Ventimiglia rappresenta un luogo simbolo per comprendere le dinamiche migratorie e per osservare la discrasia tra un privato sociale che accoglie e un potere pubblico che ignora od opprime. Un racconto di quanto osservato negli anni passati con un rilancio sulle prospettive future di azione.
Nonostante siano passati ormai quasi sei anni dalla decisione francese di ripristinare i controlli alle frontiere interne e dalla conseguente “crisi” dei migranti al confine italo- francese, l’osservazione della situazione alla frontiera di Ventimiglia sembra suggerire una enorme difficoltà ad individuare soluzioni sistemiche di tutela dei diritti delle persone in movimento soprattutto per quanto riguarda il contrasto alle azioni e, soprattutto alle omissioni, poste in essere da parte delle autorità italiane.
Ripercorre gli anni trascorsi dal 2015 ad oggi significa far luce su una città in cui attivisti, organizzazioni e realtà del terzo settore hanno cercato di supplire alla mancanza di interventi istituzionali e di restare al fianco delle persone in movimento contrapponendosi alle pratiche repressive e di criminalizzazione della solidarietà.
Ventimiglia è stata scenario di presidi stabili nei pressi di Ponte San Luigi e manifestazioni concrete di solidarietà e ha visto parrocchie aprirsi all’accoglienza di donne, bambini, nuclei familiari, uno spazio in disuso trasformarsi in infopoint e un bar diventare un luogo di ospitalità indispensabile. Ventimiglia è stata ed è il luogo dove avvocati e attivisti italiani e francesi pongono in essere ogni tentativo possibile per denunciare l’illegittimità dei respingimenti alla frontiera, dei trasferimenti in autobus fino a Taranto e della detenzione nei container ed è stata al centro non solo di rapporti, blog, tesi di laurea ma anche di pronunce di Tribunali francesi.
La forza e l’intensità della presenza di “solidali” a Ventimiglia non è tuttavia riuscita pienamente ad arginare la brutalità dell’intervento repressivo delle istituzioni, orientato maggiormente verso migranti e attivisti, con il risultato di un progressivo deterioramento del territorio. Negli anni si è assistito all’adozione di ordinanze finalizzate a vietare la distribuzione di cibo e bevande ai migranti, trasferimenti utili ad ”alleggerire” la frontiera, esecuzione di sgomberi, notifica di fogli di via ad attivisti ma anche ad azioni concretamente dirette ad impedire alle persone in movimento di accedere ai bagni pubblici, bere dai rubinetti presenti in stazione o da innocue fontanelle (appositamente divelte dall’amministrazione) o accedere ai locali ed esercizi commerciali. Le richieste avanzate da organizzazioni come MSF e Intersos di allestire bagni chimici, docce o presidi mobili sanitari nei periodi di maggiore presenza di migranti sono state respinte e bollate come “pull – factors”, fattori di attrazione inaccettabili per una città turistica.
La soddisfazione per i risultati ottenuti nelle aule dei Tribunali francesi si è presto smorzata per la capacità del potere di riorganizzarsi e di adattare le prassi al fine di eludere quanto stabilito dai giudici: se i minori non si possono respingere è sufficiente far sì che la data di nascita riportata sul refusee d’entree sia quella di un maggiorenne anche se la persona in questione si è dichiarata minore, se i respingimenti di richiedenti asilo possono incorrere in pronunce di illegittimità basta organizzarsi per fermare le persone prima ancora che provino ad avvicinarsi al confine rafforzando la cooperazione bilaterale di polizia e l’uso di tecnologie.
Con la chiusura del campo Roja – avvenuta il 31 luglio del 2020 – le istituzioni hanno completamente abbandonato ogni progettualità di intervento a sostegno delle persone in transito, privandole di un luogo fisico in cui poter trovare un’accoglienza anche temporanea, mettendo in serio pericolo il rispetto dei diritti più basilari. Quel campo che per tanto tempo è stato oggetto di attenzioni critiche in ragione delle modalità di accesso, delle condizioni di accoglienza di minori e nuclei familiari (dopo la chiusura dello spazio presso la parrocchia delle Gianchette) e della sua incerta natura giuridica (centro di prima accoglienza? Centro di accoglienza straordinaria?) viene oggi rimpianto non risultando esserci, soprattutto per i giovani maschi adulti, nessuna alternativa se non la strada, la spiaggia o un qualsiasi altro tipo di alloggio di fortuna. I posti di accoglienza, messi a disposizione di organizzazioni private, sono purtroppo limitati e riservati a categorie vulnerabili (minori stranieri non accompagnati e nuclei familiari) per brevi periodi di tempo.
Nonostante questo incessantemente le persone arrivano, tentano di oltrepassare un’altra meta e Ventimiglia diventata l’imbuto geografico all’interno del quale vanno a confluire migranti provenienti dal mediterraneo, dalla rotta adriatica e dalla quella balcanica. Persone che trascinano nei loro movimenti e nei loro passi la tragicità di una esperienza che richiede assistenza. Per farsi un’idea dei numeri basta passare al mattino presso la Caritas locale, uno spazio che consente alle persone in transito di avere un pasto mattutino, accedere ai servizi igienici e beneficiare della consulenza offerta dagli operatori di Save the Children, Intersos e We World, oppure alla sera nei pressi del cimitero di Ventimiglia dove avviene, sempre grazie ad associazioni italiane e francesi, attivisti e volontari, la distribuzione del pasto serale.
Una media di 200 persone al giorno durante il periodo estivo con lievi flessioni solo in alcuni giorni.
Il ruolo di ASGI e le azioni in programma
Nel periodo 2015 – 2021 ASGI è stata attiva in vario modo sul confine italo francese nel tentativo di attivare strategie di intervento a tutela dei diritti delle persone in transito. Essenziale è stata sin dall’inizio l’organizzazione di azioni di monitoraggio che hanno consentito di acquisire elementi di conoscenza del territorio e delle sue dinamiche, di sviluppare relazioni con le organizzazioni attive e di rielaborare collettivamente quanto emerso.
A partire dall’estate del 2015 è stato scritto un primo report descrittivo e di analisi giuridica sul tema delle riammissioni al confine di Ventimiglia al quale sono seguiti diversi contributi di analisi e di denuncia attraverso soprattutto la collaborazione con le reti e campagne alle quali ASGI ha aderito. Al pari dei sopralluoghi, il ricorso allo strumento dell’accesso civico si è rivelato fondamentale per acquisire elementi di conoscenza necessari ad approfondire problematiche e nuovi ambiti di intervento. Il progetto ha fatto ampio ricorso a questo strumento, ad esempio, per comprendere il fenomeno dell’allontanamento/trasferimento di cittadini stranieri dal territorio di Ventimiglia verso l’hotspot di Taranto e Crotone in attuazione di una prassi molto diffusa negli anni 2017 e 2018. Analogamente l’accesso civico è stato essenziale per raccogliere informazioni e dati necessari ad esercitare pressione – principalmente tramite lettere – sugli enti locali sottolineando azioni illegittime o mancate assunzioni di responsabilità. Lo strumento degli accessi civici è stato ed è necessario anche per il monitoraggio delle azioni di respingimento e riammissione da parte delle autorità francesi al confine. In particolare a seguito di una recente richiesta di accesso il progetto ha potuto rilevare una serie di dati quantitativi e qualitativi molto interessanti riferiti al periodo temporale compreso tra il 01.02.2021 e il 30.04.2021. Oltre alla conferma della portata quantitativa del fenomeno (6442 respingimenti nell’arco di un trimestre) e al quasi sistematico ricorso alla misura del respingimento rispetto alla riammissione (solo 30 riammissioni passive accolte), colpisce l’alto numero di cittadini stranieri di nazionalità normalmente considerate meritorie di forme di protezione internazionale (Afghanistan 417, Eritrea 101, Etiopia 26, Iran 47, Mali 485, Siria 23, Somalia 114 e Sudan 730). I dati inoltre evidenziano la netta prevalenza di cittadini irregolari e il presumibile mancato accesso alla procedura di asilo. A questi già significativi numeri vanno aggiunte tutte le persone a cui non viene fisicamente concessa la possibilità di avvicinarsi al confine in conseguenza dell’intensificarsi di azioni di cooperazione di polizia.
I recenti sopralluoghi effettuati a Ventimiglia, dopo un periodo di assenza dovuto anche all’emergenza epidemiologica, sono stati essenziali per prendere atto del peggioramento della situazione e provare ad individuare nuove strategie di intervento che prescindano dal contrasto ai respingimenti alla frontiera.
Storicamente la possibilità di intervenire con azioni strategiche sul territorio è stata infatti fortemente limitata da una serie di fattori. Indiscutibilmente lo scarso interesse delle persone in transito a vincolarsi a lunghi percorsi giudiziari quando il loro precipuo obiettivo era in realtà allontanarsi il prima possibile da quel territorio. In secondo luogo la “comprensibile” difficoltà dei soggetti operanti sul territorio ad esporsi eccessivamente in azioni frontali contro il sistema pubblico con il quale si trovano a dover gestire precari equilibri politici.
Il progetto Medea vorrebbe quindi provare ad esplorare due vie di azione: la prima legata alla mancanza di servizi essenziali sul territorio che dovrebbero essere garantiti a tutti indipendentemente dalla loro condizione giuridica, la seconda invece relativa al tema dei controlli di polizia ed, in particolare, al fenomeno della profilazione etnica nei controlli operati presso la stazione ferroviaria di Ventimiglia.
Come precedentemente evidenziato, a fronte di un quadro critico e al disinteresse istituzionale rispetto all’accesso a servizi essenziali, il progetto ha individuato nella Carta per i diritti economici e sociali elaborata in seno al Consiglio d’Europa uno strumento tramite il quale far valere la violazione di diritto essenziali quali il diritto all’alloggio (art 31 par. 1-2), il diritto dei bambini alla protezione sociale, legale ed economica (art. 17 par.1), il diritto dei nuclei familiari sempre alla protezione sociale, legale ed economica (art. 16), il diritto alla tutela della salute (art. 11 par. 1-3), il diritto all’assistenza sociale e medica (art. 13). Il ricorso al Comitato di natura collettiva ha però precisi limiti in termini di legittimazione attiva sui quali si stanno facendo delle riflessioni. Alcuni aspetti contenuti nella recente decisione del Comitato sul reclamo n. 173/2018 relativo all’effettività dei diritti sociali dei minori stranieri in Grecia sembrano indicare interessanti prospettive al reclamo a Ventimiglia. Innanzitutto il potere del Comitato di individuare misure urgenti (interim measures) una volta dichiarato ammissibile il reclamo. In secondo luogo un approccio pragmatico incentrato al principio di effettività del diritto che presuppone una analisi dell’applicazione concreta delle misure di tutela dei diritti contestati da parte dello stato resistente. Da ultimo, aspetto essenziale di questa decisione è la conferma dell’orientamento giurisprudenziale secondo il quale i diritti e le garanzie contenute nella carta possano essere fatti valere anche a favore di cittadini stranieri di paesi non aderenti anche in condizione di irregolarità: in un contesto come quello di Ventimiglia, caratterizzato da cittadini stranieri portatori di status giuridici variegati è evidente la centralità di questo principio. Sebbene una auspicabile decisione positiva avrebbe prevalentemente una valenza politica, sarebbe comunque un elemento di grande utilità per promuovere azioni di advocacy, richiamare gli attori pubblici alle loro responsabilità e soprattutto porre l’attenzione sul contesto.
Per quanto riguarda la seconda azione in programma, l’osservazione di quanto rilevato alla stazione di Ventimiglia ha imposto la necessità di ragionare su una azione di contrasto all’intensificarsi delle operazioni di controllo da parte delle pattuglie congiunte di polizia. Come già evidenziato in precedenti contributi, la cooperazione di polizia tra Italia e Francia è stata recentemente rafforzata con l’istituzione di squadre miste per il pattugliamento di frontiera. Nei pressi del binario presso il quale transitano i treni diretti verso la stazione di Mentone sono presenti pattuglie di polizia che effettuano controlli sistematici sulle persone aventi tratti somatici riconducibili a nazionalità straniere. La mancata esibizione dei documenti richiesti sembra autorizzare – nella prassi – le autorità ad ostruire fisicamente l’accesso al binario. Per fronteggiare a queste condotte, il progetto sta ipotizzando una azione collettiva di carattere antidiscriminatorio facendo leva sull’illegittimità della connotazione etnica come elemento che determina il destinatario del controllo di polizia. Il controllo di polizia infatti non dovrebbe basarsi sul ricorso a generalizzazioni di carattere etnico o di appartenenza nazionale, bensì su elementi oggettivi o comportamenti individuali. E questi soli elementi dovrebbero giustificare azioni di controllo. L’eventuale contenzioso introdurrebbe un ragionamento giuridico che, sebbene già sviluppato in altri paesi europei, avrebbe una valenza innovativa a livello nazionale. D’altro canto però presenta evidenti ostacoli di natura probatoria: da una parte la mancanza in Italia di rapporti o studi che si occupino del tema della profilazione etnica nei controlli di polizia e dall’altra la necessità di una osservazione locale temporalmente significativa del fenomeno con la predisposizione di strumenti efficaci di rilevazione quantitativa e qualitativa delle condotte illegittime. In generale inoltre, considerato anche che l’Italia non ha mai reintrodotto i controlli alla frontiera interna francese, le modalità di svolgimento dei controlli di polizia in un’area prossima alla zona di confine suscitano perplessità rispetto alla compatibilità con lo stesso Codice Frontiere Schengen.