Illogiche le discriminazioni per l’accesso al Reddito di cittadinanza e all’Assegno unico universale

In vista dell’elaborazione imminente dei decreti attuativi sull’attuazione dell’assegno unico universale e della riforma in corso sul Reddito di cittadinanza, ma anche rispetto all’elaborazione del Piano nazionale per la famiglia, diciotto associazioni hanno segnalato al Dipartimento della Famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri ed ai ministeri delle Pari opportunità e del Lavoro i punti critici che creano trattamenti disuguali tra le persone italiane e straniere nell’accesso alla misura del Reddito di cittadinanza e al futuro Assegno unico universale. Appare urgente si legge nella lettera “una svolta decisiva rispetto alle scelte passate che hanno visto escludere moltissimi stranieri regolarmente soggiornanti dall’accesso ad importanti prestazioni sociali”.


ASSEGNO UNICO UNIVERSALE e REDDITO DI CITTADINANZA: BASTA CON LE DISCRIMINAZIONI DEI CITTADINI STRANIERI

I prossimi mesi vedranno il varo di scelte legislative importanti per il nostro welfare in particolare l’emanazione dei decreti delegati attuativi dell’assegno unico universale e la riforma del reddito di cittadinanza.

E’ importante che questi passaggi segnino anche una svolta decisiva rispetto alle scelte passate che hanno visto escludere moltissimi stranieri regolarmente soggiornanti dall’accesso ad importanti prestazioni sociali.

Dopo l’infinito contenzioso che ha riguardato negli anni recenti l’accesso degli stranieri alle  prestazioni familiari (da ultimo il caso dei bonus bebè, finalmente “risolto” con la sentenza  della CGUE del 2 settembre 2021 C-350/2020)  anche le nuove disposizioni in materia di assegno unico universale (legge delega n. 46/21) o in materia di reddito di cittadinanza mantengono illogiche discriminazioni, che appaiono in contrasto con il diritto dell’Unione e con i principi costituzionali.

In particolare, si segnalano i seguenti punti critici:

QUANTO ALL’ASSEGNO UNIVERSALE 

  • La legge delega n. 46/21 segna finalmente il superamento della precedente politica che da oltre 20 anni pretendeva di riservare le prestazioni ai soli stranieri lungosoggiornanti escludendo tutti i titolari di permesso a tempo determinato. Inserisce tuttavia il requisito del permesso “per lavoro e ricerca di durata almeno annuale”: tale previsione è in contrasto con l’art. 12, comma 2 lettera b) della Direttiva 2011/98/UE che consente di limitare la parità di trattamento degli stranieri titolari di un permesso di soggiorno che autorizza a lavorare nei soli casi di permesso inferiore a 6 mesi:  la prevista esclusione di coloro che hanno un permesso tra 6 mesi e un anno è dunque illegittima, darà luogo inevitabilmente a ulteriori contenziosi e oltretutto è in contrasto con le modifiche all’art. 41 TU immigrazione che sono in corso di approvazione in Parlamento e che lo renderanno coerente con la Direttiva 2011/98/UE.
  • Occorre, in ogni caso, che i decreti delegati chiariscano che il diritto sussiste per tutti i titolari di permesso unico lavoro  (che comprende pertanto i permessi per famiglia, lavoro, attesa occupazione e ogni altro permesso che consente di lavorare ai sensi della direttiva 2011/98) mentre l’attuale formulazione riferita al permesso “per lavoro” sembra escludere i permessi per famiglia e attesa occupazione. 
  • Occorre inserire, tra i potenziali beneficiari, i titolari di protezione internazionale (status di rifugiato e protezione sussidiaria) in ottemperanza a quanto previsto dall’art. 29 della direttiva 95/2011, nonché i titolari di protezione speciale.
  • Occorre anche venga chiarito che l’espressione “permesso per lavoro”  comprende anche i titolari di permesso per lavoro autonomo essendo proprio i lavoratori autonomi i principali nuovi destinatari della prestazione.
  • Sempre nella legge delega viene introdotto il requisito della previa residenza per almeno 2 anni,  sul quale invitiamo il Parlamento a una ulteriore riflessione posto che la prestazione può comunque essere erogata, mese per mese, ai soli residenti e ciò  già costituisce garanzia sufficiente di collegamento con il territorio, senza che vengano inseriti requisiti di residenza pregressa destinati inevitabilmente a creare inique esclusioni dei cittadini stranieri di più recente immigrazione.
  • In attesa della modifica di cui sopra occorre che il rimedio previsto dall’art. 2 co. 1 lett. g)  della L. 46 citata (cioè l’esame di casi particolari da parte di una Commissione nazionale su proposta dei servizi sociali) sia semplificato al massimo consentendo un accesso veloce ed efficiente alle richieste di deroga attraverso l’immediata istituzione della Commissione e una rapida definizione della procedura.
  • Si chiede inoltre la revisione del requisito oggi previsto  in alternativa ai due anni di residenza, cioè quello della titolarità di “un contratto di lavoro a tempo indeterminato o determinato di durata almeno biennale” che esclude dalla prestazione “universale” un’area significativa di cittadini stranieri che hanno fatto ingresso in Italia da meno di due anni e lavorano, come frequentemente accade, con contratti a tempo determinato di breve durata via via sempre rinnovati (come accade ad es. per i lavoratori della logistica) o con contratti di tipo parasubordinato. 
  • Si chiede infine che venga riesaminata la esclusione dei figli minori a carico residenti all’estero (oggi inclusi nel nucleo familiare anche nel caso di cittadini stranieri a seguito delle sentenze della Corte di Giustizia UE del 25.11.2020)  che, in un mondo con spostamenti transnazionali sempre  più frequenti,  risponde a requisiti di effettiva tutela della famiglia e di  giustizia sostanziale e che, nel caso degli stranieri,  favorisce una “migrazione circolare” e l’eventuale futuro rientro in patria dei lavoratori migranti che lo desiderino.

QUANTO AL REDDITO DI CITTADINANZA

  • Deve essere eliminato il requisito del permesso di soggiorno di lungo periodo, che  esclude proprio gli stranieri più bisognosi, che sono inevitabilmente quelli privi del permesso a tempo indeterminato; tale requisito inoltre è particolarmente iniquo per una prestazione che ha per obiettivo il sostegno all’inserimento sociale e che dunque non può avere per presupposto quel percorso di inserimento sociale che conduce al permesso di lungo periodo.
  • Deve essere eliminato il requisito di pregressa residenza decennale che ha impedito in questi anni l’accesso a centinaia di migliaia di cittadini stranieri (compresi i titolari di protezione internazionale).
  • Tali due requisiti hanno fatto sì che l’accesso degli stranieri al RDC sia estremamente contenuto (secondo l’INPS il 9%) a fronte di dati ISTAT che danno una percentuale di famiglie straniere in condizioni di povertà assoluta che supera il 20%. Norme di queste genere, peraltro, non sono previste  per le prestazioni di contrasto alla povertà, in nessun paese d’Europa, il che dimostra la illogicità di tali previsioni.

FIRMATARI

ASGI – ASSOCIAZIONE STUDI GIURIDICI SULL’IMMIGRAZIONE

ARCI

CAMPAGNA ERO STRANIERO

REFUGEES WELCOME

A BUON DIRITTO ONLUS

CUB – CONFEDERAZIONE UNITARIA DI BASE

CNCA – COORDINAMENTO NAZIONALE COMUNITÀ DI ACCOGLIENZA

OXFAM ITALIA

ACTIONAID

FONDAZIONE MIGRANTES

MOVIMENTO ITALIANI SENZA CITTADINANZA

COMUNITÀ DI SANT’EGIDIO

FOCUS-CASA DEI DIRITTI SOCIALI

CIES ONLUS – CENTRO INFORMAZIONE ED EDUCAZIONE ALLO SVILUPPO

ACLI 

EUROPASILO

CONNGI – COORDINAMENTO NAZIONALE NUOVE GENERAZIONI ITALIANE

SOCIETÀ ITALIANA MEDICINA DELLE MIGRAZIONI (SIMM )

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