Riesame del trattenimento presso il Cie: commento al decreto del Tribunale di Torino

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Contro la misura limitativa della libertà personale nei CIE che la Corte Costituzionale ha definito “mortificazione della dignità dell’uomo”, il riesame su istanza di parte è previsto dalla Direttiva rimpatri quale strumento per assicurare un rimedio effettivo alle prerogative di libertà individuale. Il commento dell’avv. Maurizio Veglio al decreto del Tribunale di Torino, sezione IX civile, del 16 novembre 2016.

Il provvedimento del Tribunale di Torino in esame si pone in posizione di singolare contrasto con la giurisprudenza comunitaria in materia di riesame del trattenimento presso un C.I.E. su iniziativa di parte.

Il riesame su istanza di parte è previsto dalla Direttiva europea

Come noto tale istituto, previsto dall’art. 15, par. 3, direttiva 2008/115/CE (cd. Direttiva rimpatri), non è stato recepito dal legislatore nazionale, lasciando spazio ad interpretazioni contrastanti, fino alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 28 aprile 2011 (C-61/11, PPU, El Dridi contro Italia), la quale ha chiarito come il riesame su istanza di parte e le altre previsioni contenute negli artt. 15 e 16 della medesima direttiva “sono incondizionati e sufficientemente precisi da non richiedere ulteriori specifici elementi perché gli Stati membri li possano mettere in atto” (par. 47).

E’ appena il caso di sottolineare che tale interpretazione appare l’unica plausibile in considerazione della natura dei beni in gioco: il trattenimento presso il C.I.E. è misura limitativa della libertà personale nonché causa di “mortificazione della dignità dell’uomo” secondo la Corte Costituzionale (sentenza del 10 aprile 2001, n. 105). Ciononostante il decreto di convalida del trattenimento è decisione unicamente ricorribile per Cassazione ex art. 14, c. 6, D. Lgs. 286/98. Il riesame su istanza di parte – istituto non assimilabile alla procedura di proroga del trattenimento, da cui differisce per presupposti e finalità – risulta pertanto l’unico strumento in grado di assicurare un rimedio effettivo alle prerogative di libertà individuale, meritevoli in quanto tali della massima soglia di garanzia.

Sul mancato rinnovo della carta di soggiorno per familiare di cittadino comunitario

L’esame del provvedimento evidenzia, peraltro, ulteriori anomalie. Il Tribunale afferma infatti che lo straniero, sebbene figlio di cittadino italiano, “non risulta essere cittadino comunitario, dal momento che (…) la carta di soggiorno per familiari di cittadini UE risulta scaduta dal 4.5.2015 e mai rinnovata”. La tesi risulta infondata: il rinnovo del documento che certifica lo status di familiare di cittadino dell’Unione è infatti formalità amministrativa che non incide in alcun modo sulla conservazione dello stesso, posto che “La qualità di titolare di diritto di soggiorno e di titolare di diritto di soggiorno permanente può essere attestata con qualsiasi mezzo di prova previsto dalla normativa vigente, fermo restando che il possesso del relativo documento non costituisce condizione necessaria per l’esercizio di un diritto” (art. 19, c. 4, D. Lgs. 30/2007). Tale principio costituisce recepimento della direttiva 2004/38/CE, il cui art. 25 stabilisce che “Il possesso di un attestato d’iscrizione di cui all’articolo 8, di un documento che certifichi il soggiorno permanente, della ricevuta della domanda di una carta di soggiorno di familiare di una carta di soggiorno o di una carta di soggiorno permanente, non può in nessun caso essere un prerequisito per l’esercizio di un diritto o il completamento di una formalità amministrativa, in quanto la qualità di beneficiario dei diritti può essere attestata con qualsiasi altro mezzo di prova”, disposizione ulteriormente mutuata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia (sentenza del 25 luglio 2002, C-459/99, MRAX contro Belgio).

Nessuna conseguenza discende quindi dal mancato rinnovo della carta di soggiorno per familiare di cittadino comunitario, trattandosi di documento meramente ricognitivo di uno status preesistente, che può essere documentato con qualunque mezzo di prova (decreto di concessione della cittadinanza italiana al familiare, certificato di matrimonio, etc).

Sul trattenimento presso un CIE

Da ultimo deve ancora rilevarsi come la condizione di familiare di cittadino dell’Unione impedisca l’adozione della misura del trattenimento presso un C.I.E. (con conseguente illegittimità anche del pregresso provvedimento di convalida ad opera del medesimo Tribunale). Allorché la permanenza in Italia di tale categoria di stranieri sia ritenuta “incompatibile con la civile e sicura convivenza”, l’art. 20, c. 11, D. Lgs. 30/07, stabilisce infatti che “Il provvedimento di allontanamento per i motivi di cui al comma 1 [vale a dire per motivi di sicurezza dello Stato; motivi imperativi di pubblica sicurezza; altri motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza, n.d.r.] è immediatamente eseguito dal questore”. Quanto alle modalità attuative di tale procedura, il capoverso del medesimo articolo prevede che “Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 13, comma 5-bis, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286”. La norma richiamata disciplina la procedura di convalida dell’accompagnamento immediato alla frontiera a mezzo della forza pubblica del cittadino extracomunitario, stabilendo che il questore deve comunicare entro 48 ore dalla sua adozione, il provvedimento di allontanamento al giudice territorialmente competente, il quale provvede alla convalida, con decreto motivato, entro le 48 ore successive. La medesima norma stabilisce inoltre che “In attesa della definizione del procedimento di convalida, lo straniero espulso è trattenuto in uno dei centri di identificazione ed espulsione, di cui all’articolo 14, salvo che il procedimento possa essere definito nel luogo in cui è stato adottato il provvedimento di allontanamento anche prima del trasferimento in uno dei centri disponibili. Quando la convalida è concessa, il provvedimento di accompagnamento alla frontiera diventa esecutivo. Se la convalida non è concessa ovvero non è osservato il termine per la decisione, il provvedimento del questore perde ogni effetto”.

Ne consegue che il trattenimento del familiare di cittadino dell’Unione è misura consentita unicamente nelle more della definizione del procedimento di convalida dell’allontanamento, vale a dire non oltre le 48 + 48 ore. Esaurito tale iter con la convalida giudiziaria del Tribunale ordinario in composizione monocratica, il provvedimento di accompagnamento alla frontiera diventa esecutivo e il familiare di cittadino comunitario deve essere immediatamente allontanato dal territorio nazionale ad opera della Questura, mentre in caso di mancata convalida il provvedimento di allontanamento perde effetto.

In nessun caso, pertanto, trascorso il termine massimo di 96 ore il familiare di cittadino dell’Unione può essere ulteriormente trattenuto presso un C.I.E., realizzandosi diversamente un’illegittima privazione della libertà personale dello straniero, con conseguente diritto alla riparazione per l’ingiusta restrizione patita (sul diritto al risarcimento del danno in casi di trattenimento sine titulo presso un C.I.E. si veda la recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 6 ottobre 2016, Requêtes n. 3342/11, 3391/11, 3408/11 et 3447/11, Richmond Yaw ed altri contro Italia).

Tribunale di Torino, sezione IX Civile, decreto del 16 novembre 2016

 

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