TAR Lazio: il giudice ordinario ha “giurisdizione esclusiva” sul contrasto alle discriminazioni

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Secondo il TAR Lazio l’azione con la quale si contesta un provvedimento amministrativo deducendo la sussistenza di una discriminazione in ragione della nazionalità, deve sempre essere devoluta al giudice ordinario ai sensi dell’art. 28 DLgs 150/11.

La decisione del TAR Lazio, per alcuni aspetti sorprendente,  imprime una svolta al tema, sempre controverso, di quale sia il giudice “competente” in caso di discriminazione posta in essere dalla Pubblica Amministrazione nell’esercizio di poteri pubblici: una problematica nella quale individuazione della giurisdizione e individuazione dei poteri del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione si intrecciano costantemente. Il TAR Lazio non affronta ovviamente il secondo problema (che spetta semmai al giudice ordinario) .

Il TAR  conferma i criteri di azione sempre privilegiati all’interno di ASGI,  che già nel 2011 avevano condotto a due pronunce di Cassazione in punto di giurisdizione: Cass. 3670/11 e Cass. 7186/11 (la prima, ampiamente citata dal TAR Lazio,  nasce proprio da una azione di ASGI contro una delibera del Comune di Brescia).

Le due sentenze, pur differenziandosi parzialmente nei passaggi argomentativi relativi ai poteri del giudice ordinario nei confronti della PA,  avevano affermato la piena giurisdizione del giudice ordinario nei confronti di atti discriminatori e la seconda aveva addirittura delineato, in tema di discriminazione, una “risalita” dell’interesse legittimo verso il diritto soggettivo affermando che “anche laddove la procedura è attivata nell’ambito di un procedimento per il riconoscimento da parte della PA di una utilità rispetto alla quale i privato gode di una posizione di interesse legittimo e non di diritto soggettivo […] la tutela contro la discriminazione è assicurata secondo il modulo del diritto soggettivo e delle relative giurisdizioni […]”. 

Le due pronunce avevano così aperto la strada ai giudici di merito che avevano poi sempre riconosciuto la propria giurisdizione su atti amministrativi illegittimi (circolari, ordinanze, a volte anche regolamenti comunali) ove contestati sotto il profilo della violazione del divieto di discriminazione. Sicché le uniche volte in cui la questione è tornata in Cassazione la decisione è stata la medesima. Così nella pronuncia delle SSUU 7951/16  (servizio civile) e in quella della sezione lavoro  11166/17 (circolare INPS).

Questo assetto, ampiamente consolidato, sembrava tuttavia lasciare indenne la prospettiva di una duplice tutela, restando ammissibile sia una azione avanti il TAR per contestare i vizi dell’atto diversi dalla discriminazione, sia l’azione civile allorché si faccia valere il diritto soggettivo a non essere discriminati, quale diritto fondamentale della persona: ovviamente con diversità di poteri in capo ai due giudici, l’uno (quello amministrativo) abilitato all’annullamento dell’atto, l’altro (quello civile) abilitato soltanto a ordinare la sua rimozione, oltre agli altri provvedimenti consentiti dall’art. 28 Dlgs 150/11 (pubblicazione della decisione, piano di rimozione, risarcimento del danno ecc.).

Il TAR Lazio sembra ora voler andare oltre, affermando “la sussistenza di una sorta di giurisdizione esclusiva” in favore dell’AGO e concludendo per la carenza di giurisdizione per decidere sulla questione (che nella specie era la impugnazione della circolare INPS n. 39 del 27.2.2017 che aveva introdotto limitazioni a carico degli stranieri per il diritto al premio alla natalità).

La conclusione – pur apprezzabile nella parte in cui intende valorizzare il diritto alla non discriminazione come diritto assoluto della persona  – appare fin eccessiva perché, superando l’ipotesi di una duplice tutela dipendente dalla prospettazione avanzata in giudizio,  finisce per impedire al discriminato di poter accedere alla rimozione dell’atto amministrativo, posto che l’unico giudice che, in quest’ottica, sarebbe dotato di giurisdizione, non sarebbe mai titolare del potere di annullamento.

Non solo, ma la ricostruzione di una “sorte di giurisdizione esclusiva” mal si attaglia alle ipotesi in cui sussiste una “vera” giurisdizione esclusiva in favore del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133 codice del processo amministrativo: in tali casi infatti la qualificazione della posizione soggettiva come diritto (o addirittura come diritto fondamentale della persona) non è affatto idonea a far venir meno la giurisdizione, essendo ormai pacifica l’idoneità della giurisdizione amministrativa ad offrire piena tutela ai diritti soggettivi, anche costituzionalmente garantiti (cosi tra le molte Cass. 25011/14 in tema di discriminazione del disabile nell’accesso al sostegno scolastico).

Non può poi dimenticarsi  l’esistenza di una recente e discutibile  pronuncia del Consiglio di Stato che, sempre in materia di sostegno scolastico ai disabili, ripartisce il procedimento di attribuzione delle ore di sostegno in una prima parte ove vi sarebbe esercizio di pubblici poteri e di discrezionalità e in una seconda ove vi sarebbe soltanto attività vincolata della PA, ammettendo la discriminazione solo nella seconda fase e affermando che invece, nella prima, risulterebbe “inconfigurabile qualsiviglia profilo antidiscriminatorio” (Ad. Plen. CdS 7/2016) così ipotizzando – se pure solo nelle materie oggetto di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo – una sfera dell’attività amministrativa sottratta al vaglio del diritto antidiscriminatorio.

E ancora non può dimenticarsi l’anomalia di un ordinamento come il nostro che, se da un lato, con l’art. 28 dlgs 150/11 sembra delineare il giudice ordinario come giudice unico delle discriminazioni, mantiene poi la ripartizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo per quanto riguarda la discriminazione di genere sul lavoro (l’azione si propone infatti davanti al giudice del lavoro o al TAR , ai sensi dell’art. 36 del Codice delle pari opportunità); e mantiene nella giurisdizione del TAR le controversie del personale pubblico non contrattualizzato, sicché il poliziotto discriminato ha oggi come suo giudice della non discriminazione solo quello amministrativo.

In un simile contesto, ci si rende subito conto che la sentenza TAR Lazio non può considerarsi la parola definitiva sulla questione.

Certamente la pronuncia conferma autorevolmente quanto già sapevamo e cioè che l’azione civile contro la discriminazione può essere rivolta nei confronti della PA anche qualora la stessa operi nell’esercizio di poteri pubblici. Che poi sia l’unica azione possibile, o non sia invece preferibile riconoscere una duplicità di tutele connesse alla diversa posizione soggettiva dedotta in giudizio, è questione che rimane ancora aperta.

La sentenza

Commento a cura dell’avv. Alberto Guariso – servizio antidiscriminazione – con il supporto della Fondazione Charlemagne

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