Accesso al rdc senza i 10 anni di residenza: proseguono le assoluzioni in sede penale

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Mentre dalle Alte Corti non vi è ancora nessun responso sulla legittimità o meno del requisito decennale per accedere al RDC (qui i dettagli sulle questioni pendenti:  Corte di Giustizia UE; Corte Costituzionale, la prossima scadenza utile è l’udienza sul rinvio pregiudiziale del Tribunale penale di Napoli, fissata dalla CGUE in ottobre) giungono a definizione i procedimenti penali avviati nei confronti dei cittadini stranieri che avevano ottenuto la prestazione, pur non essendo titolari del predetto requisito decennale (ora sostituito da quello quinquennale per la nuova prestazione dell’Assegno di inclusione e per il supporto all’inserimento lavorativo).
In molti casi i procedimenti si stanno concludendo  – senza neppure attendere la decisione in sede europea – con una pronuncia di assoluzione.

Le motivazioni delle sentenze di assoluzione variano.

In un caso deciso dal Tribunale di Verona, un cittadino marocchino aveva richiesto ed ottenuto il RdC nel 2019, nel 2020 e nel 2021, ma da successivi controlli nei registri anagrafici comunali era risultato iscritto all’Anagrafe italiana solo dal 2012, e pertanto per un periodo inferiore ai 10 anni previsti dalla normativa e dichiarati in sede di domanda. Egli, tuttavia, aveva presentato al tribunale documentazione comprovante il suo arrivo in Italia già nel 2009, dimostrando la sua presenza per circa 9 anni e 10 mesi. La Giudice, accogliendo l’interpretazione secondo il requisito di legge deve intendersi riferito alla residenza di fatto e non a quella anagrafica (come indicato dalla Nota 3803 del 14 aprile 2020 del Ministero del Lavoro)  ha stabilito che il fatto di reato non sussiste per quanto concerne le domande RdC del 2020 e del 2021. Relativamente alla domanda del 2019, per cui il cittadino imputato non possedeva il requisito di residenza per un difetto di circa due mesi, la giudice ha pronunciato un’assoluzione per la particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.), in particolare dal momento che se l’imputato avesse presentato domanda “tre mesi più tardi sarebbe stato in possesso di tutti i requisiti”.

Un’assoluzione per tenuità del fatto è stata disposta anche dal GIP di Vercelli (sentenza del 28.06.2023) nei confronti di un cittadino nigeriano arrivato in Italia nel 2017 che aveva presentato domanda per il RdC nel 2020. Il Giudice ha ritenuto dirimenti la giovane età e l’assenza di precedenti penali dell’imputato, nonché la natura “episodica e con scopi non riprovevoli” dell’offesa.

Altre due sentenze invece hanno assolto gli imputati per difetto dell’elemento soggettivo. Il GIP di Cuneo in una sentenza del 27.02.2023 ha infatti riscontrato l’assenza di dolo da parte di un cittadino straniero giunto in Italia nel 2016 come richiedente asilo, valutando che la sua “buona fede” fosse dimostrata dal fatto che aveva prodotto al CAAF che lo supportava nella presentazione della domanda il proprio permesso di soggiorno recante la data di ingresso in Italia e che, dopo essersi reso conto di non avere diritto alla prestazione, aveva restituito le somme già percepite. La sentenza del 10.07.2023 del Tribunale di Napoli ha invece  rilevato la stessa assenza di dolo per una cittadina dello Sri Lanka, la cui dichiarazione di residenza decennale è stata considerata una “leggerezza” (dovuta anche alle difficoltà di comprensione linguistica)  e comunque non motivata da una cosciente “volontà dell’imputata di rappresentare una realtà difforme da quella effettiva

Ulteriori pronunce di assoluzione erano già state segnalate in precedenza dall’ASGI, su questo sito.

Da segnalare tuttavia anche sentenza della Corte dei Conti, II sezione centrale della Corte d’Appello  468 del 28 ottobre 2022, secondo la quale le questioni inerenti l’indebita percezione del Rdc rientrano nella giurisdizione del giudice contabile. Ciò in base una ricostruzione che accomuna la percezione del Rdc a quella di tutti gli altri contributi con “destinazione di scopo” con la conseguenza che la sottrazione delle risorse allo scopo pubblico cui erano destinate, sia esso lo svolgimento di una attività produttiva o l’uscita dell’interessato dalla povertà, configurerebbe comunque danno erariale. Nel caso del Rdc lo “scopo pubblico” perseguito sarebbe appunto quello dell’inserimento al lavoro delle persone bisognose, mentre il “rapporto di servizio”, che costituisce anch’esso requisito indispensabile per configurare un danno erariale,  deve essere considerato in senso ampio e dunque deve considerarsi sussistente per il solo fatto che taluno si veda attribuire somme caratterizzate da una specifica finalità pubblica.

Una pronuncia, dunque, che lascia a dir poco sconcertati. La conseguenza di una simile ricostruzione è che qualsiasi contributo assistenziale che sia, come doveroso e logico, condizionato alla partecipazione ad attività di inserimento sociale, perde la sua natura assistenziale (e dunque, laddove si tratti di indebito, anche la giurisdizione del giudice civile e la competenza tabellare del giudice della previdenza e assistenza)  per incanalare il beneficiario in un “rapporto di servizio” identico a quello, ad es.,  del percettore di contributi europei per costruire un impianto industriale miliardario rimasto sulla carta: è evidente che qualcosa non torna.
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