di Marina Mattirolo e Alberto Pasquero
In breve
Il 27 gennaio 2021 il Comitato per i Diritti Umani dell’ONU (“Comitato”) ha pubblicato una storica decisione con la quale ha stabilito la responsabilità dell’Italia per violazione del diritto alla vita di cittadini stranieri naufragati in acque internazionali. Il caso riguarda il tragico naufragio dell’11 ottobre 2013, noto anche come “la strage dei bambini” in cui morirono circa 200 persone, tra cui almeno 60 bambini. Il caso è stato portato all’attenzione del Comitato da tre cittadini siriani ed uno palestinese, sopravvissuti all’incidente.
Il Comitato ha competenza per stabilire possibili violazioni del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici del 1966 (“Patto”) da parte degli Stati che lo hanno ratificato, tra cui l’Italia. Le sue decisioni non sono vincolanti, ma hanno una grande autorevolezza e contribuiscono al formarsi di nuove norme di diritto internazionale che vincolano tutti gli Stati.
L’importanza della decisione sta nel fatto che per la prima volta viene stabilita la responsabilità dell’Italia per non aver salvato la vita di migranti che si trovano in acque internazionali e non sono a bordo di una nave battente bandiera italiana. Il principio potrebbe ora essere applicato anche in altri casi simili pendenti di fronte ad altri organi giurisdizionali, come ad esempio la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
I fatti
Secondo la ricostruzione effettuata dal Comitato, l’imbarcazione carica di circa 400 persone era partita dalla Libia e si trovava in forte difficoltà dopo essere stata bersaglio di colpi di arma da fuoco da parte di un’imbarcazione battente bandiera berbera. Le persone a bordo contattarono le autorità italiane per chiedere aiuto: queste comunicarono però ai migranti di rivolgersi alle autorità maltesi, trovandosi l’imbarcazione in acque internazionali all’interno della zona SAR maltese, seppur più vicina a Lampedusa (113 km) che a Malta (218 km). Le autorità italiane inoltre ordinarono espressamente ad una nave della marina militare italiana (la ITS Libra), che distava un’ora soltanto dalla nave in difficoltà, di non intervenire. Si susseguiva un palleggio di comunicazioni e responsabilità tra le autorità maltesi ed italiane che causò un grave ritardo nelle operazioni di soccorso, intervenute più di cinque ore dopo la prima chiamata di aiuto quando la nave si era ormai rovesciata.
Le accuse
I ricorrenti hanno accusato quindi l’Italia da una parte di non aver preso le misure necessarie per prestare soccorso alle persone a bordo della nave in difficoltà, causando la morte di centinaia di persone e violando così il loro diritto alla vita garantito dall’articolo 6 del Patto; dall’altra, di non aver condotto un’indagine indipendente e tempestiva sulla vicenda, violando così il loro diritto ad un ricorso effettivo di cui all’articolo 2(3) del Patto.
La decisione del Comitato
Nella decisione pubblicata il 27 gennaio, il Comitato ONU ha stabilito che, nonostante il naufragio sia avvenuto in acque internazionali e in nessun momento i naufraghi si siano trovati a bordo di navi italiane o sotto il controllo di funzionari del governo italiano, sussiste tuttavia la c.d. “giurisdizione” dell’Italia, ossia l’obbligo per quest’ultima di far rispettare i diritti fondamentali contenuti nel Patto.
Secondo il Comitato, alla base di questo obbligo vi sono le circostanze specifiche del caso, tra cui il contatto iniziale tra i naufraghi e le autorità italiane, la vicinanza della nave militare “ITS Libra” al luogo del naufragio, il coinvolgimento delle autorità italiane nelle attività di soccorso, in aggiunta agli obblighi internazionali derivanti dal diritto internazionale del mare. In altri termini, le decisioni prese in quelle ore dalle autorità italiane hanno avuto un impatto diretto sulla vita dei naufraghi, rendendoli quindi soggetti di fatto alla “giurisdizione” italiana.
Dopo aver stabilito la giurisdizione e di conseguenza l’ammissibilità del ricorso, il Comitato ha affermato che nonostante Malta avesse la responsabilità primaria rispetto alle operazioni di soccorso, l’Italia, mancando di rispondere prontamente alle richieste di aiuto malgrado ne avesse la possibilità, ha causato inutili ritardi alle operazioni di soccorso e il conseguente annegamento di molti naufraghi, violando così il loro diritto alla vita.
Il Comitato ha aggiunto inoltre che l’Italia, pur avendo avviato un procedimento penale in relazione all’incidente, a distanza di oltre sette anni non ha ancora accertato alcuna responsabilità e non ha fornito spiegazioni soddisfacenti per il ritardo, così violando il diritto delle vittime ad un ricorso effettivo. Il Comitato ha concluso ribadendo l’obbligo dell’Italia di avviare prontamente un’indagine imparziale ed efficace sulla vicenda, di perseguire i possibili responsabili e provvedere al risarcimento delle vittime.
L’Italia ha ora sei mesi per rispondere al Comitato in merito alle misure prese per implementare la decisione.