La Cassazione conferma la legittimazione ad agire di ASGI e APN nelle cause collettive in difesa degli stranieri

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Nuovamente battuta in Cassazione la tesi che vorrebbe limitare la legittimazione attiva delle associazioni iscritte nell’elenco ex art. 5 d.lgs. 215/03 alle sole discriminazioni collettive  basate su razza e  etnia.

Una conferma ulteriore al principio già affermato dalle pronunce n. 11165 e n. 11166 del 2017 arriva con la sentenza n. 28745 del 7 novembre 2019.

Il merito della causa riguarda una questione ormai nota, trattandosi ancora una volta del comportamento tenuto dall’INPS quando si ostinava a negare l’assegno per il nucleo familiare numeroso di cui all’art. 65 L. 448/1998 ai titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo, in particolare per il periodo antecedente l’entrata in vigore della legge europea 97/13 che ha adeguato l’ordinamento italiano a quello dell’Unione. La questione è stata poi risolta da detta legge,   ma anche questa parte della sentenza merita di essere segnalata, in particolare laddove ribadisce che l’assegno in questione va ricondotto all’ambito delle prestazioni essenziali, sulla scorta di una lettura coordinata con l’art. 34 CDFUE; e laddove conferma il principio secondo cui lo Stato membro può avvalersi di una facoltà di deroga concessa da una direttiva solo se lo dichiara espressamente, sicchè la semplice formula “salvo che sia diversamente disposto” (di cui all’art. 9, comma 12, lett c) TU immigrazione) non è sufficiente a integrare una effettiva deroga.

Ma il punto centrale della sentenza è, come detto, quello sulla legittimazione attiva, ancora una volta contestata dall’INPS in spregio alla ovvia considerazione che l’azione collettiva si risolve in un vantaggio per lo stesso Istituto ponendo un freno al moltiplicarsi del contenzioso individuale e garantendo omogeneità di trattamento su tutto il territorio nazionale: significativo da questo punto di vista il caso del “premio alla nascita”,  dove una sola azione ha garantito il riconoscimento del diritto alle circa 18.000 mamme straniere prive di permesso di lungo periodo  che ogni anno partoriscono; che, stando all’INPS, sarebbero rimaste prive della prestazione e che quindi  avrebbero probabilmente promosso giudizio.

L’impugnazione dell’INPS è stata rigettata sulla base di ampie argomentazioni, tra le quali si segnalano le seguenti:

  • l’esclusione dall’ambito dell’art. 5 d.lgs 215/2003 delle differenze di trattamento basate sulla nazionalità porterebbe a “negare l’esistenza stessa e la rilevanza nell’ordinamento di discriminazioni collettive fondate sulla nazionalità” e negherebbe “l’esigenza di garantire, se non con azioni individuali, una protezione giudiziale di interessi condivisi da una pluralità di soggetti”.
  • Benchè l’art. 43 TU non contenga una definizione di discriminazione collettiva, contiene tuttavia l’ampio riferimento a “ogni comportamento” e dunque anche a comportamenti che ledano una collettività di soggetti, mentre il fatto che l’art. 44 disciplini l’azione collettiva in favore degli stranieri solo nell’ambito delle discriminazioni sul lavoro non comporta affatto che il legislatore intenda escluderla per gli altri ambiti.
  • L’espressione “fatto salvo il disposto dell’art. 43 TU” contenuta nell’art. 4 d.lgs.215/03 manifesta la volontà del legislatore di mantenere collegate le due tutele.
  • In tema di discriminazioni la legittimazione ad agire in capo ad un soggetto collettivo non rappresenta un’eccezione, ma la regola generale “funzionale all’esigenza di prestare una tutela attraverso un rimedio di natura inibitoria” per contrastare il rischio di una lesione con un carattere diffuso.
  • Sarebbe dunque una “vistosa eccezione” incompatibile anche con numerose norme di rango internazionale e europeo (sulle quali la Cassazione si sofferma) che il solo fattore nazionalità, unico tra i fattori protetti, restasse privo di una tutela processuale a fronte di discriminazioni collettive.

A questo punto –  pur nell’inerzia del legislatore che avrebbe potuto e dovuto intervenire per razionalizzare la normativa –  può ritenersi che la giurisprudenza della Cassazione sul punto sia ormai consolidata e che quindi le associazioni iscritte (tra cui ASGI e APN) possano attivarsi senza timori “processuali” nell’opera di contrasto alle discriminazioni dei migranti.

La sentenza

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