Il Tribunale di Roma ordina il rilascio di un visto di ingresso per una persona illegalmente respinta in mare nel luglio del 2018.
Una nuova sentenza contribuisce a smantellare l’impalcatura che ha permesso alle amministrazioni italiane di impedire con ogni mezzo l’arrivo delle persone migranti dalla Libia.
Il caso è ormai noto: il 2 luglio del 2018, su indicazione delle autorità italiane, la nave mercantile Asso 29 ha imbarcato oltre 260 persone, precedentemente intercettate dalla motovedetta libica Zuwara, e le ha ricondotte a Tripoli. A causa di un’avaria e delle condizioni meteorologiche avverse, la motovedetta non era infatti in grado di proseguire la navigazione e aveva chiesto il soccorso delle autorità italiane di stanza a Tripoli. Queste avevano chiesto l’intervento del mercantile che, seguendo le indicazioni impartite dalla nave della Marina militare italiana Duilio, che si trovava sulla scena, aveva trasferito a bordo le persone naufraghe per poi sbarcarle nel porto di Tripoli.
Già a giugno, il Tribunale di Roma, adito da altre 5 persone illegalmente respinte dalla Asso 29, aveva stabilito che il Comandante della nave e le autorità italiane coinvolte, lungi dal dover eseguire quanto richiesto dai guardacoste libici, avrebbero dovuto condurre le persone in un luogo sicuro, ovvero in Italia, condannando i convenuti a risarcire il danno subito dai ricorrenti, attualmente rifugiati in Europa.
La sentenza di merito adottata dal Tribunale civile di Roma, stabilisce il diritto di A. di entrare in Italia con un regolare visto di ingresso, a fronte della violazione degli obblighi di non-refoulement in capo all’Italia, per poter chiedere il riconoscimento del diritto alla protezione internazionale.
Secondo la giudice “le autorità italiane che hanno prestato ausilio e il comandante della nave commerciale italiana inviata sul posto, avrebbero dovuto comunque garantire che i naufraghi venissero sbarcati in un luogo sicuro, a prescindere dalla presenza di un ufficiale libico sulla nave e dal fatto che la richiesta di soccorso fosse venuta dalle autorità libiche.”
In virtù del “contatto qualificato” con i naufraghi, saliti a bordo di una nave battente bandiera italiana in acque internazionali, le autorità hanno violato l’obbligo di adottare misure per prevenire atti di tortura e trattamenti inumani: “lo Stato italiano avrebbe dovuto non offrire ausilio alla guardia costiera libica per sbarcare i naufraghi in Libia, ma assicurare il loro trasporto in un luogo sicuro, proprio nel momento in cui erano su una nave sottoposta alla sua giurisdizione”.
“Questo ragionamento si applica evidentemente a tutti i casi in cui le autorità offrono supporto ai libici nell’operare le intercettazioni, ostacolando le attività di soccorso in mare delle ONG. Ogni volta che questo accade si configura una violazione del principio di non refoulement” dichiarano le avvocate Lucia Gennari del progetto Sciabaca&Oruka di ASGI e Ginevra Maccarone del collegio difensivo.
Sulla base di questa sentenza, l’Ambasciata italiana a Tripoli è tenuta a rilasciare un visto che permetta al ricorrente, illegalmente respinto in Libia ormai 6 anni fa, di fare ingresso in Italia e richiedere protezione internazionale.
Questa ulteriore decisione è estremamente importante perché qualifica una volta di più come illegittime le condotte adottate dalle autorità italiane nei respingimenti verso la Libia dove, ad oggi, sappiamo che si trovano ancora molte delle persone respinte presenti sulla Asso 29, in una situazione di grave pericolo.
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Avv. Lucia Gennari 3895295738
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