Il reddito di cittadinanza e gli stranieri : le FAQ dell’ASGI

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Tra i vari quesiti che ci sono stati posti  abbiamo pensato di raccogliere le domande più frequenti e condividere le risposte per capire cosa è legittimo e cosa non lo è.

La nostra Costituzione consente che una prestazione sociale volta a contrastare la povertà assoluta sia riservata ai soli cittadini italiani?

No. La Corte Costituzionale ha affermato più volte che le prestazioni “destinate a far fronte al sostentamento della persona” (sent. 187/10) non possono subire limitazioni di alcun genere, né in base alla nazionalità, né in base al titolo di soggiorno, né pretendendo requisiti di lungo-residenza nel territorio sproporzionati (come ad esempio il requisito di cinque anni di residenza nella regione di cui alla sentenza 166/18). Lo stesso ha affermato la Corte di Strasburgo (CEDU) condannando anche l’Italia quando riconosceva l’assegno famiglie numerose ai soli cittadini italiani.

 

Riconoscere il reddito di cittadinanza ai soli italiani contrasta anche con il diritto dell’Unione Europea?

Sicuramente. Per quanto riguarda i cittadini dell’Unione contrasta con l’art. 18 del Trattato (TFUE) che vieta la discriminazione in ragione della nazionalità e con l’art. 4 del Regolamento 883/04 che impone la parità di trattamento per i cittadini dell’Unione nell’attribuzione delle prestazioni di sicurezza sociale.

Per quanto riguarda i cittadini extra Ue, contrasta con l’art. 11 della direttiva 2003/109 che garantisce la parità di trattamento nell’assistenza e protezione sociale a tutti gli stranieri titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo;  con l’art. 24 della direttiva 2011/95 che garantisce la parità di trattamento ai titolari di protezione internazionale;  con l’art. 14 della direttiva 2009/50 che garantisce la parità di trattamento ai titolari di carta blu (stranieri altamente qualificati).

Se poi il reddito di cittadinanza venisse configurato come uno strumento di ricollocazione al lavoro (eventualmente sostituendo anche la attuale NASPI), ricadrebbe anche nell’ambito della direttiva 2011/98 che garantisce la parità di trattamento ai cittadini stranieri titolari di permesso unico lavoro (cioè titolari di permesso per lavoro, per famiglia, per attesa occupazione).

In pratica, quindi, tutti i cittadini dell’Unione Europea e tutti cittadini di paesi terzi sono tutelati da disposizioni sovranazionali che vietano una scelta come quella prospettata dal Governo.

 

Cosa succede se il Governo procede lo stesso su questa strada?

Si moltiplicherebbe il contenzioso da parte dei soggetti esclusi, con rilevanti costi per la collettività. La questione finirebbe poi sicuramente sia davanti alla Corte Costituzionale (per gli aspetti di violazione della Costituzione), sia davanti alla Corte Europea (per gli aspetti di violazione delle direttive) con il rischio di dover risarcire tutti gli stranieri originariamente esclusi.

 

Ha ragione Di Maio nel dire che gli stranieri non possono essere inclusi perché non si ha certezza sul loro numero, che può variare di anno in anno? (vedi video pubblicato da Repubblica on line il 21.9.2018)

Ovviamente non rileva la variazione del numero di “sbarchi” (al quale fa riferimento Di Maio nell’intervista) perché il richiedente asilo o chi si trova in condizione di soggiorno irregolare non ha diritto ad alcuna prestazione sociale, se non quelle previste dal sistema di accoglienza.

Rileva invece il numero di stranieri regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale e quanti di essi sono al di sotto della soglia di povertà (secondo i dati ISTAT 1,6 milioni): dati che ovviamente l’amministrazione conosce. L’obiezione è comunque assurda perché equivale a sostenere che non possono stanziarsi soldi per gli ospedali perché non si sa quante saranno le persone che si ammalano.

 

L’attribuzione agli stranieri del reddito di cittadinanza costituirebbe un fattore di attrazione dell’immigrazione?

Il numero di immigrati extra UE che possono avere accesso in Italia è fissato dal decreto flussi previsto dall’art. 3 TU immigrazione e dunque definito dallo Stato. Non dipende dall’attrazione che lo Stato esercita sui cittadini stranieri. Come noto, attualmente l’Italia ha bloccato i flussi di ingresso regolare e pertanto gli stranieri,  attratti o meno che siano, non possono fare ingresso regolarmente in Italia.

Quanto ai cittadini UE, vale quanto previsto dalla direttiva 2004/38 e dal d.lgs. 30/07: come detto, hanno diritto alla parità di trattamento,  ma se sono inattivi e privi di mezzi di sussistenza non possono restare sul territorio di un altro Stato al solo fine di percepire un aiuto. La questione è stata affrontata ripetutamente dalla Corte di Giustizia (sentenze  Alimanovic, Dano e altre) e non richiede quindi altri strumenti restrittivi da parte dei singoli Stati.

 

Ma uno straniero che è privo dei mezzi di sussistenza non dovrebbe essere espulso?

Il permesso per lavoro richiede la titolarità di un rapporto di lavoro, anche se produttivo di un reddito minimo; inoltre dopo la cessazione del rapporto è possibile ottenere un permesso per attesa occupazione di almeno un anno (art. 22 TU immigrazione)

In tali condizioni è ben possibile che lo straniero, pur mantenendo il diritto al soggiorno, scenda al di sotto della soglia di povertà (al di sotto della quale il Governo dichiara di voler intervenire).

Anche per acquisire il permesso di soggiorno di lungo periodo la legge richiede un reddito pari all’importo dell’assegno sociale (art. 9 TU immigrazione) e dunque inferiore al livello di possibile povertà

Infatti il numero di stranieri regolarmente soggiornanti, ma in condizioni di povertà è molto elevato (come detto, ammonta a 1,6 milioni); inoltre il tasso di disuguaglianza tra cittadini e stranieri è molto più alto in Italia che nel resto d’Europa.

Se il reddito di cittadinanza costituisce uno strumento per uscire dalla povertà, fruire di un progetto di reinserimento sociale e tutelare i valori fondamentali della persona, non vi è alcuna ragione per escludere da esso gli stranieri regolarmente soggiornanti: sarebbe un danno non solo per gli stranieri, ma anche per la collettività.

 

La nostra Costituzione consente che una prestazione sociale volta a contrastare la povertà assoluta sia riservata ai soli cittadini italiani?

No. La Corte Costituzionale ha affermato più volte che le prestazioni “destinate a far fronte al sostentamento della persona” (sent. 187/10) non possono subire limitazioni di alcun genere, né in base alla nazionalità, né in base al titolo di soggiorno, né pretendendo requisiti di lungo-residenza nel territorio sproporzionati (come ad esempio il requisito di cinque anni di residenza nella regione di cui alla sentenza 166/18). Lo stesso ha affermato la Corte di Strasburgo (CEDU) condannando anche l’Italia quando riconosceva l’assegno famiglie numerose ai soli cittadini italiani.

 

La legge potrebbe limitare il reddito di cittadinanza a coloro che risiedono in Italia da almeno 10 anni come preannunciato da Di Maio ?

La Corte costituzionale, giudicando recentemente una norma nazionale che prevedeva, per accedere a un fondo nazionale di sostegno alla locazione per famiglie bisognose ,  il requisito di 10 anni di residenza nello Stato o 5 anni nella Regione , ha recentemente stabilito che entrambi i requisiti sono del tutto “irragionevoli e arbitrari” : quello di  10 anni “attinge gli estremi dell’irrazionalità intrinseca” perché equivale al requisito necessario per ottenere la cittadinanza italiana; e anche quello dei 5 anni è irrazionale perché “non si può ravvisare alcuna ragionevole correlazione” tra il soddisfacimento di bisogni primari (che anche il reddito di cittadinanza sarebbe chiamato a soddisfare) e la lunga permanenza in un determinato territorio  (sentenza 166 del 20.7.18)

 

A cura del Servizio antidiscriminazione

Foto da Pixabay

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