Dopo lo sbarco del 31 gennaio scorso al porto di Catania, 32 dei migranti soccorsi dalla nave SeaWatch3 sono stati condotti all’hotspot di Messina dove, secondo quanto annunciato dal governo, rimarranno per le procedure di trasferimento in altri paesi europei.
Come è noto, queste 32 persone, nel corso del loro trattenimento forzato a bordo di una nave cui illegittimamente non era concesso di approdare, avevano nominato dei legali di fiducia, grazie all’intervento del team legale di Mediterranea, per presentare ricorso d’urgenza alla Corte Europea dei diritti umani.
Consapevoli di quanto, spenti i riflettori, molto spesso i diritti delle persone continuino ad essere a rischio anche dopo lo sbarco, alcuni legali ed operatori di Mediterranea e del Progetto In Limine si sono recati presso l’hotspot di Messina già all’indomani del loro ingresso lì. Nonostante nella delegazione fosse presente una degli avvocati nominati, che per legge ha il diritto quindi di incontrare i suoi assistiti, l’accesso è stato in un primo momento impedito e la delegazione ha appreso che le persone salvate da Sea Watch non avevano ancora avuto l’autorizzazione a uscire dalla struttura, trovandosi in una situazione di detenzione arbitraria non esistendo alcun provvedimento di trattenimento. Ogni contatto era quindi reso impossibile.
Il divieto veniva giustificato con la mancanza di espressa autorizzazione all’ingresso da parte di Prefettura e Ministero dell’Interno, autorizzazione che non è assolutamente necessaria, nel nostro stato di diritto, per i colloqui fra avvocato e assistito che invece devono essere sempre garantiti, nel rispetto del diritto alla difesa e alla tutela legale nell’ambito delle procedure di asilo.
Solo il 2 febbraio, dopo 48 ore dall’ingresso nell’hotspot dei migranti sbarcati dalla Sea Watch 3 e poco prima dell’ingresso della parlamentare Rossella Muroni (LeU) insieme ad una legale di ARCI, è stato possibile per la legale e gli operatori del progetto In Limine, entrare nella struttura e parlare con loro.
Abbiamo quindi appreso che tutti i migranti sbarcati avrebbero manifestato la volontà di chiedere asilo durante la fase di identificazione nell’hotspot, come confermato dalla stessa Questura a Rossella Muroni, non abbiamo però potuto verificare questo dato perché a nessuno è stata lasciata copia del c.d. “foglio notizie”.
Non è chiaro, in ogni caso, quali procedure saranno seguite in questa situazione e quanto durerà la permanenza nell’hotspot. Lo stesso ufficio immigrazione presente all’interno dell’Hotspot non è stato in grado di fornire informazioni in merito, né tanto meno rispetto alle tempistiche della cosiddetta redistribuzione dei cittadini stranieri che dovrebbe seguire all’accordo tra i sette paesi europei.
Ricordiamo che le persone sbarcate a Malta lo scorso gennaio, dopo 19 giorni di illegittimo divieto che ha visto sempre la nave Sea Watch 3 costretta ad attendere che i governi europei terminassero le loro negoziazioni prima di potere condurre le persone salvate in un porto sicuro, si trovano ancora nei centri di trattenimento maltesi, bambini inclusi.
Ciò accade perché queste procedure di redistribuzione, fondate su eventuale e contingente accordo tra paesi europei, non solo non possono essere portate avanti mentre le persone sono ancora a bordo di una nave, ma non sono inoltre disciplinate da alcuna normativa e possono facilmente tradursi in prassi informali e arbitrarie che non creano diritti per le persone né obblighi per gli stati.
A Malta come a Messina, continueremo a seguire le persone coinvolte tutelandone i diritti e difendendo il nostro stato di diritto, perché dove l’arbitrio prevale sui diritti siamo sempre tutti a rischio.
Il team legale di Mediterranea e Progetto In limine (Asgi)