La Cassazione chiarisce: l’appello nelle cause di antidiscriminazione si presenta con atto di citazione

Argomenti:giurisprudenza
Tipologia del contenuto:Notizie

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 30843/2023 ha chiarito definitivamente che l’appello avverso le ordinanze (oggi sentenze) emesse dal giudice del lavoro investito di una causa antidiscriminatoria con il rito antidiscriminatorio, deve seguire il rito ordinario e pertanto deve essere proposto con citazione notificata entro 30 giorni dalla comunicazione ai sensi dell’art. 702 quater cpc.

La Corte d’appello di Trieste aveva dichiarato inammissibile l’appello proposto dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli avverso l’ordinanza ex art. 702 ter cod. proc. civ., con cui il Tribunale di Udine aveva accertato il carattere discriminatorio della condotta dell’Agenzia (consistita nell’esclusione di due candidati dalla procedura di selezione di operatore doganale per mancanza del requisito della cittadinanza italiana), ritenendo che, in base al combinato disposto dell’art. 702 quater e dell’art. 434 cod. proc. civ., esso avrebbe dovuto essere proposto con ricorso ai sensi dell’art. 433 cod. proc. civ., da depositarsi nella cancelleria della Corte di Appello entro 30 giorni dalla sua comunicazione.

La Corte accoglie il ricorso presentato dall’Agenzia che aveva quale unico motivo, quello di denunciare la violazione delle norme in materia procedurale, in quanto l’art 702 quater c.p.c. non precisa quale forma debba rivestire l’atto che introduce il giudizio di impugnazione, a cui si aggiunge la giurisprudenza di legittimità secondo cui cui nei giudizi di opposizione ad ordinanza-ingiunzione e nel procedimento sommario di cognizione, l’appello va proposto con atto di citazione secondo la disciplina del rito ordinario di cui agli artt. 339 ss. cod. proc.

In effetti, il comma 2 dell’art. 44 TUI prevede che alle controversie previste dalla medesima disposizione si applica l’art. 28 del d.lgs. 10 settembre 2011, n.150, il quale al comma 1 stabilisce che le controversie in materia di discriminazione di cui all’art. 44 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal medesimo articolo.

Inoltre, l’individuazione in concreto del giudice per la trattazione del procedimento di cui all’art. 702 bis cod. proc. civ. ben può dipendere dalla ripartizione interna degli affari in un determinato ufficio, essendo
ipotizzabile che le cause ex art. 28 d. lgs. n. 150/2011 siano trattate dal giudice del lavoro (Cass. n. 3936/2017). Ma evidentemente il mero riparto di affari interni non può avere incidenza sul rito da osservare.

Secondo la Corte, infatti, “La specialità del rito di cui all’art. 28, co.1, e 702-bis, ss. non ammette deviazioni ed una volta introdotta la causa nelle forme antidiscriminatorie non si possono trasporre regole impugnatorie del processo del lavoro, al fine di calibrare le forme a seconda dell’ambito sostanziale entro cui si manifesta la discriminazione, ciò non essendo previsto dalle norme e potendo comportare gravi ed ingiustificate incertezze applicative

La Corte chiarisce infine, in un obiter dictum,  che non vi è ostacolo a che  le cause antidiscriminatorie in materia di lavoro (e quindi anche di  assistenza e previdenza) siano comunque trattate dalla sezione lavoro.


l’Ordinanza

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