Violato il diritto di difesa e alla comunicazione nel centro di detenzione per migranti di Milano

ASGI, Naga, LasciateCIEntrare e Mai più Lager – No ai CPR: ” Chi è trattenuto in un centro di detenzione ha il diritto di parlare con i suoi avvocati”.

Con una lettera inviata il 27 novembre 2020 al Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, ai Garanti dei detenuti della Regione Lombardia e del Comune di Milano, al Presidente del Tribunale di Milano e al Referente della Sezione Immigrazione e Stupefacenti-Ufficio del Giudice di Pace, ASGI e Naga hanno denunciato diverse violazioni rilevate all’interno del centro per i rimpatri di Milano.

A seguito di una quarantena disposta dal medico della struttura come conseguenza dell’accertata positività di due cittadini stranieri trattenuti, per tutto il periodo di svolgimento dell’isolamento fiduciario, sono state rilevate prassi illegali e fortemente lesive dei diritti fondamentali.

Misure che si inseriscono in un quadro già fortemente critico per quanto concerne le modalità di svolgimento dei colloqui con avvocati e la libertà di corrispondenza anche telefonica con il mondo esterno. 

In particolare si è verificato che:

  • A seguito della messa in quarantena della struttura per presenza di casi positivi COVID al suo interno, è stato impedito l’incontro dei detenuti con i rispettivi  legali impedendo l’esercizio del diritto di difesa in sede di udienza di convalida o proroga del trattenimento e una corretta e continua informativa sulla propria condizione giuridica da parte del difensore. Ai difensori dei cittadini stranieri trattenuti è stato illegittimamente impedito da parte delle autorità competenti l’accesso e lo svolgimento di colloqui, rendendo di fatto impraticabile l’esercizio del diritto di difesa, diritto inviolabile e preminente tutelato dalla Costituzione non derogabile sulla base del presupposto del rischio sanitario. 
  • È stata rilevata l’assenza di mediatori professionisti in loco.
  • È stata riscontrata la mancanza di riservatezza nel corso dei colloqui tra difensore e assistito alla luce della costante presenza delle autorità di pubblica sicurezza. 
  • Durante il periodo dell’emergenza sanitaria è stata estesa la prassi del sequestro del proprio telefono anche a CPR dove precedentemente non era praticata. Il CPR di Milano non fa eccezione. Questo nonostante la legge preveda che agli stranieri trattenuti in un CPR “è assicurata in ogni caso la libertà di corrispondenza anche telefonica con l’esterno”. Una tale prassi evidentemente non tutela  il diritto alla corrispondenza in entrata e in uscita e, di conseguenza, limita gravemente la possibilità di accedere all’informazione, al diritto di difesa, al diritto all’unità familiare, diritti che, nella contemporaneità, sono infatti legati alla possibilità di usufruire di molteplici forme di comunicazione telematica.

Esistono garanzie per coloro che vedono limitata la libertà personale nei luoghi di detenzione, eppure le misure recentemente adottate presso il CPR di Milano per l’isolamento sanitario hanno comportato gravi limitazioni dei diritti dei cittadini stranieri trattenuti” hanno denunciato le associazioni.

La Questura di Milano, per tramite dell’amministrazione del centro, ha dichiarato che il protocollo emergenziale è stato adottato dalla Prefettura a seguito di quarantena disposta dal medico della struttura come conseguenza dell’accertata positività di due cittadini stranieri trattenuti, circostanza che desta preoccupazione anche con riferimento all’adozione delle garanzie necessarie ad evitare la diffusione del virus tra i cittadini ristretti. Le misure limitative sarebbero quindi terminate il 30 novembre rilevata l’assenza di positività al tampone di controllo di tutte le persone trattenute.

Tuttavia, è verosimile che in un periodo come quello attuale, di emergenza sanitaria, quando il centro sarà nuovamente completamente operativo, si presenteranno nuovamente situazioni simili ed è quindi fondamentale ribadire alle autorità competenti la totale illegittimità delle misure limitative attuate.

Quella verificatasi a Milano è una situazione ormai di fatto generalizzata, riscontrabile purtroppo in molti CPR di Italia e che va contrastata e denunciata.

Come abbiamo replicato all’amministrazione della struttura milanese, e segnalato all’amministrazione concedente, cioè la Prefettura, di fatto responsabile della struttura stessa, se le autorità competenti non possono garantire i diritti in questione anche in vigenza dei protocolli necessari per la tutela della salute delle persone trattenute, del personale e dei legali, riteniamo che i CPR  debbano cessare la propria attività.

Non può infatti tollerarsi che vengano applicate – in una situazione che purtroppo non può dirsi emergenziale ma anzi sempre più ricorrente –  ulteriori restrizioni all’esercizio delle  già minime garanzie di tutela dei diritti fondamentali dei cittadini stranieri, presupposto alla base delle proteste degli ultimi giorni, in aggiunta a quelle ordinariamente praticate in tali centri, a nostro avviso in maniera illegittima sotto più profili.


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