Il “Contratto di Governo”: prestazioni sociali solo agli italiani e violazioni del diritto dell’UE

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ASGI :”Una miope politica del “prima i nostri” ignora che l’uguaglianza è uno dei valori cardine sui quali si basa il nostro Patto sociale e rappresenta un motore allo sviluppo economico perché favorisce la miglior distribuzione delle risorse umane, riducendo la conflittualità”.

 

Nel dibattito che sta seguendo alla redazione del “Contratto di Governo” scarsa attenzione è stata sinora posta al passaggio che vuole introdurre la nota prestazione generalizzata di contrasto alla povertà limitandola – così dice il programma – ai soli cittadini italiani.

Nel “Contratto” al capitolo 19  si legge infatti: “Il reddito di cittadinanza è una misura attiva rivolta ai cittadini italiani al fine di reinserirli nella vita sociale e lavorativa del Paese”.

I poveri ai quali è garantito il riscatto dalla loro posizione sarebbero, dunque, solo i cittadini italiani, mentre i migranti regolarmente soggiornanti (siano essi cittadini dell’Unione o extra UE) verrebbero lasciati nella loro condizione di miseria, in attesa di essere allontanati/espulsi, probabilmente secondo le nuove regole in via di elaborazione.

E’ indispensabile rilevare subito come una misura di questo genere risulterebbe manifestamente illegittima oltre che del tutto ingiusta e irrazionale.

Con riferimento ai cittadini dell’Unione una norma così strutturata risulterebbe, infatti, in contrasto con l’art. 18 del TFUE che vieta qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità e con l’art. 24 Direttiva 2004/38 che garantisce parità di trattamento ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari rispetto ai cittadini dello Stato ospitante, in particolare a tutti i lavoratori, ai disoccupati in cerca di lavoro e a tutti i cittadini dell’Unione che godono del diritto di soggiorno permanente.

Quanto poi ai cittadini provenienti a Paesi Terzi il “contratto” ignora evidentemente che gran parte di costoro gode del diritto alla parità di trattamento in forza di specifiche direttive dell’Unione che il legislatore italiano non è abilitato a derogare: si tratta in particolare dei titolari di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo (che rappresentano ormai il 55% degli stranieri extra UE presenti in Italia) dei titolari di permesso unico lavoro, dei familiari di cittadini dell’Unione, dei titolari di protezione internazionale, dei titolari di Carta blu UE.

Analoghe considerazioni vanno fatte poi per la “pensione di cittadinanza” che sembra essere indicata come una sorta di integrazione al minimo della pensione contributiva (e che dunque introdurrebbe una differenziazione per cittadinanza addirittura tra lavoratori) o come una sorta di assegno sociale (che già oggi è incluso, ai sensi del Regolamento CE 883/04, tra le prestazioni che devono essere garantite in modo eguale a tutti i cittadini dell’Unione e a tutti i titolari di permesso unico lavoro).

E lo stesso deve dirsi per il fugace accenno secondo il quale l’asilo nido in forma gratuita dovrebbe essere garantito “alle famiglie italiane”.

I sottoscrittori del “contratto” sembrano quindi non rendersi conto che una legislazione che dovesse basarsi su queste premesse è destinata a scontrarsi con norme di rango superiore che il nostro Paese è tenuto a rispettare, riaprendo cosi la strada a un contenzioso giudiziario che lo Stato italiano ha già dovuto affrontare per altre prestazioni sociali, risultando sempre soccombente, con costi per la collettività non solo in termini economici, ma prima ancora in termini di disparità di trattamento (tra chi aziona in giudizio il suo diritto e chi non lo fa) e soprattutto di certezza del diritto.

Ma ciò che più ancora rileva è che una miope politica del “prima i nostri” ignora che l’uguaglianza è uno dei valori cardine sui quali si basa il nostro Patto sociale (art. 3 Cost.); che l’uguaglianza rappresenta l’indispensabile fondamento per una politica di integrazione dei cittadini migranti e di superamento di ogni situazione di marginalità e di insicurezza; che l’uguaglianza, infine, è motore di sviluppo economico perché favorisce la miglior distribuzione delle risorse umane e riduce la conflittualità, contribuendo a un Paese dove tutti coloro che sono legati dal vincolo del territorio ricevono diritti e restituiscono doveri.

Un Paese senza uguaglianza è invece non solo più ingiusto, ma anche più povero.


 

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