Strage di bambini dell’11 ottobre 2013: le responsabilità e la cronaca della tragedia nella sentenza sul naufragio

mare visto da una grata

Con la sentenza n. 14998 del 15.12.2022 il Tribunale di Roma ha deciso della imputazione per i reati di rifiuto di atti di ufficio (art. 328, c.p.) e omicidio colposo (art. 589, c.p.) nei confronti del responsabile della centrale operativa del Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto con compiti relativi al soccorso marittimo, Leopoldo Manna, e del capo sezione della sala operativa di CINCNAV (Comando in capo della squadra navale della Marina Militare), Luca Licciardi, con riferimento al naufragio dell’11 ottobre 2013 noto come la “strage dei bambini”, in cui persero la vita  286 persone di cui almeno 60 minori

Il Tribunale ha dichiarato la prescrizione dei reati contestati, accertando però al contempo la responsabilità degli imputati per quanto accaduto.

La vicenda

L’11 ottobre 2013, a pochi giorni di distanza dal terribile naufragio avvenuto il 3 ottobre 2013 davanti all’isola di Lampedusa, un medico siriano a bordo di un’imbarcazione partita dalla Libia insieme a un alto numero di persone (un numero stimato fra 250 e 400, inclusi moltissimi bambini) ha chiamato per ben 6 volte nell’arco di 5 ore il centro di coordinamento del soccorso marittimo italiano (IMRCC) descrivendo nel dettaglio la gravissima situazione in cui versava l’imbarcazione, segnalando i guasti al motore, la presenza di persone ferite a bordo e di moltissimi minori e descrivendo chiaramente l’emergenza derivante dal fatto che la nave stava imbarcando acqua. Nonostante la presenza di diverse navi militari italiane nelle vicinanze e in particolare della nave “Libra” inizialmente a sole XX miglia di distanza, le autorità competenti per l’intervento e il coordinamento dei soccorsi (IMRCC e CINVNAV) non solo hanno rifiutato di coordinare il soccorso e hanno omesso di fornire informazioni complete alle autorità maltesi, responsabili per l’area SAR dove si trovava il barcone, ma hanno addirittura ordinato alle proprie navi di allontanarsi dalla posizione del barcone in distress alla luce del fatto che la nave in pericolo si trovava fuori dalla zona SAR italiana. A causa del mancato intervento delle autorità italiane e della solo parziale trasmissione di informazioni rilevanti alle autorità maltesi, l’imbarcazione in questione non ha ricevuto supporto in tempo, si è capovolta e hanno perso così la vita centinaia di persone.

La sentenza

I due dirigenti sono stati per questo sottoposti a un processo iniziato molto in ritardo davanti al Tribunale di Roma, dopo il trasferimento da Agrigento e ben due richieste della Procura di archiviare le indagini, per i reati di omissione di atti d’ufficio e omicidio colposo. I reati sono stati considerati prescritti ma questa sentenza appare oggi più che mai importante alla luce del continuo tentativo da parte delle autorità italiane di sottrarsi agli obblighi di coordinamento e assistenza quando a trovarsi in pericolo in mare sono persone migranti. Il ping pong con le autorità maltesi e la delega a quelle libiche rappresentano oggi prassi costanti di MRCC Roma e delle altre amministrazioni coinvolte in materia, che sistematicamente portano al respingimento e talvolta alla morte di moltissime delle persone che attraversano il Mediterraneo centrale. Questa sentenza chiarisce che queste prassi possono portare alla configurazione di reati anche molto gravi come l’omicidio colposo e fa chiarezza sull’interpretazione delle norme di diritto del mare che sono spesso disattese dagli Stati europei impegnati nel contrasto a ogni costo alla migrazione.

In primo luogo la sentenza fa luce nel dettaglio sugli obblighi operativi in capo all’MRCC che riceva una chiamata di emergenza sulla base dei piani operativi interni e delle norme di diritto internazionale che non possono essere mai disattesi.

In questo senso la sentenza chiarisce ancora una volta che gli obblighi di soccorso e intervento non si esauriscono in capo al Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso Marittimo, (IMRCC) quando l’evento di pericolo avvenga al di fuori della sua zona SAR. Al contrario questi obblighi sussistono pienamente anche quando un altro Stato si assume formalmente il coordinamento delle operazioni: “In particolare, fuori delle acque territoriali e della zona SAR di competenza italiana, è imposto ad IMRCC – che assicura l’organizzazione generale dei servizi marittimi di ricerca e salvataggio – di tenere i contatti con i centri di coordinamento del soccorso degli altri stati (…) e di intervenire secondo la scelta dei mezzi più idonei al relativo svolgimento che è prerogativa del MRCC responsabile e richiedente. In tal caso alle Autorità italiane spetta, oltrechè trasmettere tutte le informazioni acquisite, il compito di fornire, a richiesta l’assistenza all’Autorità procedente ed in particolare mettere a disposizione navi, aeromobili, personale o materiale (art. 3.1.7 conv. SAR). Perciò stesso la “sicurezza pubblica” – che imponeva di agire altrimenti alla data dell’evento, salvaguardando l’incolumità dei migranti in pericolo conclamato – non è soltanto riferibile ad aree di pertinenza del nostro Paese ovvero rientranti nella nostra competenza SAR e da garantirsi all’interno dell’ambito territoriale (e giurisdizionale) italiano, ma rappresenta, piuttosto, il bene/interesse tutelato penalmente sia che si assuma il coordinamento delle operazioni di salvataggio, sia che si debba prestare assistenza ai coordinatori degli altri Stati richiedenti”.

Il Tribunale di Roma inoltre ha chiarito poi come l’eventuale corresponsabilità delle autorità maltesi – di cui da anni sono note l’inefficienza e la reticenza all’intervento di soccorso con riferimento alle imbarcazioni di migranti – non fa venir meno la responsabilità penale delle figure che sono comunque contitolari di obblighi di garanzia, come nel caso dei due imputati.

Ricordiamo infine che la stessa vicenda è stata anche oggetto della pronuncia del 21 gennaio 2021 da parte del Comitato ONU per i Diritti Umani (OHCHR) che ha condannato l’Italia per la violazione degli artt. 2 (3) e 6 del Patto delle NU per i Diritti Civili e Politici, che proteggono il diritto alla vita di ogni persona. Anche in questo caso la responsabilità dello Stato italiano è stata valutata a partire dalla considerazione per cui alcune circostanze fattuali (le chiamate, la presenza delle navi italiane nelle vicinanze) hanno determinato l’insorgere del nesso giurisdizionale per l’Italia, nonostante il fatto che il naufragio sia avvenuto in acque internazionali e nella zona SAR di uno Stato differente. Anche in questo caso, l’eventuale corresponsabilità maltese non ha fatto venire meno quella italiana.

Oggi queste pronunce appaiono fondamentali per contrastare la narrazione e soprattutto le pratiche dei governi italiani, e in particolare di quello attuale, che vanno in effetti nella direzione sanzionata:  quella di evitare ad ogni costo l’intervento delle amministrazioni italiane, mettendo a rischio la vita di chi si trova in pericolo nel Mediterraneo, grazie ad una interpretazione formalistica delle norme sulla distribuzione di compiti e responsabilità in materia di soccorso in acque internazionali, attraverso un utilizzo strumentale delle regioni SAR e la sovversione dei principi del diritto internazionale del mare e dei diritti umani.

Si veda anche

Sentenza sulla strage di bambini dell’ 11 ottobre 2013: accertata l’omissione di soccorso – Comunicato degli avvocati e avvocate delle parti civili, 16 dicembre 2022

Mediterraneo. La “strage dei bambini” tra tribunali e politica – Volere la Luna, 22 dicembre 2022