Non è legittimo eseguire le riammissioni dei migranti in Slovenia senza un previo esame delle situazioni individuali ed un effettivo coinvolgimento delle persone interessate.
E’ quanto chiede l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione in una lettera aperta inviata al Ministero dell’Interno, alla Questura e Prefettura di Trieste oltre che alla sede per l’Italia dell’UNHCR . L’associazione ha anche elaborato un documento di analisi “La riammissione informale dall’Italia alla Slovenia sulla base dell’Accordo bilaterale Italia – Slovenia e le riammissioni a catena verso la Slovenia e la Croazia“.
Nella lettera l’ASGI ricorda come a metà di maggio 2020 il Ministero dell’interno ha annunciato di voler incrementare le riammissioni di migranti in Slovenia che, nei giorni successivi si sono susseguite con effettiva intensità ed hanno riguardato molti cittadini afgani e pakistani.
Secondo le testimonianze raccolte, le persone riammesse non avrebbero ricevuto alcun provvedimento e ignare di tutto, si sono ritrovate respinte in Slovenia, quindi in Croazia, ed infine in Serbia o in Bosnia sebbene le stesse fossero intenzionate a domandare protezione internazionale all’Italia.
Si tratta di “ riammissioni effettuate non in ragione del ripristino dei controlli alle frontiere interne mai formalmente avvenuto ma in applicazione dell’Accordo bilaterale fra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Slovenia sulla riammissione delle persone alla frontiera, firmato a Roma il 3 settembre 1996, che dimostrano una chiara volontà delle autorità italiane di incrementare riammissioni al confine orientale, secondo le direttive che sarebbero state ricevute direttamente dal Governo italiano.
ASGI perciò chiede di sapere se tali direttive sono effettivamente state impartite da parte del Ministero e comunque di interrompere immediatamente le pratiche illegittime di riammissioni in Slovenia e da qui verso gli altri Stati ricordando che numerose inchieste internazionali testimoniano dei trattamenti inumani e degradanti ai quali, in violazione del divieto inderogabile previsto dall’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo le persone respinte vanno incontro lunga la rotta balcanica.