Dentro e oltre le parole di Cochetel: la nuova frontiera della criminalizzazione delle persone migranti

Fotografie di Chiara Denaro scattate alla Commemorazione delle persone scomparse a Zarzis, Tunisia. Settembre 2022

L’Inviato speciale dell’UNHCR per il Mediterraneo centrale e occidentale dichiara che criminalizzare i genitori di persone scomparse o morte in mare può essere un utile deterrente per evitare i “viaggi della morte”. Il regime discorsivo che si cela dietro queste parole è lo stesso che giustifica politiche migratorie violente e contro i diritti umani. Abbiamo bisogno di una nuova narrazione, fondata sulla solidarietà e sull’esercizio dei diritti. La riflessione di ASGI.

In occasione della commemorazione delle persone scomparse che ha avuto luogo a Zarzis, Tunisia, tra il 3 e il 6 settembre 2022, l’Inviato speciale dell’UNHCR per il Mediterraneo centrale e occidentale, ha pubblicato una serie di messaggi via Twitter il cui contenuto ha suscitato numerose polemiche. Infatti in quei messaggi l’inviato Vincent Cochetel affermava che perseguire penalmente i genitori delle persone scomparse o morte in mare potrebbe provocare un cambio di atteggiamento nei confronti dei “viaggi della morte”.

Il 7 settembre 2022 l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (UNHCR) ha preso le distanze da quelle parole di Cochetel chiarendo che l’UNHCR “non sostiene l’avvio di procedimenti contro i familiari che hanno perso i loro cari” e schierandosi dalla parte delle vittime e di “coloro che hanno perso i propri figli in queste orribili tragedie”.

ASGI accoglie positivamente la presa di parola pubblica di UNHCR nei confronti delle sconcertanti dichiarazioni dell’Inviato speciale. Tuttavia ritiene doveroso interrogarsi sui motivi che inducono alcuni attori sempre più di frequente a evocare la criminalizzazione dei parenti delle vittime in relazione alla morte in mare di minori migranti. 

L’inviato speciale fa espresso riferimento a un caso verificatosi in Senegal, nel quale il padre di un ragazzo morto in mare è stato processato nel 2020 per aver messo in pericolo il figlio e per “complicità in traffico di migranti”. Un simile processo ha avuto luogo anche in Grecia, dove il padre di Yahya è stato arrestato – e in seguito assolto – per aver messo in pericolo il figlio e causato la sua morte. Yahya, un bambino di sei anni, è stato trovato senza vita sulle spiagge di Samos dopo il naufragio di un’imbarcazione proveniente dalla Turchia che ha atteso oltre nove ore il soccorso della Guardia Costiera greca.

Suggerendo la criminalizzazione dei genitori, Cochetel si è fatto incauto portavoce di un regime discorsivo secondo cui la mobilità internazionale non è considerata l’esercizio di un diritto, ma un fenomeno da arginare, in particolar modo quando si tratta di persone non considerate in linea con le esigenze del mercato del lavoro dei paesi di destinazione o di persone in fuga da Stati in cui si ritiene che i diritti umani siano rispettati.

Secondo questa narrazione, i bisogni, le motivazioni e i diritti fondamentali delle persone che emigrano non sono presi in considerazione, e ne risulta che le politiche di gestione delle migrazioni si limitano a forme più o meno violente di contrasto delle partenze. Sono proprio tali politiche di contenimento a creare la migrazione irregolare, la quale non esiste in natura, ma è l’effetto diretto di norme che impediscono alle persone migranti di accedere regolarmente al territorio nazionale.

Sullo sfondo rimane il diritto dei familiari delle vittime alla verità: conoscere cosa è successo alle persone scomparse, rinvenire i corpi e dargli degna sepoltura sono passaggi fondamentali non solo dal punto di vista emotivo ma anche dal punto di vista sociale e legale.

La migrazione cd. irregolare e le sue conseguenze – tra cui viaggi pericolosi, morti in mare o nel deserto, rafforzamento delle reti di traffico e tratta – è considerata non già l’effetto del fallimento delle strategie di governance della mobilità, ma una colpa individuale della persona migrante.

Diviene così possibile la criminalizzazione non solo di chi facilita il transito, ma anche delle persone migranti stesse e, nel caso di minori, dei genitori. In questa prospettiva svaniscono le responsabilità degli Stati e degli altri attori rispetto alla mancata previsione di efficaci canali di immigrazione regolare, ai i processi di esternalizzazione e delega del controllo delle frontiere e al disimpegno nei soccorsi in mare.

Come superare questa narrazione?

Questa parabola discorsiva non tiene conto delle disuguaglianze globali e dell’utilizzo della migrazione come strategia di miglioramento della condizione propria e del proprio contesto sociale. Si dimentica anche che migrare è anzitutto l’esercizio di diritti fondamentali previsti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, che riconosce il diritto di ogni persona di lasciare  ogni paese, incluso il proprio (art. 13) e il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni (art. 14). 

Oltre alla nota normativa (internazionale, europea e nazionale) che garantisce il diritto di asilo in altro Stato, è utile, per superare questa inquietante narrazione, riferirsi anche al diritto di ogni persona a un livello di vita adeguato, alla libertà dalla fame e al miglioramento continuo delle proprie condizioni di vita espresso all’art. 11 del Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali. Se questo diritto è violato da una situazione di generalizzata carestia o insicurezza alimentare la situazione individuale è tale che mette a rischio il diritto alla vita e il divieto di trattamenti inumani e degradanti. 

Per ristabilire un ordine del discorso coerente con le esigenze di tutela delle persone che migrano, è necessario che al giusto biasimo per le parole di Cochetel segua la presa di distanza nei confronti di ogni istanza che direttamente o indirettamente contribuisce a strutturare il contesto politico e discorsivo nel quale le parole dell’Inviato prendono forma. 

Non abbiamo bisogno di capri espiatori e non si tratta solo di contrastare le sue dichiarazioni: è necessario superare gli elementi che rendono possibili tali parole. 

È necessario che gli Stati di immigrazione assicurino a chiunque desideri lasciare il proprio Stato effettivi canali di immigrazione regolare, soprattutto per cercare di ottenere il riconoscimento del proprio diritto di asilo e di un posto di lavoro.

Un regime discorsivo radicalmente diverso da quello presente – all’interno del quale la solidarietà, il riconoscimento diffuso dei diritti e l’esercizio della libertà siano gli assi portanti – può contribuire a invertire la tendenza rispetto al recente passato, in direzione del superamento del contesto culturale in cui le parole di Cochetel hanno preso forma.


Comunicato congiunto: Dichiarazione congiunta per le dimissioni dell’inviato speciale UNHCR Vincent Cochetel