si potranno presentare documenti che attestano la permanenza effettiva nel periodo mancante (es. precedenti permessi di soggiorno, documentazione medica e lavorativa, contratti di affitto, bollette, etc.) e richiedere al Comune di rettificare la durata della residenza sulla piattaforma GePI (così come indicato nella nota n. 3803 del 14 aprile 2020 del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali). A seguito della rettifica del Comune, l’INPS dovrebbe ripristinare l’erogazione del reddito. Se il Comune non dovesse accogliere la documentazione prodotta, puoi rivolgerti al Servizio antidiscriminazione dell’ASGI.
L’INPS probabilmente ti notificherà una “cartella esattoriale” e potrà poi procedere al pignoramento (di parte dello stipendio, dell’eventuale conto in banca ecc.). Se però la pretesa dell’INPS è basata su presupposti illegittimi (ad es. perché in realtà avevi 10 anni di residenza effettiva; o perché la richiesta si basa sulla mancanza del requisito decennale attualmente all’esame delle Corti Costituzionale e Europea) ti suggeriamo senz’altro di impugnare la cartella. A questo fine occorre proporre ricorso entro 40 giorni dalla notifica ed è quindi necessario rivolgersi subito a un avvocato.
La responsabilità purtroppo è di chi ha effettuato la dichiarazione anche se non era a conoscenza dei requisiti necessari per presentare la domanda.
Tuttavia il patronato è comunque tenuto per legge a dare assistenza in modo corretto e dunque anche a fornire tutte le informazioni utili per il buon esito della pratica (per la quale riceve un contributo dallo Stato): se si è in grado di dimostrare che il patronato ha agito con grave negligenza, fornendo informazioni del tutto errate si può chiedere un risarcimento. Attenzione però: occorre essere in possesso di prove della assistenza negligente.
Rivolgiti subito a un avvocato di fiducia. Se il requisito dichiarato falsamente è quello dei 10 anni di residenza è possibile far valere l’illegittimità del requisito per ottenere l’archiviazione della denuncia o l’assoluzione, come già avvenuto in diversi casi.
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