Il contributo analizza in chiave critica le ordinanze che hanno rimesso alle SU la questione degli effetti intertemporali della protezione umanitaria. Questo orientamento propende per l’applicazione immediata delle nuove norme, ritenendo che il diritto a tale protezione sia una fattispecie a formazione progressiva; a questa ricostruzione si contrappongono i più convincenti argomenti dell’opposto orientamento, secondo cui la riforma non può essere applicata a chi già vantava il diritto alla protezione umanitaria, inteso quale diritto umano che preesiste al suo riconoscimento in sede amministrativa o giurisdizionale.
di Nicola Canzian
assegnista di ricerca in Diritto costituzionale, Università di Milano-Bicocca
L’articolo è pubblicato nella Rubrica “Diritti senza confini”, nata dalla collaborazione fra le Riviste Questione Giustizia e Diritto Immigrazione e Cittadinanza per rispondere all’esigenza di promuovere, con tempestività e in modo incisivo il dibattito giuridico sulle principali questioni inerenti al diritto degli stranieri. Vai alla Rubrica
1. Premessa
Il decreto-legge n. 113 del 2018, entrato in vigore il 5 ottobre 2018, ha abrogato la protezione umanitaria e il relativo permesso di soggiorno. L’istituto prevedeva che, in mancanza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, fosse vietato rifiutare o revocare il permesso di soggiorno se ricorrevano comunque «seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano»[1]. Si trattava di una previsione di carattere volutamente aperto, che garantiva una tutela residuale per quei casi che non rientravano nelle forme di protezione “maggiori”, ovvero lo status di rifugiato e di protezione sussidiaria.
Il legislatore ha voluto abrogare la protezione umanitaria proprio in quanto priva di una specifica tipizzazione nella sua definizione legislativa, circostanza che – secondo il Governo – avrebbe riconosciuto caso per caso un eccessivo margine discrezionale alle Commissioni territoriali e ai giudici; tale forma di protezione è stata così sostituita da una serie tassativa di puntuali permessi di soggiorno[2] (alcuni già previsti in precedenza, altri di nuova introduzione)[3].
Il decreto-legge ha inoltre previsto una disciplina transitoria soltanto con riferimento a due ipotesi.
L’art. 1, comma 8 stabilisce che alla scadenza dei permessi di soggiorno per motivi umanitari già riconosciuti, i titolari potranno ottenere il permesso di soggiorno «per protezione speciale» se ne ricorrono i presupposti[4]. La disposizione chiarisce così che i permessi umanitari già rilasciati restano pienamente validi, ma non sono rinnovabili.
L’art. 1, comma 9regola l’ipotesi in cui alla data di entrata in vigore del decreto la Commissione territoriale abbia già ritenuto sussistenti gravi motivi di carattere umanitario (evidentemente secondo le vecchie norme), prevedendo che debba essere rilasciato un peculiare permesso di soggiorno recante la dicitura «casi speciali»[5]. Questo permesso assicura lo stesso trattamento sostanziale del “vecchio” permesso per motivi umanitari[6]: il legislatore ha dunque escluso l’applicabilità del nuovo sistema per i casi in cui, in sede amministrativa, era già stata accertata la sussistenza dei presupposti previsti dalle norme abrogate, ma il relativo permesso non era ancora stato emesso.
Le disposizioni transitorie non specificano espressamente quale sia il regime applicabile in tutti gli altri casi, cioè sia in relazione alle domande e alle istanze di rinnovo già presentate su cui le Commissioni territoriali non si sono pronunciate prima del 5 ottobre 2018, sia in riferimento ai ricorsi giudiziari pendenti nei confronti del diniego di riconoscimento della protezione umanitaria. In altri termini, il testo del decreto-legge non indica se il nuovo sistema di protezione debba o meno trovare immediata applicazione in tutti i procedimenti decisi successivamente alla sua entrata in vigore, a prescindere dal fatto che essi fossero già pendenti a tale data.
2. Il contrasto giurisprudenziale
I primi orientamenti giurisprudenziali di merito hanno da subito chiarito, senza quasi eccezioni, che la nuova disciplina non è applicabile nei giudizi instaurati prima del 5 ottobre 2018. Secondo questa giurisprudenza, e in estrema sintesi, i giudizi in corso ricadrebbero nel regime delle nuove norme soltanto se queste si dovessero considerare retroattive. La riforma, infatti, non incide soltanto sul contenuto della protezione umanitaria, ma direttamente sugli stessi presupposti del suo riconoscimento. Nel decreto-legge, però, mancano disposizioni o altri indici inequivoci che espressamente prevedano la retroattività delle nuove norme; pertanto, in conformità alla regola dell’irretroattività delle norme legislative stabilita dall’art. 11 delle Preleggi, la nuova disciplina dovrebbe intendersi riferita soltanto pro futuro[7].
Questa interpretazione è stata inoltre fatta propria anche dalla prima sezione della Cassazione civile con la sentenza n. 4890 del 19 febbraio 2019[8]. Tale pronuncia ha stabilito il principio di diritto secondo cui la novella «non trova applicazione in relazione alle domande di riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della nuova legge»; precisando poi che se si accerta la sussistenza dei presupposti per il permesso umanitario sulla base delle norme abrogate, «farà seguito il rilascio da parte del Questore di un permesso di soggiorno contrassegnato dalla dicitura “casi speciali” e soggetto alla disciplina e all’efficacia temporale prevista dall’art. 1, comma 9, di detto decreto legge».
In seguito, però, con tre ordinanze gemelle (nn. 11749, 11750 e 11751 del 3 maggio 2019) la medesima sezione ha espresso un orientamento radicalmente opposto, rimettendo la questione alle Sezioni unite[9]. Le ordinanze contestano che l’applicazione dei nuovi criteri ai casi pendenti possa qualificarsi quale un effetto retroattivo: ritenendo che la protezione umanitaria sia una fattispecie a formazione progressiva, le norme rilevanti dovrebbero esser quelle in vigore al momento della definizione del procedimento amministrativo o giurisdizionale.
Da ultimo, la recente ordinanza del 22 maggio 2019 del Tribunale di Firenze ha ribadito la tesi dell’irretroattività, replicando puntualmente agli argomenti esposti nelle tre ordinanze[10].
3. La qualificazione della protezione umanitaria
La divergenza decisiva fra i due orientamenti consiste nella ricostruzione dell’istituto della protezione umanitaria.
Le ultime tre ordinanze della Cassazione non sviluppano i loro argomenti a partire da questo punto, premettendo delle considerazioni sulla retroattività; è forse preferibile, invece, analizzare subito la questione della qualificazione giuridica dell’istituto, che è determinante proprio al fine di individuare se l’applicazione indiscriminata delle nuove norme comporti o meno un autentico effetto di retroazione.
Secondo le ordinanze che hanno rimesso la questione alle Sezioni unite, la protezione umanitaria è «una fattispecie complessa e a formazione progressiva, come chiaramente si desume dal fatto che essa consiste in un permesso del quale l’ordinamento postula che si valutino i presupposti nell’ambito di un apposito procedimento» (punto 4.3.2). La circostanza che i presupposti della tutela debbano essere valutati in un procedimento, in realtà, non sembra deporre a favore di questa ricostruzione, potendosi ben conciliare con l’adozione di provvedimenti sia di accertamento, sia di carattere costitutivo; è anzi francamente arduo immaginare che l’accertamento di un diritto possa prescindere da un procedimento amministrativo o giurisdizionale.
Per nulla decisivo sembra inoltre il richiamo alla sentenza della Cassazione n. 4455 del 2018[11], che aveva stabilito il principio di diritto secondo cui il riconoscimento della protezione umanitaria «non può escludere l’esame specifico ed attuale della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine». Va sottolineato che tale pronuncia non si riferiva indistintamente a tutte le ipotesi possibili di protezione umanitaria, bensì soltanto al caso in cui il permesso per motivi umanitari doveva rilasciarsi in adempimento dell’obbligo internazionale previsto dall’art. 8 Cedu, che tutela il diritto alla vita privata; tale diritto, anche in rapporto alle condizioni di vita possibili nel Paese di origine, non può essere leso in modo irragionevole e sproporzionato dallo Stato in presenza di elementi concreti e attuali che attestino una consolidata integrazione sociale dello straniero nel Paese in cui si trova (si tratta, per inciso, di un’ipotesi che non rientra in quelle tipizzate dal decreto-legge n. 113/2018, ma che potrebbe oggi essere recuperata dal giudice in applicazione diretta e immediata del diritto di asilo previsto a livello costituzionale)[12].
Anche da un punto di vista generale, tuttavia, il fatto che l’indagine non si fermi al momento in cui la richiesta di protezione è formulata non conferma affatto che il diritto sia a formazione progressiva; significa invece che esso dipende da motivi che possono anche venire meno nel tempo. Ben può essere, infatti, che – in analogia con l’emersione sur place di motivi protezione internazionale prevista dall’art. 4 del d.lgs n. 251/2007 – l’emergenza di gravi motivi umanitari sia successiva all’ingresso dello straniero in Italia; così pure può darsi il caso che tali motivi siano presenti al momento della richiesta di protezione ma poi non sussistano più e, di conseguenza, venga meno anche la titolarità del diritto. E questo sembra anche sufficiente a spiegare come mai la protezione umanitaria non attribuisse uno status, ma un permesso di soggiorno biennale (circostanza valorizzata dalle tre ordinanze “gemelle” della Cassazione al punto 4.4. per mettere in dubbio che si trattasse di un diritto preesistente al suo accertamento); il fatto che tale istituto tutelasse situazioni transitorie non significa che fosse a formazione progressiva, ma più semplicemente che esso aveva una minore ampiezza rispetto alle forme di protezione internazionale.
Come notato nel recente decreto del Tribunale di Firenze, le ordinanze della Cassazione «confondono due piani differenti: quello dei fatti (intesi in senso materiale o fenomenico), che possono modificarsi nel corso del giudizio, e quello del fatto o dei fatti generatori che costituiscono il paradigma legislativo, sui quali incide, nel nostro caso in modo radicale, la norma abrogativa».
Il problema della retroattività dei nuovi criteri riguarda, infatti, un aspetto diverso: non l’attualità della situazione sostanziale di pericolo, ma l’individuazione di quale siano le norme applicabili. Il principio fissato dalla sentenza n. 4455/2018 si concilia senza alcun problema a un giudizio che valuti la situazione di fatto attuale sulla base di criteri fissati da norme abrogate: l’attualità riguarda infatti la situazione sostanziale, non la vigenza delle disposizioni a cui essa deve essere conforme per la sussistenza del diritto. Del resto, tale sentenza è stata pronunciata ben prima dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 113/2019 e, pertanto, nemmeno poteva porsi la questione dell’eventuale cambiamento di paradigmi valutativi nel corso del procedimento.
In realtà, la qualificazione della protezione umanitaria come fattispecie progressiva smentisce, senza argomenti convincenti, tutta la consolidata giurisprudenza sul punto[13]. Secondo l’orientamento costantemente ribadito dalle stesse Sezioni unite, infatti, «la situazione giuridica soggettiva dello straniero che chieda la concessione della protezione umanitaria […] ha consistenza di diritto soggettivo costituzionalmente protetto». Essa non soltanto costituiva una delle forme di attuazione del diritto d’asilo di cui all’art. 10 Cost., ma in quanto «diritto umano fondamentale» godeva della protezione apprestata dall’art. 2 Cost.; con la conseguenza che nei casi di riconoscimento di questa forma di protezione «il provvedimento giurisdizionale non ha natura costitutiva, ma dichiarativa»[14].
Il diritto alla protezione umanitaria sorgeva dunque per il solo fatto che si fossero verificate le condizioni che rendevano impossibile il rimpatrio per seri motivi di carattere umanitario o per il rispetto di obblighi costituzionali e internazionali: in sede amministrativa e giurisdizionale tale diritto non era dunque conferito allo straniero, che ne era già titolare, ma soltanto accertato. Ed è il caso di sottolineare che una delle ultime conferme di questa ricostruzione si trova proprio nella pronuncia citata dalle stesse ordinanze di rimessione[15].
4. L’applicazione delle regole di diritto intertemporale
Il concetto di retroattività è ancora oggi uno dei più ambigui nell’ambito delle fonti del diritto[16]; la nozione si rivela problematica soprattutto quando si tratta di valutare gli effetti di una nuova norma in relazione a situazioni preesistenti che durano nel tempo.
Ciononostante, nel caso in esame entrambi gli orientamenti giurisprudenziali in conflitto concordano sui termini generali della questione, richiamando il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui «il principio dell’irretroattività, fissato dall’art. 11 preleggi, comporta che la norma sopravvenuta sia inapplicabile, oltre che ai rapporti giuridici già esauriti, anche a quelli ancora in vita alla data della sua entrata in vigore, ove tale applicazione si traduca nel disconoscimento di effetti già verificatisi ad opera del pregresso fatto generatore del rapporto, ovvero in una modifica della disciplina giuridica del fatto stesso»[17]. In relazione ai rapporti di durata, la giurisprudenza ha inoltre specificato che l’applicazione di norme retroattive è ammessa «soltanto per gli effetti prodottisi successivamente all’entrata in vigore della nuova legge, non potendo incidere sul fatto generatore del diritto qualora esso si sia perfezionato nella vigenza della precedente normativa»[18].
La divergenza fra gli orientamenti, come si è già evidenziato, risiede nella qualificazione della protezione umanitaria e da ciò discende la diversa applicazione dei principi appena richiamati[19].
Ritenendo erroneamente che tutte le forme di protezione umanitaria siano a formazione progressiva, le tre ordinanze della Cassazione in commento affermano che non sia corretto qualificare come retroattiva l’applicazione delle nuove norme ai casi pendenti alla data di entrata in vigore del decreto-legge: il giudice non dovrebbe nemmeno cercare una disposizione che imponga l’applicazione delle norme sopravvenute nei procedimenti in corso, perché la vigenza di una legge determina il fatto che essa sia obbligatoria e quindi direttamente applicabile, ai sensi dell’art. 73 Cost. e dell’art. 10 delle Preleggi. In altri termini, secondo questa impostazione si sarebbe di fronte al caso di «immediata applicazione» delle norme vigenti e non di un effetto retroattivo, proprio perché la fattispecie della protezione umanitaria non si formerebbe finché il relativo procedimento è in corso e quindi dovrebbe essere regolata dalla legge vigente nel momento in cui questo viene definito.
Per quanto non affermato in modo esplicito, sembra evidente che seguendo questa impostazione il “fatto generatore” dovrebbe essere identificato nel provvedimento che decide sulla domanda di protezione, che dunque avrebbe una natura costitutiva. Tanto da precisare che «se un elemento di fatto può trarsi dal provvedimento negativo della Commissione territoriale, questo è proprio l’insussistenza di un fatto acquisitivo del beneficio invocato» (punto 4.3.2): affermazione davvero non condivisibile, perché il provvedimento della Commissione può essere impugnato in sede giurisdizionale proprio per l’errata valutazione circa la sussistenza del diritto alla protezione.
Le tre ordinanze sottolineano inoltre che la riforma è stata introdotta da un decreto-legge, cioè da uno atto che deve «contenere misure di immediata applicazione» (art. 15, comma 3 della legge n. 400/1988), tanto che esso entra in vigore senza che vi sia vacatio legis. L’argomento non è in realtà convincente. Non sembra utile richiamare un precedente in cui si era argomentata l’immediata applicazione di una nuova disciplina perché introdotte escludendone la vacatio[20]: si trattava infatti di norme stabilite da una legge (e non da un decreto-legge), motivo per cui poteva avere senso valutare la scelta del legislatore di derogare al regime ordinario circa l’entrata in vigore. Inoltre, il dato della legge n. 400/1988 non sembra poter essere particolarmente valorizzato, in quanto smentito da una prassi consolidata: non è infatti infrequente che i decreti-legge introducano norme che non sono di immediata applicazione perché i loro effetti giuridici si determineranno in una fase successiva[21]. Tanto che si pone, in generale e non da oggi, il problema dell’uso distorto della decretazione d’urgenza, a cui spesso il Governo ricorre per imporre una rapida approvazione dei propri provvedimenti al di là di effettivi casi straordinari di necessità e urgenza[22]; una critica a cui nemmeno il decreto-legge n. 113/2018 sembra sottrarsi.
La natura del provvedimento e l’assenza di disposizioni transitorie per i casi pendenti sembrano anzi confermare la ricostruzione opposta. Come rileva il Tribunale di Firenze, è invece «molto significativo che un provvedimento legislativo con così forte connotazione non abbia espressamente previsto la retroattività della nuova disciplina con l’adozione di una norma generale di diritto intertemporale applicabile alle domande in corso di esame amministrativo e giurisdizionale». Tanto più se si tiene a mente che il Governo, quando ha voluto che la nuova disciplina prevista dal decreto-legge n. 113/2018 fosse direttamente applicabile ai procedimenti in corso, lo ha espressamente previsto con apposite disposizioni, come nel caso della disciplina sul riconoscimento della cittadinanza[23]; pertanto, il silenzio nei confronti dei procedimenti pendenti relativi alla protezione umanitaria ben può essere interpretato come conferma della non applicabilità della novella.
A queste conclusioni si deve giungere se si ritiene, in conformità a quanto costantemente affermato dalle Sezioni unite[24], che la protezione umanitaria costituiva un «diritto soggettivo perfetto appartenente al catalogo dei diritti umani, di diretta derivazione costituzionale e convenzionale»[25]; un diritto di cui lo straniero diveniva titolare nel momento in cui si verificavano le condizioni indicate dall’art. 5, comma 6 del testo unico nella sua precedente formulazione, tanto che «tutti i provvedimenti, assunti dagli organi competenti in materia, hanno natura meramente dichiarativa-accertativa e non costitutiva»[26]. Se si condivide questa consolidata ricostruzione, è inevitabile ritenere che l’immediata applicazione della riforma prevista dal decreto-legge n. 113/2018 ai procedimenti o alle domande anteriori ad esso costituirebbe un effetto retroattivo: si inciderebbe direttamente sui presupposti di un diritto che si è già perfezionato e dunque sul suo fatto generatore, che deve essere identificato «nella grave violazione dei diritti umani fondamentali (libertà democratiche secondo l’art. 10, co. 3, Cost.) nello Stato di origine, fattore indefettibile ed individualizzato di costrizione all’espatrio»[27].
Il passaggio da una clausola aperta a un sistema di permessi rilasciati in presenza di presupposti tassativi e puntuali (in cui ad esempio, come si è già fatto cenno, non è più previsto un permesso per tutelare il diritto alla vita privata allorché sia lesa in modo irragionevole e sproporzionato nelle ipotesi di consolidata integrazione sociale in Italia) ha infatti modificato radicalmente il paradigma che determinava la sussistenza del diritto a questa forma di protezione, tanto che nel nuovo quadro normativo è addirittura del tutto assente la nozione di «motivi umanitari»[28]; a prescindere dalla diversa e bruciante questione se la riforma sia effettivamente idonea a ridurre in concreto le forme di protezione e dell’eventuale illegittimità costituzionale di un esito di questo tipo, l’applicazione dei nuovi presupposti ai casi già pendenti sarebbe possibile soltanto se si riconoscesse la retroattività della riforma.
In forza della presunzione di irretroattività delle norme legislative stabilita dall’art. 11 delle Preleggi, è possibile riconoscere un effetto retroattivo soltanto se esso è previsto in modo espresso da una disposizione o se può essere desunto in via implicita in modo preciso e inequivoco; nel testo del decreto mancano però sia una esplicita previsione della retroattività dell’abrogazione della protezione umanitaria, sia altri indici che depongano oggettivamente in tal senso. Come evidenziato dal Tribunale di Firenze, «non si rinviene, infatti, alcuna incompatibilità logica e sistematica tra, da una parte, i commi 8 e 9 dell’art. 1 del DL 113/2018, e, dall’altra parte, la riconoscibilità nel procedimento in corso del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari previsto dalla, per il futuro, abrogata, disciplina sulla protezione umanitaria».
Non può essere inoltre trascurato che la Corte costituzionale ammette la retroattività di norme sopravvenute soltanto qualora essa trovi «adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti»[29]. Alla luce di questo principio, e in assenza di indici testuali nel decreto-legge che depongano in senso opposto, sembra dunque preferibile ritenere che non vi siano effetti retroattivi, perché questi potrebbero portare all’estinzione di un diritto soggettivo perfetto, tra l’altro di sicura rilevanza Costituzionale (in quanto assicurato dall’art. 10, comma 3 Cost. e garantito al contempo dall’art. 2 Cost., oltre che eventualmente da obblighi di matrice internazionale)[30]. Come è stato notato in dottrina, l’estinzione ex post di tale diritto comporterebbe la «violazione dei principi costituzionali di ragionevolezza e certezza del diritto e compromissione della tutela dell’affidamento»[31]. Poiché, come visto, non ci sono indici che depongano a favore della retroattività dell’abrogazione della protezione umanitaria, sembra così imporsi un’interpretazione costituzionalmente conforme del decreto-legge nel senso dell’inapplicabilità del nuovo sistema di protezione complementare nei confronti di chi ha già maturato il diritto nel regime delle vecchie norme.
Parte della dottrina, in verità, ritiene che da una lettura sistematica dei commi 8 e 9 dell’art. 1 del decreto-legge emerga «la volontà del legislatore di includere sotto il regime delle neo-introdotte forme di permesso di soggiorno anche i casi ancora pendenti», precisando al contempo che il giudice dovrebbe pertanto sollevare una questione di costituzionalità relativa all’illegittimità di tali effetti retroattivi[32]. Come si è già illustrato, sembra però possibile intendere queste disposizioni transitorie in modo diverso, quale mera espressione della volontà di non voler incidere sul diritto alla protezione umanitaria nel caso in cui esso fosse stato accertato prima del 5 ottobre 2018; non ci sarebbe alcuna incompatibilità, in quest’ottica, nel garantire il godimento della protezione umanitaria anche agli stranieri che a tale data fossero già titolari di questo diritto perché ne ricorrevano le condizioni previste dalla legge, ma che non potevano ancora contare su un accertamento dello stesso[33].
Per tutti questi motivi, si deve escludere che l’abrogazione della protezione umanitaria abbia effetti retroattivi, così pure che essa possa essere applicata ratione temporis ai procedimenti in corso (il che, in realtà, costituirebbe proprio un effetto retroattivo, data la natura del diritto in gioco). Si tratta di una conclusione che, come si è cercato di illustrare, sembra necessitata proprio per la natura del diritto alla protezione umanitaria come costantemente ribadita dalle Sezioni unite. Il che può spiegare come mai nella giurisprudenza di legittimità successiva all’insorgere del contrasto siano poche le pronunce che hanno disposto rinvio a nuovo ruolo in attesa che le Sezioni unite risolvano la questione[34]; mentre sono molto più numerose le decisioni che hanno pacificamente fatto proprio l’orientamento espresso dalla sentenza n. 4890/2019[35].
Questa conclusione è corroborata anche dalla constatazione che, ragionando diversamente, si verificherebbe un’ingiustificata discriminazione fra coloro che erano titolari del diritto alla protezione umanitaria prima del 5 ottobre 2018 a seconda che i relativi procedimenti siano stati decisi prima o dopo tale data.
Secondo le ordinanze gemelle della Cassazione, tuttavia, è ragionevole distinguere «la situazione dei richiedenti che abbiano ottenuto dalle Commissioni territoriali il parere positivo sui gravi motivi di carattere umanitario […] da quella dei richiedenti che abbiano ottenuto il rigetto della loro domanda» (punto 4.2); questo, a tutta evidenza, sempre perché il ragionamento si fonda sulla non condivisibile qualificazione della protezione umanitaria quale diritto a formazione progressiva, ritenendo così che i relativi provvedimenti abbiano natura costitutiva del diritto e dunque debbano essere adottati sulla base delle norme vigenti. In quest’ottica, lo scorrere del tempo sarebbe sufficiente a differenziare le due diverse situazioni (provvedimento ottenuto prima o dopo il 5 ottobre 2018), «trattandosi di situazioni solo apparentemente omogenee» (punto 4.2).
L’orientamento opposto sottolinea che invece si tratterebbe di una discriminazione irragionevole, perché un’attività amministrativa o giurisdizionale che deve essere considerata – come visto – di mero accertamento diverrebbe ciononostante decisiva per la sussistenza di un diritto che è, in realtà, già perfetto; in altre parole, distinguere le situazioni soltanto sulla base di quando è intervenuto un provvedimento di mero accertamento sarebbe a tutta evidenza irragionevole e comporterebbe così la lesione dell’art. 3 Cost. Pertanto, anche secondo una interpretazione costituzionalmente orientata sembra preferibile non riconoscere effetti retroattivi all’abrogazione della protezione umanitaria[36].
5. Questioni aperte: la data di proposizione della domanda come limite all’applicazione delle nuove norme e il tipo di permesso di soggiorno da rilasciare
Rimangono due questioni poste dalle ordinanze di rinvio che meritano qualche ultima riflessione.
Cass. n. 4890/2019 stabilisce il principio secondo cui le norme che hanno modificato la protezione umanitaria non devono applicarsi alle domande di riconoscimento proposte prima dell’entrata in vigore del decreto-legge. Le ordinanze osservano che «a ritenere applicabile la legge vigente al momento della domanda, una disparità di trattamento sarebbe determinata proprio dalla differenziazione normativa tra coloro che abbiano presentato la domanda entro il 5 ottobre 2018 e coloro che, pur trovandosi nella medesima situazione, non l’abbiano ancora presentata» (punto 4.2).
Il rilievo coglie nel segno: poiché il diritto sorgeva semplicemente perché ricorrevano seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali, il criterio della data della presentazione domanda non sembra essere sempre decisivo[37]. Sarebbe allora forse più rispettoso della natura del diritto in questione riferirsi alla data in cui tali motivi sono sorti, con due conseguenze di rilievo. Da un lato, non dovrebbe applicarsi il regime previgente alle domande presentate prima del 5 ottobre 2018 se i seri motivi per la protezione si sono verificati in concreto soltanto successivamente a tale data (dunque, se la domanda era all’origine non fondata su effettive ragioni di fatto); dall’altro lato, e viceversa, le norme abrogate dovrebbero comunque trovare applicazione anche nei confronti delle domande presentate successivamente, se risulta che il richiedente era in Italia prima dell’entrata in vigore del decreto-legge e che i motivi di tipo umanitario erano all’epoca già sussistenti. In altri termini, sembra più corretto riferirsi al fatto generatore come sopra identificato: non tanto la domanda di protezione, quanto l’effettivo sorgere delle condizioni di vulnerabilità[38].
Il secondo aspetto che merita una riflessione è quello che riguarda il permesso da riconoscere oggi all’esito dell’applicazione del vecchio quadro normativo. Cass. n. 4890/2019 ha precisato che se si accerta il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari in base alle norme abrogate, dovrà essere rilasciato il permesso di soggiorno per «casi speciali» previsto dall’art. 1, comma 9 del decreto-legge.
Le ordinanze in commento criticano questa conclusione: «Da un lato, si nega l’applicabilità immediata della nuova normativa […]; ma dall’altro si applica la nuova normativa, implicitamente riconoscendone l’applicabilità immediata limitatamente al nomen e alla durata del permesso da rilasciare, con un effetto sostanzialmente creativo di una norma transitoria “nuova”, risultante da una commistione tra norme diverse» (punto 4.2). Si critica, in sintesi, una contraddittorietà della soluzione, che consisterebbe in un’applicazione contestuale di parte della disciplina abrogata e parte della disciplina abrogatrice.
In realtà, la soluzione proposta da Cass. n. 4890/2019 è lineare. La sussistenza del diritto va accertata sulla base della disciplina pregressa, che trova quindi piena applicazione (senza interferenze con la nuova normativa); se l’accertamento è positivo, tuttavia, si riscontra che non è più possibile oggi rilasciare il permesso di soggiorno per motivi umanitari, poiché non più previsto dalla disciplina attuale.
Si tratta di un caso che presenta similarità a quello in cui la Commissione territoriale avesse già ritenuto sussistenti gravi motivi di carattere umanitario prima del 5 ottobre 2018, ma il relativo permesso non fosse ancora stato rilasciato; l’art. 1, comma 9 del decreto regola proprio tale ultima ipotesi, prevedendo il rilascio di un permesso di soggiorno per «casi speciali», che ha contenuto analogo a quello abrogato[39].
In entrambe le ipotesi ora richiamate si ha il riconoscimento del diritto secondo il vecchio regime; e in ciascuno dei due casi, tale diritto deve trovare attuazione in un sistema normativo che medio tempore è stato radicalmente modificato. Ciò legittima l’applicazione in via analogica (e dunque secondo un criterio previsto a sua volta dall’art. 12, comma 2 delle Preleggi) dell’art. 1, comma 9, limitatamente al tipo di permesso[40], allo scopo di rispettare il principio di tipicità degli atti amministrativi[41]. Come si vede, non si tratta della contestuale applicazione dei due regimi che si sono succeduti; ma dell’applicazione delle norme abrogate (e soltanto di quelle) nella fase di accertamento del diritto, a cui fa seguito l’applicazione analogica di una norma transitoria prevista dalla riforma nel successivo momento di rilascio del permesso di soggiorno.
Se le Sezioni unite
confermeranno che l’abrogazione della protezione umanitaria non comporta
effetti retroattivi per le situazioni giuridiche sorte anteriormente alla
entrata in vigore del decreto-legge, è lecito ritenere che tale orientamento
(che è già prevalente nelle corti territoriali ed è stato ribadito, anche
recentemente, da una pluralità di sentenze pronunciate dalle sezioni semplici
della Cassazione) si imporra definitivamente a livello giurisprudenziale; è
molto probabile che anche a livello amministrativo le Commissioni territoriali
si adegueranno al principio di diritto stabilito nell’esercizio della funzione
nomofilattica, quantomeno per evitare che le proprie decisioni siano smentite
in caso di ricorso al giudice. Tuttavia, resterebbe aperta la questione degli
eventuali dinieghi di protezione già pronunciati in ragione della supposta
retroattività delle norme poste dal decreto-legge e divenuti nel frattempo
definitivi, in quanto non tempestivamente impugnati in sede giurisdizionale.
Per casi di questo tipo, si porrebbe il problema di come prevedere un rimedio
sostanziale idoneo ad assicurare il godimento del diritto alla protezione
umanitaria ingiustamente negato.
[1] Così disponeva l’art. 5, comma 6 del d.lgs 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle leggi sull’immigrazione) prima della novella.
[2] Nella relazione di accompagnamento al decreto (p. 3) si afferma che «l’ampio ricorso a tale forma di tutela si fonda principalmente su una definizione legislativa dell’istituto dai contorni incerti, che lascia ampi margini ad una interpretazione estensiva in contrasto con il fine di tutela temporanea di esigenze di carattere umanitario per il quale l’istituto è stato introdotto nell’ordinamento»; precisando poi che «le nuove disposizioni introducono nel sistema ordinamentale specifiche ipotesi di permesso di soggiorno per esigenze di carattere umanitario tipizzando quindi le forme di tutela complementare».
[3] La riforma ha mantenuto alcune ipotesi che erano già previste in precedenza (e che costituivano casi tipici di protezione umanitaria): il nuovo permesso «per protezione speciale» riguarda i casi in cui non sia accolta la domanda di protezione internazionale ma ricorre il rischio di persecuzione o di tortura; i permessi per i casi di motivi di protezione sociale, di vittime di violenza domestica e di particolare sfruttamento lavorativo prendono ora la denominazione «per casi speciali». Sono di nuova introduzione testuale le ipotesi dei permessi «per cure mediche», «per calamità» e «per atti di particolare valore civile». Sulla configurazione dell’attuale sistema vds. F. Gallo, La protezione complementare dopo il dl 113/2018: inquadramento sistematico, questioni di legittimità costituzionale, in questa Rivista on-line, 5 luglio 2019.
[4] Art. 1, comma 8 del dl n. 113/2018: «Fermo restando i casi di conversione, ai titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari già riconosciuto ai sensi dell’articolo 32, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 , in corso di validità alla data di entrata in vigore del presente decreto, è rilasciato, alla scadenza, un permesso di soggiorno ai sensi dell’ articolo 32, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 , come modificato dal presente decreto, previa valutazione della competente Commissione territoriale sulla sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 19, commi 1 e 1.1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286».
[5] Art. 1, comma 9 del dl n. 113/2018: «Nei procedimenti in corso, alla data di entrata in vigore del presente decreto, per i quali la Commissione territoriale non ha accolto la domanda di protezione internazionale e ha ritenuto sussistenti gravi motivi di carattere umanitario allo straniero è rilasciato un permesso di soggiorno recante la dicitura “casi speciali” ai sensi del presente comma, della durata di due anni, convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo o subordinato. Alla scadenza del permesso di soggiorno di cui al presente comma, si applicano le disposizioni di cui al comma 8».
[6] Diversamente dagli altri permessi con la stessa dicitura, il peculiare permesso per «casi speciali» di cui all’art. 1, comma 9 ha infatti durata di due anni (e non annuale) ed è convertibile in permesso per motivi di lavoro; alla scadenza, inoltre, è sottoposto al medesimo regime transitorio previsto dall’art. 1, comma 8 per i permessi di soggiorno per motivi umanitari già rilasciati.
[7] Sulla prima giurisprudenza che ha affrontato il tema del regime intertemporale dell’abrogazione della protezione umanitaria vds., volendo, N. Canzian, Profili di diritto intertemporale del decreto-legge n. 113/2018, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 1/2019, pp. 15-35.
[8] Su cui vds. in senso critico S. Casciaro, Questioni di diritto intertemporale sul d. l. n. 113 del 2018 (nota a Cass. n. 4890 del 2019), in Il diritto vivente. Rivista quadrimestrale di Magistratura Indipendente, n. 1/2019, p. 35 ss.
[9] Su tali ordinanze vds. in senso adesivo S. Casciaro, La questione dell’applicabilità della nuova disciplina in tema di protezione umanitaria ai procedimenti in corso, in Magistratura Indipendente, 17 giugno 2019; in senso critico C.M. Bianca, «La legge non dispone che per l’avvenire» (art. 11 disp. prel. cc): a proposito del decreto sicurezza, in questa Rivista on-line, 17 giugno 2019.
[10] Sulla pronuncia di Firenze vds. C. Pratesi, La replica del Tribunale di Firenze alle ordinanze Cass. nn. 1750 e 1751 del 2019 in vista della pronuncia delle Sezioni unite, in questa Rivista on-line, 1 luglio 2019.
[11] Su cui vds. C. Favilli, La protezione umanitaria per motivi di integrazione sociale. Prime riflessioni a margine della sentenza della Corte di cassazione n. 4455/2018, in questa Rivista on-line, 14 marzo 2018; C. Castronuovo, Il permesso di soggiorno per motivi umanitari dopo la sentenza della Corte di Cassazione n. 4455/2018, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 3/2018.
[12] Una questione che rimane aperta, infatti, è quella di quale sia in concreto l’incidenza della riforma disposta dal decreto-legge n. 113/2018, cioè se il nuovo sistema “tipizzato” possa effettivamente comportare una riduzione delle ipotesi di protezione dello straniero per motivi umanitari o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali. Secondo alcuni, potrebbe tornare ad avere diretta applicazione l’art. 10, comma 3, Cost. (come era possibile in passato, prima che vi fosse una piena attuazione legislativa del diritto d’asilo; vds. Cass., Sez. unite, n. 4674/1997): in questo senso vds. N. Zorzella, L’abrogazione dei permessi umanitari e la sorte di quelli già rilasciati o relativi a procedimenti in corso, in Il decreto Salvini. Immigrazione e sicurezza. Commento al d.l. 4 ottobre 2018, n.113, conv. con mod. in legge 1 dicembre 2018, n. 132, a cura di F. Curi, Pisa, 2019, p. 49; C. Padula, Quale sorte per il permesso di soggiorno umanitario dopo il dl 113/2018?, in questa Rivista on-line, 21 novembre 2018; M. Benvenuti, Il dito e la luna. La protezione delle esigenze di carattere umanitario degli stranieri prima e dopo il decreto Salvini, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 1/2019, pp. 37 ss.; C. Castronuovo, Il permesso di soggiorno per motivi umanitari dopo la sentenza della Corte di Cassazione n. 4455/2018, cit., pp. 25 ss. In senso contrario sembra invece S. Curreri, Prime considerazioni sui profili d’incostituzionalità del decreto legge n. 113/2018 (c.d. “decreto sicurezza”), in Federalismi, 21 novembre 2018, pp. 5-7.
[13] Anche chi ritiene persuasivi gli argomenti con cui è stata rimessa la questione alle Sezioni unite conferma che si tratta di una «qualificazione inedita»: così S. Casciaro, La questione dell’applicabilità della nuova disciplina in tema di protezione umanitaria ai procedimenti in corso, cit.
[14] Le citazioni sono tutte da Cass. civ., Sez. unite, ord. n. 19393/2009. Fra le innumerevoli conferme, vds. le recenti Cass. civ., Sez. unite, n. 32177/2018; n. 32044/2018; ord. n. 30658/2018. Cfr. anche P. Bonetti, Articolo 10, in La Costituzione italiana. Commento articolo per articolo, a cura di F. Clementi, L. Cuocolo, F. Rosa, G.E. Vigevani, vol. I, Bologna, 2018, pp. 75 ss., che ricorda come il diritto di asilo (di cui la protezione umanitaria era attuazione) sia «un diritto soggettivo perfetto all’ingresso e al soggiorno nel territorio italiano».
[15] In Cass. civ., sez. I, n. 4455/2018 si legge infatti che «i “seri motivi” di carattere umanitario oppure risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano (art. 5, comma 6, cit.), alla ricorrenza dei quali lo straniero risulta titolare di un diritto soggettivo al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (Cass., Sez. unite, n. 19393/2009 e Cass., Sez. unite, n. 5059/2017), non vengono tipizzati o predeterminati, neppure in via esemplificativa, dal legislatore» (corsivo aggiunto).
[16] Sulla retroattività in generale vds., da ultimo, C. Padula (a cura di), Le leggi retroattive nei diversi rami dell’ordinamento, Napoli, 2018; sulla criticità del concetto stesso di retroattività vds. M. Luciani, Il dissolvimento della retroattività. Una questione fondamentale del diritto intertemporale nella prospettiva delle vicende delle leggi di incentivazione economica (Parte Prima), in Giurisprudenza italiana, 2007, pp. 1825 ss.
[17] Così da ultimo Cass. civ, sez. I, sent. n. 3845/2017 (corsivo aggiunto), richiamata da tutte le pronunce in commento. Si tratta di un orientamento da tempo consolidato: vds. anche, ex pluribus, Cass. civ., Sez. lavoro, ord. n. 11114/2019; Cons. St., sez. V, n. 3216/2010; Cass. civ., sez. I, n. 16395/2007. In dottrina vds. A. D’Aloia, P. Torretta, Art. 11, in Commentario al Codice civile. Art. 1-142, a cura di Paolo Cendon, Milano, 2009, p. 193; R. Tarchi, Le leggi di sanatoria nella teoria del diritto intertemporale, Milano, 1990, p. 236 ss.; E. Fazzalari, Efficacia della legge processuale nel tempo, in Rivista Trimestrale di Diritto e Procedura Civile, 1989, pp. 890-891.
[18] Così Cass. civ., Sez. lavoro, n. 24361/2017.
[19] In questo senso, vds. C.M. Bianca, «La legge non dispone che per l’avvenire» (art. 11 disp. prel. cc): a proposito del decreto sicurezza, cit.
[20] Cass. n. 1999/5181 e Cass., Sez. unite, n. 10690/1993, sugli effetti della legge n. 346/1976.
[21] Vds. A Concaro, Il sindacato di costituzionalità sul decreto-legge, Milano, 2000, p. 44. Per un esempio concreto, si pensi all’art. 21 del decreto-legge “Minniti” (n. 13/2017), che differiva l’applicazione di numerose e importanti previsioni a 180 giorni dall’entrata in vigore del decreto stesso.
[22] Cfr., ad esempio, F. Biondi, Riflessioni sull’uso del decreto-legge come “disegno di legge rinforzato” (A partire dalla vicenda del decreto-legge n. 149 del 2013, in tema di riforma del sistema di finanziamento dei partiti politici), in “Legislazione governativa d’urgenza” e crisi, a cura di R. Calvano, Napoli, 2015, p. 77.
[23] L’art. 14, comma 2 del decreto-legge n. 113/2018 prevede che le nuove norme «si applicano ai procedimenti di conferimento della cittadinanza in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto».
[24] Vds. le pronunce citate nella precedente nota n. 14.
[25] Così la già citata Cass. civ. sez. I, n. 4890/2019.
[26] Così Cass., Sez. unite, n. 32044/2018 e n. 32177/2018.
[27] Così la già citata ordinanza del Tribunale di Firenze. Analogamente, la già citata Cass. n. 4890/2019 ha affermato che «il diritto soggettivo, nella specie, è preesistente alla verifica delle condizioni cui la legge lo sottopone, mediante il procedimento amministrativo ed eventualmente giudiziale. Il risultato positivo o negativo dell’accertamento, dipende dal quadro allegativo e probatorio posto a base della domanda ma non incide sulla natura giuridica della situazione giuridica soggettiva azionata e sulla incontestata natura dichiarativa della verifica amministrativa e giudiziale. […] il diritto ad un titolo di soggiorno fondato su “seri motivi umanitari” […] sorge contestualmente al verificarsi delle condizioni di vulnerabilità».
[28] Al punto che oggi sembra più corretto parlare di “protezione complementare”, come rileva F. Gallo, La protezione complementare dopo il dl 113/2018, cit.
[29] Così, ex pluribus, Corte cost., sent. n. 257/2011.
[30] Come nota il Tribunale di Firenze, «alla tutela dichiarativa propria dei diritti umani discende, a pena d’incostituzionalità dell’interpretazione della norma transitoria e del sistema, il diritto a fare affidamento nel predetto paradigma legislativo, paradigma che si fonda su un fatto, o fatti, generatori radicalmente diversi e non sovrapponibili con il nuovo, od i nuovi, dato il suo carattere originariamente aperto e non predeterminabile».
[31] Così C. Padula, Quale sorte per il permesso di soggiorno umanitario dopo il dl 113/2018?, cit.
[32] Così V. Marcenò, Qualche riflessione sui pretesi effetti retroattivi di alcune disposizioni del “decreto sicurezza”, in Osservatorio sulle fonti, n. 3/2018, pp. 10-11.
[33] Come osservato anche da C.M. Bianca, «La legge non dispone che per l’avvenire» (art. 11 disp. prel. cc): a proposito del decreto sicurezza, cit., secondo cui «l’applicazione della legge vigente al momento della proposizione della domanda, e ancor prima al momento dell’ingresso dello straniero, non contrasta con la nuova legge. Si tratta infatti di un effetto che discende dal principio di irretroattività della legge rettamente applicato».
[34] Ad esempio, Cass. civ., sez. VI, nn. 17205, 17206, 17207 del 2019.
[35] Ad esempio, Cass. civ., sez. VI, nn. 18208, 18211, 18212, 18213, 18214 del 2019; sez. I, nn. 16457, 16460, 16461, 16462, 16463, 16464, 17306, 17308, 17310, 17277, 17311 del 2019.
[36] In questo senso vds. anche C. Padula, Quale sorte per il permesso di soggiorno umanitario dopo il dl 113/2018?, cit.
[37] In questo senso vds. C.M. Bianca, «La legge non dispone che per l’avvenire» (art. 11 disp. prel. cc): a proposito del decreto sicurezza, cit.
[38] Sono le stesse ordinanze che hanno rimesso la questione alle Sezioni unite a indicare questa soluzione, sia pure polemicamente e per assurdo: «se di mero accertamento si tratta, si dovrebbe fare riferimento al momento in cui le condizioni si sono maturate» (punto 4.4); salvo poi affermare, in modo non condivisibile, che proprio la difficoltà di individuare tale momento renderebbero incerta la ricostruzione del diritto alla protezione umanitaria quale preesistente al suo accertamento. Sul punto, anche l’ordinanza del Tribunale di Firenze osserva che «resta la problematica della individuazione del momento distintivo del regime giuridico. Se individuabile nel giorno di presentazione della domanda o se retrodatabile al momento di arrivo sul territorio nazionale»; tuttavia non scioglie la questione, che non era rilevante nel caso al suo esame.
[39] Vds. la precedente nota n. 6.
[40] Secondo Cass. n. 4890/2019, «è lo stesso legislatore che, nel prevedere la disciplina del D.L. n. 113 del 2018, art. 1 comma 9, limitatamente alla conformazione del provvedimento del questore, ha indicato un principio di diritto intertemporale che, indipendentemente dalla portata letterale della disposizione, non può non essere applicato a tutte le situazioni soggettive omogenee» (punto 18). L’ordinanza del Tribunale di Firenze ribadisce che «la disciplina sostanziale debba restare quella vigente, quantomeno, al momento della presentazione della domanda, dovendosi circoscrivere l’applicazione del comma 9 dell’art. 1 del DL 113/2018 alle modalità formali di rilascio del nuovo permesso di soggiorno».
[41] In questo senso, vds. la circolare della Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere del 18 gennaio 2019, p. 3.
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