La procura alle liti rilasciata dalla persona straniera non necessita di traduzione

Argomenti:giurisprudenza
Tipologia del contenuto:Analisi giuridica//Notizie//Pubblicazioni

di Dario Belluccio

Breve nota all’ordinanza della Corte di Appello di Bari del 3 febbraio 2016

La vicenda giudiziale derivante dalla lettura delle provvedimenti allegati è significativa del contesto di grande difficoltà che troppo spesso gli avvocati che rappresentano le ragioni dei richiedenti asilo e, prima, gli stessi richiedenti si trovano a dovere affrontare.

In questo caso è stato, sostanzialmente, messo in discussione il rapporto di fiducia instaurato dall’avvocato con il suo cliente e, come vedremo, si è assunta una decisione indubbiamente radicale in danno della parte rappresentata in giudizio e dei suoi diritti.

Il Tribunale di Bari in composizione monocratica, con una prima ordinanza, ha ritenuto che “in virtù della funzione di pubblico ufficiale rivestita dal difensore nel momento in cui autentica la scrittura del patrocinato”, la procura alle liti conferita da parte di cittadino straniero dovrebbe essere redatta in lingua nota sia al difensore che alla parte e, quindi, dovrebbe essere poi tradotta in italiano; in mancanza di tale comunità linguistica, la procura dovrebbe essere redatta con l’ausilio di interprete e con l’assistenza di testimoni adeguatamente identificati.

A dire del giudice monocratico, infatti, mancherebbe una norma specifica per il processo civile regolante la materia e, quindi, l’interprete sarebbe tenuto ad applicare in via analogica la legge sull’ordinamento del notariato e degli archivi notarili (Legge 16 febbraio 1913, n. 89). Dunque, ai sensi degli artt. 54 3 55 di essa, “nel caso in cui non vi sia alcun ostacolo nel contatto e nello scambio di informazioni e dati necessari per la formalizzazione dell’esatta volontà negoziale tra il notaio e la parte (o le parti) straniera, poiché entrambi colloquiano nella stessa lingua (straniera), sul piano della forma, il doppio testo dell’atto richiesto, in italiano e nella lingua straniera conosciuta dal notaio, da redigere a fronte o di seguito al testo in italiano, risolve la questione. Se invece il notaio non conosce la lingua della parte straniera, ai sensi dell’art. 55, non avendo il notaio rogante e le parti straniere una lingua comune, ai fini dell’indagine della volontà negoziale e della procedura di formale documentazione, è indefettibile e necessaria la presenza di un interprete e dei testimoni onde consentire il rapporto fra notaio e parte straniera”.

Con l’ordinanza il giudice, avendo rilevato d’ufficio la questione, ha assegnato un termine perentorio alla parte per “sanare” la ritenuta nullità della procura attraverso il conferimento di nuova procura alle liti, rispondente ai crismi su riportati. Non essendo intervenuto alcun atto idoneo a tale fine, con successivo provvedimento estintivo del giudizio il Tribunale di Bari ha dichiarato la improcedibilità del ricorso incardinato in materia di protezione internazionale, sul presupposto evidentemente della impossibilità per il ricorrente di comprendere il senso della procura alle liti rilasciata al suo difensore e, dunque, sulla mancata instaurazione di un reale rapporto fiduciario tra parte e cliente.

V’è da considerare, inoltre, la particolarità dell’ordinanza di primo grado anche allorchè considera la cd. legge notarile come legge ordinaria rispetto alla normativa dettata dal codice di rito per il conferimento dell’incarico professionale e la rappresentanza della parte in giudizio (dunque in materia di validità della procura alle liti rilasciata al difensore e da questi autenticata); tanto da rigettare l’eccezione dell’avvocato che, ai sensi dell’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, aveva invocato l’impossibilità di applicazione analogica della norma speciale (legge sul notariato) pur in ipotesi di ritenuta inesistenza di norma specifica nel codice di procedura civile.

Il provvedimento è stato impugnato in Corte di Appello dal procuratore di parte ed è stato completamente riformato con l’ordinanza che anche si allega.

Il Collegio riafferma o, se si vuole, restituisce lo ius postulandi all’avvocato che ne era stato privato e fa chiarezza, con decisa pronuncia, in materia.

Si ricorda, infatti, che al cittadino straniero che agisce davanti al giudice italiano è consentito rilasciare la procura nella forma prevista dall’art. 83 c.p.c., unico presupposto per la cui validità è la presenza della parte sul territorio nazionale ove è anche il difensore, unitamente alla relativa prova di tale presupposto che deriva (presuntivamente) della sottoscrizione per autentica da parte del procuratore della firma apposta dal cliente. In mancanza di rigorosa prova contraria di quanto sopra deve ritenersi acquisita al giudizio la prova della presenza della parte in Italia e la comprensione del senso dell’atto da lui sottoscritto (Cass. Civ., 13.1.2011, n. 665).

I requisiti di validità della procura delineati nell’art. 83 c.p.c., peraltro, sono notoriamente rivolti a verificare solo provenienza, tempestività e certezza del mandato ad litem e la loro eventuale inosservanza è normalmente intesa in giurisprudenza come fatto che non comporta la nullità dell’atto allorquando lo stesso (come tutti gli atti a valenza processuale), effettivamente e sicuramente, abbia raggiunto lo scopo che si era prefissato.

Peraltro, la Corte di Appello di Bari offre una ulteriore importante precisazione: “la necessità di presenza di testimoni fidefacienti, esclusa per il rilascio di procura dall’assistito di lingua italiana, non può essere affermata per il cliente alloglotta, tanto più che la previsione di un simile requisito interferirebbe nel rapporto personale dell’avvocato col cliente alloglotta, tutelato dall’art. 24 Cost., ed avrebbe un oggettivo carattere discriminatorio per ragioni di lingua, in contrasto con l’art. 3 Cost.”.

La successiva affermazione secondo cui in materia vige “il ripudio del formalismo” (come da insegnamento della giurisprudenza di legittimità – cfr. Cass. Civ. 3675/12 e 22559/15 – richiamata dalla stessa Corte) permette di superare un ulteriore ostacolo nella difesa dei diritti dei richiedenti asilo e rifugiati; ostacolo che – anche solo se si conoscono i tempi stretti entro cui la legge impone di avanzare domanda giudiziale di protezione internazionale e le molte difficoltà soggettive dei richiedenti protezione – può diventare in troppi casi insormontabile, trasformandosi in negazione del diritto.
In allegato:

Tribunale civile di Bari, ordinanza nel proc. n. r.g. 2015/5305

Tribunale civile di Bari, decreto del 17 settembre 2015

Corte di Appello di Bari, ordinanza del 3 febbraio 2016

Si ringrazia l’Avv. Simona De Napoli per la segnalazione dei provvedimenti giurisprudenziali in rassegna.

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