Le conseguenze concrete degli accordi fantasma: Italia e Tunisia fra rimpatri e opacità

di Martina Cociglio, Lorenzo Figoni e Marina Mattirolo

“Non ho mai visto tanti cittadini tunisini rimpatriati così velocemente dal CPR di Torino” osserva l’avvocato ASGI Maurizio Veglio. “I tempi sono rapidissimi: entrano al CPR, fanno l’udienza davanti al giudice di pace e nel giro di pochi giorni sono sull’aereo che li porta a Palermo per l’identificazione e poi direttamente in Tunisia.”

Tempi rapidi e diritti contratti

Quel che è certo è che l’eccessiva celerità dei tempi sacrifica la tutela dell’esercizio del diritto di asilo. In un meccanismo di incanalamento automatico che porta ciascun tunisino, indipendentemente dalla storia personale, a essere considerato “migrante economico”, ogni tentativo di deviare la sequenza dei passaggi che mirano al rimpatrio sembra non trovare spazio. “A volte è impossibile – sottolinea l’avvocato – garantire il diritto di difesa: per incontrare i clienti, a causa delle restrizioni legate al Covid-19, l’accesso ai CPR è contingentato, i telefoni cellulari dei trattenuti vengono custoditi e spesso gli stranieri vengono rimpatriati prima di avere un colloquio legale adeguato”.

Quando entrano nel CPR hanno già un provvedimento di allontanamento alle spalle e l’arco di tempo di 48 ore prima che il giudice di pace convalidi il trattenimento non basta a far emergere e a dimostrare una precedente e inascoltata manifestazione della volontà di richiedere asilo. Le poche informazioni sono frutto solamente dal passaparola, non vi è alcuna possibilità di presa in carico, le cause di inespellibilità non sono oggetto di una valutazione adeguata. In queste condizioni il rimpatrio diventa l’unico esito possibile.

E se è un accordo internazionale di dubbia legittimità a velocizzare i rimpatri e a riempire i voli aggiuntivi che dall’Italia partono verso la Tunisia, occorre chiedersi perché il nostro paese si adoperi tanto al fine di negare sistematicamente a queste persone il diritto di chiedere asilo.

Accordi nell’ombra

Il sistema attuale è il risultato di un processo di esternalizzazione delle frontiere che l’Unione europea e i suoi Stati membri sviluppano da più di vent’anni al fine di contrastare i processi migratori.

Fin dall’approvazione della legge Turco-Napolitano nel 1998, la politica nei confronti dell’immigrazione considerata irregolare è stata marcata da un’impronta fortemente repressiva, di cui gli accordi di rimpatrio con i paesi di origine o di transito hanno costituito un tassello fondamentale.

Nel caso della Tunisia, ciò che caratterizza le diverse intese che si sono succedute negli anni è la loro natura informale, poco trasparente e spesso non pubblica[1]. Inoltre, la maggior parte di questi accordi sono stati sottoscritti in forma semplificata, nonostante si abbia a che fare con trattati internazionali di evidente natura politica e che andrebbero quindi sottoposti ad un controllo da parte del Parlamento.

Il primo accordo bilaterale Italia-Tunisia fu sottoscritto il 6 agosto 1998 dall’allora Ministro degli Esteri italiano Lamberto Dini e dall’ambasciatore tunisino a Roma. Si trattava di una nota verbale in cui il governo tunisino si impegnava a mettere in atto misure efficaci di controllo delle coste in cambio di quote di ingresso annuali in Italia per cittadini tunisini.

Un nuovo accordo, ad oggi mai reso pubblico, viene sottoscritto dai ministri dell’interno dei due paesi nel 2009 con l’obiettivo di mettere in atto una procedura accelerata per il rimpatrio forzato dei cittadini tunisini senza permesso di soggiorno.

Nel 2011, contestualmente alla Rivoluzione dei Gelsomini ed al conseguente afflusso a Lampedusa di 22.000 cittadini tunisini nei primi mesi dell’anno, il Ministro dell’Interno italiano Roberto Maroni e il suo omologo tunisino Habib Hessib siglavano a Tunisi un nuovo accordo per gestire “l’emergenza immigrazione”. Il documento prevedeva un impegno da parte tunisina a rafforzare il controllo delle coste e ad accettare il respingimento diretto da parte dell’Italia nei confronti dei migranti tunisini sbarcati in modo irregolare sulle coste italiane dopo il 5 aprile 2011. Tuttavia, il patto non conteneva alcuna indicazione sulle modalità di svolgimento dei rimpatri, stabilendo unicamente la necessità di accertare la nazionalità del migrante prima del rimpatrio.

In occasione della visita del Presidente della Repubblica tunisino a Roma nel febbraio del 2017, i ministri degli esteri dei due paesi siglano un’ulteriore dichiarazione congiunta mirante a stabilire, tra le altre, una gestione concertata del fenomeno migratorio con l’obiettivo di rafforzare la lotta all’immigrazione irregolare tramite un più efficace controllo delle frontiere marittime.

Attuali opacità

Si giunge così all’ultimo capitolo della saga dei rapporti bilaterali tra Italia e Tunisia. Per fare fronte all’aumento degli sbarchi di cittadini tunisini, più di 12.000 dall’inizio del 2020, dovuto anche alla crisi innescata dalla pandemia, i ministri Luciana Lamorgese e Luigi Di Maio, accompagnati dai Commissari europei Ylva Johansson e Olivér Varhelyi, nell’agosto del 2020 si sono recati in visita a Tunisi per negoziare una nuova intesa. Poco dopo, la stampa annunciava di avere stanziato 11 milioni di euro a favore della Tunisia per “rafforzare il controllo delle frontiere”. Il Ministro dell’Interno italiano ha annunciato inoltre un ulteriore incontro in Tunisia che si svolgerà con tutta probabilità nei primi mesi del 2021.

Dopo la visita di Lamorgese e Di Maio, il ritmo dei rimpatri di cittadini tunisini è aumentato, dei 1.564 rimpatri di tunisini da inizio anno, 1.200 sono avvenuti dopo la nuova intesa: come ha illustrato Lamorgese, ai due voli settimanali, già previsti, si sono aggiunti dieci voli al mese messi a disposizione dal governo tunisino.

Tutto lascia pensare quindi che sia stato stipulato un nuovo accordo internazionale, anche se nulla è stato comunicato ufficialmente e le richieste della società civile italiana e tunisina di ottenerne copia non hanno avuto successo: il governo italiano in risposta ad ASGI ha dichiarato che in occasione dell’incontro a Tunisi del 17 agosto “non è stato sottoscritto alcun accordo bilaterale” e “sono ancora in corso le necessarie valutazioni in merito a possibili iniziative da finanziare”.

L’assenza di controllo democratico su tali accordi di chiara natura politica e l’impossibilità di conoscerne il contenuto sollevano non poche questioni, in entrambi paesi, riguardo la loro legittimità. Infatti, come ci comunica il deputato tunisino della Corrente democratica (Attayar) Majdi Karbai “Dopo l’instaurazione della nuova costituzione ogni accordo deve essere legittimato attraverso l’accettazione del parlamento tunisino”. La mancanza di un nuovo accordo renderebbe quindi inspiegabile il recente aumento del numero dei rimpatri[2], se non all’ombra di una generale carenza di trasparenza che sin dall’inizio avvolge le politiche di esternalizzazione delle frontiere e che, ad oggi, non accenna a sparire. 


[1] L’accordo del 2009 non è mai stato pubblicato né ottenuto tramite accesso agli atti; l’accordo del 2011 è stato reso pubblico nell’ambito della sentenza davanti alla Corte EDU Khlaifia v. Italia; l’accordo del 2017 non è mai stato pubblicato, ma è stato ottenuto tramite accesso agli atti.

[2] In merito è stato presentato apposito accesso agli atti.

Photo credit: Luciano Massimi