Visita all’hotspot di Taranto

Argomenti:hotspot
Tipologia del contenuto:Notizie

Tra il 2 e il 7 maggio 2019, Oxfam Italia (nell’ambito del Programma Open Europe),  ASGI e ActionAid hanno organizzato una missione a Taranto al fine di monitorare le procedure applicate ai cittadini stranieri che vengono condotti nel centro in cui è attivo l’approccio hotspot (di seguito, “hotspot ”).

A tal fine sono stati organizzati incontri sia con la Campagna Welcome Taranto – che da diversi anni analizza la situazione dell’hotspot e fornisce tutela ai cittadini stranieri – che con l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (UNHCR) e con l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) che, in convenzione con il Ministero dell’Interno, lavorano quali enti di tutela all’interno del centro. Inoltre, la delegazione ha avuto accesso al centro hotspot, in seguito all’invio di una richiesta di formale autorizzazione da parte di ASGI alla Prefettura competente, e ha potuto incontrare i dirigenti dell’Ufficio Immigrazione della Questura e dell’Area immigrazione e cittadinanza della Prefettura.

L’hotspot di Taranto si trova a pochi metri dall’ingresso del porto commerciale della città, a ridosso della gigantesca area industriale. La vicinanza con l’acciaieria ex Ilva e con gli altri impianti industriali inquinanti è resa evidente dalla spessa patina di polvere rossa che ricopre le tensostrutture e i container che costituiscono la struttura del centro. 

Dalla fine del 2017, a seguito del calo degli sbarchi, i 400 posti letto di cui dispone l’hotspot non vengono utilizzati per la prima accoglienza delle persone arrivate via mare. Nonostante ciò, da marzo a luglio 2018 il centro è stato interessato da lavori di ristrutturazione volti al suo ampliamento. 

L’area un tempo utilizzata per l’accoglienza è composta da grandi tensostrutture con diverse decine di letti per l’ospitalità di uomini e donne e da container da 8 posti circa per i minori stranieri, gli individui vulnerabili e le famiglie. Sebbene ci siano bagni dedicati a persone vulnerabili e minori, al momento della visita della delegazione le zone non apparivano chiaramente delimitate, determinando possibili situazioni di promiscuità. La zona vulnerabili è delimitata unicamente da transenne di metallo mobili, come quelle utilizzate per i lavori in corso, le sedie e il mobilio, soprattutto quello esterno, appaiono danneggiati dagli agenti atmosferici.

Qual è l’utilizzo che viene fatto oggi dell’hotspot?

Ormai da tre anni l’hotspot viene utilizzato difformemente dagli altri centri adibiti a “punti di crisi”, senza che sia mai stata fatta chiarezza circa la ratio di questa scelta. 

Dall’estate del 2016 e in maniera esclusiva dalla fine del 2017 è stato infatti adibito a luogo nel quale condurre forzatamente i cittadini stranieri fermati a Ventimiglia, Como, Bardonecchia e in altre zone del confine settentrionale. Le decine di cittadini stranieri che ogni mese sbarcano direttamente sulle coste pugliesi vengono invece condotti per le procedure di identificazione nel centro di primo soccorso “Don Tonino Bello” di Otranto.

I trasferimenti dalle frontiere nord vengono utilizzati all’interno di una strategia di “alleggerimento della pressione in frontiera” ideata nel 2016 dall’allora Ministro dell’Interno Angelino Alfano e mai abbandonata, nonostante attualmente i trasferimenti interessino di fatto poche decine di persone alla settimana a causa della diminuzione degli arrivi e, conseguentemente, del numero di persone che tentano di attraversare i confini settentrionali.

Nel centro vengono eseguite le attività di identificazione previste nelle Procedure operative standard (SOP) applicabili agli hotspot, predisposte però per cittadini stranieri approdati in Italia a seguito di sbarco e immediatamente condotti al centro. La sequenza procedurale (screening medico, informativa, pre-identificazione e identificazione, incanalamento nelle procedure di asilo o verso il rimpatrio) risulta pertanto, in alcuni passaggi e in alcuni casi, incongrua rispetto ai bisogni di cui sono portatori i cittadini stranieri effettivamente presenti al centro, che spesso sono in Italia da tempo e sono già stati identificati al momento del loro arrivo.

Comunicazioni e libertà di movimento negati durante le procedure

Per tutto il corso delle procedure i cittadini stranieri non hanno la possibilità di allontanarsi dalla struttura, trovandosi in una situazione di trattenimento de facto. Data la breve durata delle procedure, la zona dormitori è dismessa, così come pure l’area mensa: i pasti sono consumati sotto dei tendoni aperti. Nella struttura non sono presenti telefoni e i cellulari dei cittadini stranieri vengono requisiti all’ingresso, in modo del tutto arbitrario, impedendo di fatto qualunque forma di comunicazione in entrata e in uscita con i legali e i familiari, e ledendo quindi in maniera importante il diritto di difesa.

Per le persone è possibile avere accesso al cellulare soltanto per recuperare il numero del proprio avvocato con cui entrano in contatto i funzionari della questura nel caso ritengano opportuno approfondire la situazione legale della persona.

Per quanto riguarda le persone fatte uscire dal centro  (le uscite avvengono in serata, al termine delle procedure di cui sopra), esse devono percorrere circa tre chilometri di strada statale per arrivare al centro abitato o presso la locale stazione dei treni, poiché generalmente non è prevista alcuna navetta che conduca dalla struttura alla città.

Mancanza di servizi per la tutela della salute e delle persone vulnerabili

Secondo quanto ci è stato riferito, negli ultimi mesi non è più stata garantita la presenza in struttura del team medico per gli screening sanitari all’ingresso e da marzo la cooperativa a cui erano affidati dal Comune di Taranto (ente gestore della struttura) numerosi servizi di assistenza sociale non è più presente.

Si rilevano dei limiti nell’identificazione di vulnerabilità di tipo psicologico. Le condizioni di trattenimento in hotspot non favoriscono questo tipo di identificazione per mancanza di personale specializzato in grado di individuare tali vulnerabilità. 

Anche quando l’equipe medica era presente, non era prevista alcuna forma di screening per l’individuazione di vulnerabilità psicologiche. Sebbene l’OIM sia incaricata delle procedure di individuazione precoce delle vulnerabilità, tali procedure e la composizione dell’equipe, unitamente al breve tempo in cui si è in contatto con le persone, spesso non consentono  l’emersione di forme di disagio psichico. A rendere ulteriormente complicata l’individuazione di specifiche vulnerabilità è anche la condizione di forte stress psicofisico in cui versano, a detta degli attori che operano nell’hotspot, tutte le persone trasferite da Ventimiglia, sottoposta a un trasferimento coatto della durata di almeno 13 ore in autobus, spesso senza nessuna fermata durante il tragitto, nemmeno per espletare i propri bisogni.

Dopo le visite mediche – quando sono garantite – gli enti di tutela veicolano informazioni circa la protezione internazionale (UNHCR), la normativa sulla immigrazione e il rimpatrio volontario assistito (OIM). Dato il ridotto numero di persone che vengono attualmente condotte nell’hotspot (circa 20-30 persone a settimana), le organizzazioni hanno tempo e modo di comunicare adeguatamente i contenuti dell’informativa legale. 

Quali persone transitano nell’hotspot?

In seguito le persone vengono pre-identificate, fotosegnalate e identificate attraverso il rilevamento delle impronte digitali. Nel pomeriggio si hanno i riscontri circa la posizione giuridica di ognuno, e i cittadini stranieri vengono indirizzati verso le relative procedure. 

Secondo quanto riferito dai diversi attori intervistati, arrivano nell’hotspot di Taranto persone  in condizioni molto diverse, sia dal punto di vista giuridico che personale: titolari di permesso di soggiorno di varia tipologia, richiedenti protezione internazionale, persone che non sono mai state identificate, persone con ricorsi pendenti o con dinieghi definitivi della richiesta di protezione, persone con vulnerabilità psichica o fisica e, a volte, minori non accompagnati. Appare dunque evidente, anche da questa prima sommaria elencazione,  sia l’arbitrarietà con cui vengono selezionate le persone da trasferire sia il fatto che molte delle persone che arrivano all’hotspot di Taranto non hanno nessun motivo per esservi condotti, tenuto conto che, essendo titolari di regolare permesso di soggiorno o essendo in altre posizioni già giuridicamente definite, gli stessi risultano già essere stati identificati. 

A ciò si aggiunge che soprattutto per le persone portatrici di esigenze particolari, quali ad esempio i minori soli, il trasferimento appare costituire un fattore di accentuazione della vulnerabilità.

I minori stranieri non accompagnati, che in alcune occasioni sono stati illegittimamente trasferiti nell’hotspot, attualmente, al contrario di quanto avvenuto in passato, vengono immediatamente trasferiti nelle strutture di accoglienza idonee. Come previsto dalla normativa, quindi, l’accertamento dell’età non avviene più all’interno dell’hotspot. Questo profilo è, con tutta evidenza, di sostanziale importanza, e si ritiene fondamentale continuare a prestare a tali prassi la necessaria attenzione.

Quanti presentano per la prima volta domanda di asilo, vengono generalmente trasferiti nelle strutture di accoglienza, mentre coloro che hanno già una procedura aperta presso altre questure, vengono invitati a presentarvisi per terminare l’iter.

In caso di notifica di un provvedimento di espulsione, le persone vengono trasferite tempestivamente nei centri di permanenza per il rimpatrio (CPR), dove vengono trattenute, oppure ricevono un ordine di allontanamento e vengono fatte uscire e lasciate libere sul territorio. 

Un container come ” luogo idoneo al trattenimento ” ?

Alla luce di quanto riferito dai funzionari dell’Ufficio immigrazione della Questura di Taranto in occasione della visita in hotspot, un cittadino straniero è stato ufficialmente trattenuto nell’hotspot, che è stato considerato dal giudice di pace “luogo idoneo al trattenimento”, secondo quanto previsto dalle modifiche apportate dal c.d. Decreto Sicurezza (l.132/2018) al Testo unico immigrazione, art. 13 c. 5bis. Il luogo utilizzato per il trattenimento è un container di ridotte dimensioni situato nella zona anteriore della struttura hotspot. Tale nuova modalità di trattenimento solleva diverse criticità in ordine all’effettivo rispetto delle garanzie costituzionali. Sembrerebbe inoltre che il giudice di pace non abbia effettivamente visitato il luogo al fine di dichiararne l’idoneità.

Per quanto riguarda l’ipotesi del trattenimento in hotspot dei richiedenti protezione internazionale ai fini della determinazione o verifica dell’identità e della cittadinanza (prevista dalla l.132/2018), non ci sono stati casi di trattenimento e non sono ancora stati individuati i luoghi in cui tale detenzione potrà avvenire. Questa situazione è rilevante nel momento in cui a distanza di sette mesi dall’emanazione della nuova normativa la stessa non è stata ancora applicata, né sono state adottate le misure propedeutiche alla sua attuazione, nonostante si tratti di una misura contenuta in un decreto legge, che trova la sua ragione d’essere proprio nella situazione di “necessità e urgenza” all’interno della quale viene adottato. Inoltre, non è resa disponibile dalle autorità alcuna lista di legali a cui i cittadini stranieri possono rivolgersi, così come stabilito dal Regolamento generale CIE (DM del 20 ottobre 2014), la cui applicazione è da  intendersi estesa ai centri hotspot nel caso di trattenimento al loro interno di cittadini stranieri.

Un monitoraggio necessario

I colloqui con i diversi attori istituzionali e della società civile e la visita al centro hanno permesso di raccogliere importanti informazioni in merito alla situazione attuale dell’hotspot di Taranto e alle prassi attuate al suo interno. Si ritiene fondamentale che l’accesso ai centri hotspot, soprattutto nell’attuale fase di riforma in senso restrittivo e securitario del funzionamento di tali centri, sia garantito a soggetti della società civile indipendenti rispetto alle istituzioni che governano e gestiscono tali luoghi. Il monitoraggio costante da parte della società civile può permettere, infatti, di dissolvere – almeno parzialmente – la patina di “invisibilizzazione” che tende ad avvolgere i centri hotspot, inaccettabile in un paese democratico, ancor più da quando le modifiche normative hanno introdotto la possibilità di svolgere in frontiera, in una situazione di trattenimento e in maniera accelerata, la valutazione del merito della richiesta di protezione internazionale.

Occorrerà sviluppare iniziative analoghe anche in altri contesti, nella consapevolezza che soltanto un interesse diffuso e capillare della società civile relativo al funzionamento degli hotspot può consentire una reale tutela giuridica dei cittadini stranieri e dell’ordinamento democratico nel suo complesso, gravemente minacciato da una compressione sempre più evidente dei diritti degli individui più vulnerabili.

Visita all’hotspot di TarantoUn resoconto di Oxfam, ASGI e Actionaid (pdf)

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