Le notizie apparse sui quotidiani locali nei giorni scorsi fanno pensare che, dopo gli esperimenti del 2012 finalizzati alla creazione di “classi speciali”, dopo il rifiuto/impossibilità nel 2013 di accogliere subito, all’arrivo, i minori stranieri ricongiuntisi con i genitori, ancora una volta la città di Bologna mostra l’incapacità di gestire razionalmente l’esercizio del diritto allo studio che la Costituzione garantisce anche ai cittadini stranieri.
E’ di questi giorni, infatti, la notizia dell’allarme suscitato dal previsto arrivo, entro Natale, di 77 nuovi alunni stranieri, rispetto ai quali pare non ci sarà capienza nelle scuole bolognesi. Neppure tutti coloro che sono già arrivati in estate hanno trovato collocazione, nonostante fossero già iscritti, e si paventa l’impossibilità di trovare posto nelle scuole in quei quartieri ove sono avvenute le assegnazioni degli alloggi pubblici.
Situazione certamente paradossale, sia perché l’incidenza dei nuovi alunni di cittadinanza straniera è residualissima rispetto alla percentuale complessiva degli alunni stranieri sul territorio bolognese (23% rispetto al totale degli alunni: dati della Regione Emilia Romagna), sia perché l’immigrazione è una realtà oramai esistente da molti anni (dati MIUR 2014) e dunque non si può più parlare né di “fenomeno” né tanto meno di emergenza.
Perché allora le scuole bolognesi non sono in grado di gestire situazioni per gran parte prevedibili e programmabili?
Si assiste ad un rimpallo di responsabilità (non ci sono scuole, non ci sono classi, ecc.), senza che nessuno si preoccupi di farsi carico, collettivamente, di una così grave violazione di un diritto fondamentale e di ottemperare ad un obbligo di legge, quello di garantire a tutti l’istruzione scolastica.
Nella primavera 2014, dopo l’oramai periodico allarme, le varie Istituzioni competenti in materia di diritto allo studio hanno stilato un “Protocollo per l’accoglienza e l’inclusione degli alunni stranieri” e sono state redatte le “Linee Guida per l’accoglienza e l’inclusione degli alunni stranieri”, il primo organizzando 4 scuole-polo, con compiti di accoglienza dei minori stranieri e successivo smistamento presso “scuole in rete disponibili all’accoglienza”, le seconde prefigurando un tempestivo inserimento nella classe assegnata al minore a seguito di individuazione di quelle disponibili.
Pur riconoscendo le “buone intenzioni” di tali Atti, non può non notarsi come entrambi stiano di fatto delineando un sistema speciale di inserimento dei minori stranieri nelle scuole pubbliche, innanzitutto non definendo i tempi esatti dell’inserimento nelle classi effettive (con il rischio che l’attesa eroda il tempo scolastico ordinario) e derogando alla regola principale vigente per gli “altri” alunni, ovverosia l’iscrizione nelle scuole del quartiere di residenza dei genitori o di lavoro degli stessi. Se il criterio scelto è, infatti, quello della individuazione, da parte delle scuole-polo, della “scuola in rete disponibile all’accoglienza” cosa succederà se nessuna scuola si dichiarerà disponibile o se le scuole disponibili siano collocate lontane dalla residenza o dai luoghi di lavoro dei genitori, con conseguente maggiore difficoltà di frequenza degli alunni stranieri? Lontananza che, peraltro, incide anche sulle possibilità effettive di socializzazione dei minori stranieri con i compagni di scuola nel tempo extrascolastico e dunque con incidenza sul processo di integrazione.
Una situazione quale quella sopra descritta deriva certamente da una sottovalutazione della realtà sociale che caratterizza l’Italia ormai da decenni.
A fronte di una presenza dei minori stranieri in arrivo, da tempo monitorata in collaborazione con la Prefettura di Bologna, non può essere una scusante l’inagibilità delle classi per un numero superiore a quello autorizzato, né la mancanza di classi in sé e per sé, né il taglio dei fondi scolastici, né la carenza di organico.
Elementi tutti che, pur concreti e reali, devono essere affrontati e risolti dalle Istituzioni preposte al sistema scolastico in termini complessivi, valutando cioè l’intera popolazione scolastica, i cui numeri sono oggettivamente prevedibili e dunque programmabili.
Quello che manca, dunque, è una seria programmazione ed è sconcertante che ogni anno Bologna riproponga una situazione in cui gli alunni stranieri faticano ad entrare nel sistema scolastico, o vi entrano tardi, o rischiano di finire in inaccettabili classi-ponte, quando è un dovere (non certo una facoltà) per le Istituzioni garantire loro un esercizio effettivo del diritto previsto dall’art. 34 della Costituzione e disciplinato dall’art. 38 TU d.lgs. 286/98 e art. 45 d.p.r. 394/99, la cui inottemperanza ha precise responsabilità giuridiche.
Se, anziché gridare all’allarme o trovare soluzioni inique, le Istituzioni facessero una seria programmazione, sarebbe più facile trovare soluzioni condivise e non discriminatorie, come potrebbe essere quella di lasciare liberi alcuni posti in ogni classe delle scuole dei quartieri dove già si è a conoscenza degli arrivi di alunni stranieri, così da non trovarsi davanti, ad inizio anno scolastico, ad una saturazione delle classi che, formalmente, pone davanti un muro.
L’emergenza non è data dagli arrivi dei piccoli nuovi cittadini ma dalla incapacità istituzionale di gestire una realtà consolidata.
ASGI auspica che la reiterata emergenza delle scuole bolognesi trovi rapida soluzione, anche attraverso un immediato aumento delle classi già formate e conseguente redistribuzione degli alunni ed inserimento dei nuovi in arrivo, tenendo peraltro conto del limite indicato dall’art. 45 d.p.r. 394/99 che prescrive di evitare la costituzione di classi “in cui risulti predominante la presenza di alunni stranieri”, per evitare ingiuste ghettizzazioni.
La scuola dovrebbe essere la prima protagonista nella creazione di una cultura pacifica ed egualitaria. Quello che sta accadendo non va proprio in questa direzione.