La Commissione UE apre due procedure di infrazione sul Reddito di cittadinanza e sull’Assegno Unico Universale

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Per la Commissione europea le norme sull’accesso al Reddito di cittadinanza e all’Assegno unico universale violano il diritto UE.

A due anni e mezzo dalla denuncia presentata da ASGI, NAGA, APN e l’Altro diritto, La Commissione Europea ha aperto una procedura di infrazione contro l’Italia in relazione al requisito di 10 anni di residenza in Italia per l’accesso al reddito di cittadinanza. Non solo: la Commissione ha deciso di avviare una procedura di infrazione anche contro l’Assegno Unico Universale, con riferimento al requisito della residenza biennale, grazie alla segnalazione della UIL del Friuli Venezia Giulia e di INAS CISL.

Si tratta della conferma del carattere discriminatorio delle attuali politiche italiane in tema di sostegno alle famiglie e di contrasto alla povertà. Politiche frutto di scelte che producono diseguaglianza tra le famiglie e le persone italiane e straniere. Scelte illogiche e discriminatorie più volte segnalate alle istituzioni preposte all’attuazione delle politiche sociali sin dall’iter avviato in parlamento per la loro istituzione. Osservazioni ribadite anche nel settembre 2021 assieme ad altre associazioni in una lettera indirizzata al Dipartimento della Famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri ed ai ministeri delle Pari opportunità e del Lavoro cui era stata chiesta “una svolta decisiva rispetto alle scelte passate che hanno visto escludere moltissimi stranieri regolarmente soggiornanti dall’accesso ad importanti prestazioni sociali”, in occasione dell’elaborazione dei decreti attuativi sull’attuazione dell’assegno unico universale e della riforma in corso sul Reddito di cittadinanza.”

Reddito di cittadinanza, chiedere 10 anni di residenza è contrario al diritto UE

ASGI, Avvocati per Niente, Naga e “L’Altro diritto” il 19 novembre 2020 avevano presentato una denuncia alla Commissione Europea chiedendo l’apertura di una procedura di infrazione contro l’Italia in relazione al requisito di 10 anni di residenza in Italia per l’accesso al reddito di cittadinanza.

Secondo il Regolamento 2011/492 e la Direttiva 2004/38/CE” si legge nel comunicato stampa pubblicato dalla Commissione europea il 15 febbraio 2023 ” le prestazioni sociali come il “reddito di cittadinanza” dovrebbero essere pienamente accessibili ai cittadini dell’UE che sono lavoratori dipendenti, autonomi o che hanno perso il lavoro, indipendentemente dalla loro storia di residenza. Anche i cittadini dell’UE che non lavorano per altri motivi dovrebbero essere ammessi al beneficio, con l’unica condizione di risiedere legalmente in Italia da più di tre mesi.

Pertanto, continua la Commissione nel comunicato: “il requisito dei 10 anni di residenza si qualifica come discriminazione indiretta, poiché è più probabile che i cittadini non italiani non soddisfino questo criterio. Infine, il requisito della residenza potrebbe impedire agli italiani di trasferirsi per lavorare fuori dal Paese, in quanto non avrebbero diritto al reddito minimo al loro rientro in Italia. “

La Commissione dunque ritiene che il Reddito di cittadinanza non sia “in linea con il diritto Ue in materia di libera circolazione dei lavoratori e dei cittadini.”

La situazione italiana risulta unica in tutta Europa perché nessuno degli Stati europei che hanno istituito una prestazione di contrasto alla povertà ha introdotto requisiti di lungo residenza di 10 anni.

La Commissione non si limita a “denunciare” la discriminazione nei confronti dei soli cittadini dell’Unione ma segnala anche le violazioni delle direttive 109/2003 e 95/2011 che prevedono, rispettivamente, clausole di parità nell’accesso a questo tipo di prestazione per gli extracomunitari lungo soggiornanti e per i titolari di protezione internazionale.

L’Italia ha ora due mesi di tempo per rispondere alle preoccupazioni sollevate dalla Commissione. In caso contrario, la Commissione potrebbe decidere di inviare un parere motivato.

Va ricordato che sia la Corte Costituzionale che la Corte di Giustizia UE sono state investite della questione. Purtroppo è notizia di ieri che la Corte Costituzionale ha rinviato l’udienza (fissata per il 21 marzo 2023) a nuovo ruolo.

In Italia intanto il Reddito di Cittadinanza è già stato revocato a quanti non risultano avere il requisito dei dieci anni di residenza effettiva e molte persone povere vengono private di una importante seppur perfettibile misura di contrasto alla povertà . A fronte di diverse segnalazioni ASGI ha contribuito alla redazione di un’interpellanza parlamentare, presentata il 18 gennaio 2022, dall’on. Doriana Sarli insieme ad altri Parlamentari, sulla questione delle revoche del reddito di cittadinanza e delle richieste di restituzione dell’indebito da parte dell’INPS. Inoltre il Servizio antidiscriminazione sta continuando a dare sostegno a quanti vengono privati del sostegno economico .

Assegno unico universale: discriminatoria la residenza biennale e il requisito della convivenza

Con riferimento alla procedura di infrazione in materia di Assegno Unico Universale, la Commissione scrive che la richiesta di due anni di residenza e il requisito della “vivenza a carico” “violano il diritto dell’UE in quanto non trattano i cittadini dell’UE in modo paritario, il che si qualifica come discriminazione. Inoltre, il regolamento sul coordinamento della sicurezza sociale vieta qualsiasi requisito di residenza per ricevere prestazioni di sicurezza sociale come gli assegni familiari.

Come già ribadito in occasione dell’apertura di altre procedure d’infrazione da parte della Commissione europea verso l’Italia, l’ASGI ha da sempre espresso la propria convinzione che anche il requisito di anzianità di residenza biennale sul territorio nazionale o regionale sia illegittimo rispetto al diritto UE, in quanto viene a colpire in misura proporzionalmente maggiore i cittadini provenienti da altri Stati membri dell’UE che esercitano il diritto alla libera circolazione, con ciò continuando a determinare una discriminazione ‘indiretta’ o ‘dissimulata’ nei loro confronti in quanto la disparità di trattamento così introdotta non appare sorretta da finalità obiettive estranee alla nazionalità, ma anzi risponde esplicitamente alla finalità di privilegiare coloro che dispongano di  un maggiore radicamento sul territorio locale nella destinazione degli interventi di welfare, fondando dunque una gerarchia basata sul grado di “autoctonia” delle persone, evidentemente inconciliabile con i fondamentali principi di uguaglianza e di libertà di circolazione e soggiorno.

Si ritiene, inoltre, che il riferimento alla illegittimità della “vivenza a carico” potrebbe riaprire il tema degli assegni familiari per figli residenti all’estero . Come noto, la Corte di Giustizia dell’Unione europea, a seguito di un contenzioso strategico avviato dall’ ASGI, aveva dichiarato discriminatoria l’esclusione dei cittadini stranieri dal diritto all’assegno per i figli se residenti all’estero. Dal 1° marzo 2022 vi è stata l’eliminazione del beneficio per tutti (italiani e stranieri) : l’Assegno unico Universale non è previsto per i figli residenti all’estero e, basandosi sull’ISEE, richiede il requisito della convivenza. Tale previsione grava pesantemente sugli stranieri che frequentemente mantengono figli residenti in patria.



Il Comunicato della Commissione UE – punto 9 Jobs and Social Rights


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