La Corte Costituzionale conferma: il giudice civile può ordinare la modifica di atti amministrativi discriminatori

Argomenti:giurisprudenza
Tipologia del contenuto:Notizie
martello da giudice

Decisivo passo avanti della tutela antidiscriminatoria a fronte di “discriminazioni istituzionali”: la Corte Costituzionale sancisce il potere del giudice civile di ordinare alla PA la modifica di atti amministrativi discriminatori, anche aventi efficacia generale.

Della sentenza 15/2024 abbiamo altrove riferito per quanto riguarda gli effetti sulla legge regionale del Friuli che da anni richiedeva “documenti aggiuntivi” ai cittadini stranieri per accedere a tutti gli strumenti di sostegno pubblico all’abitare (graduatorie per gli alloggi ERP, fondo per il contributo affitti, mutui agevolati): la Corte, ribadendo i principi già affermati nella sentenza n. 9/2021 ha dichiarato l’incostituzionalità della norma, facendo riferimento, in questo caso, ai soli titolari di permesso di lungo periodo perché l’eccezione era stata sollevata limitatamente a questa categoria di stranieri (le argomentazioni della Corte fanno comunque leva anche sulla irragionevolezza della norma e si prestano quindi ad essere applicate a tutti gli stranieri, come peraltro aveva fatto la sentenza n. 9 cit.).

Nella stessa sentenza la Corte ha deciso anche il “ricorso per conflitto di attribuzioni” sollevato dalla Regione Friuli contro il Tribunale di Udine in relazione a un’altra pronuncia, avente il medesimo oggetto (i “documenti aggiuntivi”) nella quale il giudice aveva ordinato alla Regione la modifica del Regolamento in materia.

Con il ricorso la Regione aveva formulato alla Corte due domande gradate: con la prima aveva chiesto alla Corte di affermare che non spetta al giudice ordinario ordinare la modifica di un Regolamento, configurandosi altrimenti una invasione del potere giudiziario nella sfera di autonomia riservata alla Regione e alla PA; con la seconda aveva chiesto, in subordine, di affermare che tale potere non spetta nel caso specifico perche il Regolamento era meramente riproduttivo della norma di legge regionale e dunque il giudice  avrebbe dovuto sollevare previamente la questione di costituzionalità della norma di legge riprodotta nel regolamento.

Nel giudizio è intervenuta ASGI (che era parte nel giudizio in cui era stato emesso l’ordine, ma non era ovviamente parte del conflitto di attribuzione che riguardava un potere dello Stato e una Regione) e l’intervento è stato ammesso.

La Corte ha accolto la domanda subordinata, rilevando che l’ordine di modifica di un Regolamento riproduttivo di una norma di legge avrebbe imposto alla Regione di adottare e applicare una norma regolametare difforme da una legge e che la disapplicazione della legge per contrasto con il diritto dell’Unione, se è consentita e anzi doverosa al fine di far conseguire al singolo il bene garantito appunto dal diritto eurounitario, tuttavia non è consentita al fine di ottenere il “rimedio generale” previsto dalla azione civile contro la discriminazione ex art. 28 dlgs 150/2011 cioè l’ordine di rimozione della norma regolamentare (ed è qiesto il punto rispetto al quale la sentenza merita ulteriori riflessioni).

La Corte ha invece respinto espressamente la prospettazione principale con argomentazioni molto incisive relative all’atto amministrativo discriminatorio e ai poteri di rimozione del giudice, spazzando via le perplessità che ancora oggi si palesano talvolta nei Tribunali e nelle Corti.

In particolare secondo la Corte “la pienazza della tutela speciale così costruita dal legislatore (cioè con l’art. 28 cit.) si estende sino a consentire al giudice ordinario – pur senza tratteggiare l’attribuzione, ai sensi dell’art. 113, terzo comma, Cost. di un eccezionale potere di annullamento degli atti amministrativi – di pronunciare sentenze di condanna nei confronti della PA per avere adottato atti discriminatori, dei quali può ordinare la rimozione”. E ancora “la logica sottesa alla scelta compiuta dal legidslatore  con l’art. 28, comma 5, dlgs 150/2011 è … consentire al giudice ordinario, accertato il carattere discriminatorio della norma regolamentare, di ordinarne la rimozione, poiché altrimenti essa, per la sua naturale capacità di condizionare l’esercizio della attività amministrativa, potrà determinare l’insorgere di ulteriori e indefinite discriminazioni identiche o analoghe a quelle sanzionate in giudizio.” La strada aperta da ASGI con un ampio contenzioso contro la “discriminazione istituzionale” resta dunque aperta e riceve anzi una conferma autorevolissima che, si spera, non potrà più tornare in discussione.

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