Reddito di cittadinanza: massima confusione sui rifugiati

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La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale  della legge di conversione del decreto sul reddito di cittadinanza (L. 26/10) , porta ulteriori elementi di confusione, a conferma di una norma nata, per la parte riguardante gli stranieri,  all’insegna del pressapochismo e della volontà di esclusione.

Oltre ai già denunciati requisiti dei 10 anni di residenza e del permesso di lungo periodo e alla conferma del cd “emendamento Lodi” , la legge conferma la mancata introduzione tra gli aventi diritto dei titolari di protezione internazionale (rifugiati e titolari di protezione sussidiaria) : omissione paradossale se si considera che, già prima della conversione in legge,  l’INPS aveva messo in circolazione e fatto utilizzare un modulo di domanda che recava (e reca tuttora) tra le caselle degli aventi diritto anche i titolari di protezione internazionale. Siamo dunque di fronte a una modifica legislativa “a mezzo modulo”, introdotta per rimediare a una norma di legge palesemente illegittima per contrasto con l’art. 29 della direttiva 2011/95 che garantisce ai titolari di protezione internazionale parità di trattamento, rispetto ai cittadini, nelle prestazioni di assistenza sociale.

 

Benché forse (ma, a questo punto, la cosa non è affatto chiara) ammessi al beneficio, i titolari di protezione sussidiaria non sono esentati dall’obbligo di procurarsi i documenti nel paese di origine: “l’emendamento lodi” esenta infatti i soli rifugiati, nonostante anche i titolari di protezione sussidiaria, siano esposti, al pari dei rifugiati, al pericolo di un “danno grave” in caso di rientro in patria per la ricerca dei documenti.

 

E ancora, con riferimento al c.d. emendamento Lodi:

– non viene spiegato cosa accade agli stranieri in attesa della emanazione del decreto ministeriale che dovrebbe individuare i paesi nei quali “è oggettivamente impossibile acquisire le certificazioni”; in assenza del decreto gli stranieri dovrebbero comunque essere messi in condizione di presentare domanda e di ottenere il beneficio, ma sul punto non è stata emanata alcuna disposizione;

– non viene neppure spiegato quale sia esattamente il contenuto della “apposita certificazione” che lo straniero dovrebbe produrre ai fini dell’accoglimento della domanda;

– si assegna all’emanando decreto Ministeriale il compito di indicare i paesi “nei quali non è possibile acquisire la documentazione necessaria per la compilazione della DSU ai fini ISEE”: ma il DPCM 159/13 non prevede alcuna “documentazione necessaria per la compilazione”, mentre d’altra parte non viene spiegato cosa accadrebbe qualora la documentazione aggiuntiva desse risultanze diverse dalla DSU (ad es. una casa di infimo valore) ma tali a non incidere sul diritto alla prestazione;

– non viene esentato dalla produzione dei documenti “stranieri” attestanti la composizione del nucleo familiare nemmeno lo straniero la cui condizione familiare risulta già dagli atti dello stato civile italiano: con l’effetto paradossale che lo straniero – stando alla lettera della legge – dovrebbe recuperare in patria anche l’attestazione di un matrimonio celebrato in Italia.

 

Norme, dunque destinate a creare incertezza presso gli operatori, difficoltà della macchina organizzativa e comunque esclusione di soggetti in condizione di bisogno.

ASGI invita nuovamente governo e parlamento a cancellare queste norme che si rivelano, oltre che ingiuste, anche del tutto irragionevoli e destinate a produrre inefficienza.

 

Milano, 4 aprile 2019

 

Servizio antidiscriminazione – 351 5542008   antidiscriminazione@asgi.it

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