Gli “accordi per la redistribuzione” come anticamera della negazione dei diritti
Gli “accordi di redistribuzione”, definiti di volta in volta tra l’Italia e i paesi membri che si “offrono volontari” per accogliere una parte dei cittadini stranieri che sbarcano nei porti italiani, sono diventati, in poco tempo, uno degli aspetti caratterizzanti delle nuove politiche di confine.
Inaugurati circa un anno fa e presentati dall’attuale governo come un successo politico, questi “accordi” hanno caratteristiche che li rendono estremamente insidiosi. Infatti non sono disciplinati da alcuna normativa e non impongono obblighi agli Stati membri che vi aderiscono. Si tratta, come abbiamo avuto modo di approfondire (https://medea.asgi.it/le-procedure-propedeutiche-alla-redistribuzione-dei-richiedenti-asilo-osservate-nellhotspot-di-messina/), di iniziative estemporanee, legate alla contingenza e intraprese sotto la scure dell’urgenza dettata dallo stallo delle navi in mare.
Gli hotspot, dispositivi flessibili e scarsamente disciplinati, si prestano ad essere utilizzati quali luoghi nei quali le procedure di redistribuzione si collocano: i cittadini stranieri vi sono illegalmente trattenuti nella fase di identificazione e sono sottoposti alle procedure che seguono: formalizzano la richiesta di asilo, vengono inseriti in liste redatte da EASO in base a procedure di matching richiedente asilo/paese basate su criteri sconosciuti all’opinione pubblica e ai richiedenti asilo stessi, vengono intervistati dalle delegazioni degli Stati membri a cui sono stati “assegnati” e, se selezionati, vengono trasferiti. I tempi non sono noti, i diritti a cui si ha accesso nemmeno, così come gli eventuali mezzi per impugnare decisioni considerate ingiuste. Le modalità di selezione da parte degli Stati membri sono, a loro volta, fonte di preoccupazione: alcuni paesi presentano ai cittadini stranieri quesiti definibili come “culturalmente orientati” e personali relativi, ad esempio, alla propria religione, alle opinioni circa l’uso del velo, al rapporto con le donne e con il lavoro.
Accanto a considerazioni di carattere giuridico, anche il livello esistenziale di queste prassi desta profonda preoccupazione. Possiamo provare a immaginare il senso di straniamento e l’inquietudine che possono accompagnare i cittadini stranieri che si ritrovano all’interno di queste procedure: al periodo di trattenimento di fatto sulle navi del soccorso, nella consapevolezza di essere considerati persone non gradite dal paese che dovrebbe fornire un porto di sbarco sicuro per il termine delle operazioni di soccorso, seguono le fumose procedure viste sopra.
Dal punto di vista dei paesi di destinazione, siamo davanti a un ampio spettro. Tra gli stati che hanno finora dato disponibilità per ospitare alcune delle persone sbarcate in Italia, segnaliamo alcuni paesi con una radicata – seppur contraddittoria – tradizione di gestione delle domande di protezione internazionale – si pensi a Germania e Francia – e altri che, viceversa, hanno tutt’altro che un’esperienza strutturata o, per lo meno, sono piuttosto inusuali.
È il caso della Romania. L’esempio non è astratto: proprio oggi abbiamo ricevuto notizia che M., uno dei cittadini stranieri che era a bordo di una delle navi delle ONG bloccate dall’azione del governo e successivamente trasferito in Romania, ha ricevuto risposta negativa dall’autorità amministrativa e dall’autorità giudiziaria di primo grado con riferimento alla sua domanda di protezione internazionale.
Le estenuanti, complesse e poco comprensibili procedure di selezione che M. ha attraversato si concludono quindi con un rifiuto della sua domanda e con l’abbandono sul territorio senza nessuna presa in carico da parte delle istituzioni e il rischio di essere rimpatriato.
Faremo il possibile, in collaborazione con le reti europee e rumene, affinché M. possa ricevere l’opportuno supporto legale. Allo stesso tempo riteniamo indispensabile ribadire che gli “accordi di redistribuzione” rappresentano una prassi ambigua, pericolosa, che configura un complessivo arretramento dei diritti. La vicenda di M. – che ci auguriamo finisca nel migliore dei modi – ne è la palese rappresentazione.