E’ stato pubblicato sulla GU n. 135 dell’8.6.2021 il DL 8.6.2021 n. 79. RECANTE “MISURE URGENTI IN MATERIA DI ASSEGNO TEMPORANEO PER FIGLI MINORI”. Il provvedimento si inserisce nel percorso verso “l’assegno unico universale” aperto dalla Legge delega n. 46/2021 che prevede, allorché saranno emanati i decreti delegati, l’assorbimento in una unica prestazione di varie prestazioni di famiglia (assegno famiglie numerose, bonus bebè, detrazione figli a carico e, in un secondo tempo, assegni al nucleo familiare).
Il Governo, preso atto che questa “rivoluzione” non avrebbe potuto entrare in vigore il 1^ luglio 2021 (come era stato ipotizzato), ha deciso di emanare un decreto legge per coprire la fase transitoria “con un assegno ponte”: in pratica il DL ha il solo effetto di garantire un trattamento di famiglia (riferito però solo AI FIGLI, il coniuge è escluso dalla nuova disposizione) a coloro che attualmente non percepiscono gli ANF, cioè in pratica i lavoratori autonomi e i disoccupati senza trattamento NASPI (chi è titolare di NASPI percepisce gli ANF). Il punto che emerge subito è che, per quanto riguarda i requisiti di residenza e di cittadinanza, il nuovo assegno presenta requisiti più restrittivi rispetto all’ANF “ordinario” che, come noto, spetta a tutti i lavoratori, a tutti i pensionati e a tutti titolari di NASPI senza alcun requisito restrittivo.
Il nuovo “assegno ponte” presenta infatti i seguenti profili problematici:
- L’assegno è riconosciuto ai cittadini italiani, UE ed extra UE titolari del permesso di soggiorno di lungo periodo. In alternativa, per questi ultimi è necessario essere titolari del “permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di ricerca di durata almeno semestrale”. La richiesta di un permesso semestrale appare illogica rispetto al regime ordinario degli ANF che, come si è detto, non richiede alcun particolare permesso, tuttavia avrà effetti molto limitati.
- La cosa più illogica è tuttavia l’indicazione di un permesso “per motivi di lavoro o ricerca”: in primo luogo perché non indica espressamente che si può trattare anche di un permesso per lavoro autonomo (come è logico, visto che la prestazione è riservata essenzialmente ai lavoratori autonomi); in secondo luogo perché non utilizza la dizione “permesso unico lavoro” utilizzata dalla direttiva 2011/98 e dall’art. 22 TU immigrazione ma richiede un permesso per lavoro (oppure per ricerca, cioè i permessi previsti dalla direttiva 2016/801 ma trattasi di numeri limitati). Se interpretata letteralmente, la norma condurrebbe ad escludere i titolari di un permesso unico lavoro rilasciato per ricongiungimento familiare o i titolari del permesso per attesa occupazione che invece sono sicuramente titolari di un permesso unico lavoro ai sensi della direttiva 2011/98 e hanno quindi diritto alla parità di trattamento nell’accesso alle prestazioni familiari ai sensi dell’art. 12 della direttiva stessa.
- La circostanza è ancora più illogica ove si pensi che nel frattempo la Camera ha approvato il testo della Legge Europea (volta a sanare inadempimenti rispetto al diritto dell’Unione) che, proprio al fine di adeguare l’ordinamento interno alla citata direttiva, ha disposto la modifica dell’art. 41 TU immigrazione, prevedendo che e prestazioni familiari spettino a tutti i titolari di un permesso di soggiorno che autorizzi il lavoro “per un periodo superiore ai 6 mesi”. E’ ovvio che la formulazione del DL 79 non si concilia quindi con la direttiva, ma neppure con la norma nazionale che il parlamento sta votando in queste settimane (e che peraltro contiene un ulteriore e più modesto errore perché fa riferimento alla autorizzazione al lavoro per un periodo superiore a 6 mesi mentre la direttiva parla di un periodo “di almeno 6 mesi”). E’ ovvio che, in questo contesto, uno straniero con permesso per famiglia anche biennale o di un permesso per attesa occupazione resterebbe escluso dall’assegno temporaneo in base al DL 79/2021 ma ne avrebbe diritto in base alla legge europea (e alla direttiva): la confusione è quindi massima.
- Il DL inoltre, ricopiando le disposizioni della Legge delega, prevede il requisito della residenza in Italia da almeno due anni. A parte l’anomalia di richiedere un requisito che non è previsto per l’ANF “ordinario” (quantomeno fino a quando la legge delega non sarà attuata), trattasi nuovamente di requisito indirettamente discriminatorio in quanto finisce per incidere in misura proporzionalmente maggiore sugli stranieri rispetto agli italiani. Paradossale è poi che questo requisito sia escluso se il richiedente è titolare di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato di durata almeno semestrale: esclusione che , in sede di assegno temporaneo, non ha alcun senso perché se il richiedente è titolare di uno di questi rapporti di lavoro subordinato chiederà gli ANF ordinari, che (quantomeno fino al 1.1.2022) non sono soggetti ad alcun vincolo di residenza.
- Infine, quanto alla questione della possibilità di computare come beneficiari i figli all’estero, la norma utilizza sin d’ora la medesima previsione contenuta nella Legge Delega: il richiedente deve essere residente in Italia (e residente, come detto, da almeno due anni); dei figli non si dice che debbano essere residenti in Italia (e dunque potranno essere anche residenti all’estero) ma che devono essere “ a carico” (requisito oggi non richiesto per gli ANF): almeno su questo punto, non sembra quindi esservi spazio per una differenza di trattamento tra beneficiari italiani e beneficiari stranieri come quella prevista per gli ANF ordinari e sanzionata dalla Corte Europea (cfr. le sentenze del 25.11.2020 nelle cause C-303/19 e C-302/19)
Alla luce di questa situazione, ASGI chiede che il Parlamento intervenga, in sede di conversione, al fine di garantire una effettiva conformità della norma al diritto dell’Unione e una effettiva parità di trattamento tra italiani e stranieri e pertanto quantomeno con le seguenti modifiche:
–Eliminazione del requisito della residenza biennale.
–Sostituzione, all’art. 1 co. 1 lett. a) 1. DL 79/2021, del riferimento al ““permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di ricerca di durata almeno semestrale” con altra dizione che comprenda espressamente il permesso per lavoro autonomo, nonché tutti i permessi che consentono di lavorare, secondo quanto previsto dall’art. 12 direttiva 2011/98.
A cura del servizio antidiscriminazione