Senza voce: ostacoli alla libertà di corrispondenza telefonica nei CPR e strumenti di tutela

Un contributo di Eleonora Celoria

La condizione di privazione della libertà che affligge gli stranieri trattenuti in CPR porta con sé ulteriori, spesso illegittime e sproporzionate, compressioni dei diritti delle persone migranti, oltre a quella alla libertà personale. Ne è un esempio la prassi di inibizione dell’uso dei telefoni cellulari personali nei centri di detenzione amministrativa, ulteriore manifestazione di quei diaframmi immateriali[1] frapposti, dalle leggi e dalle prassi, tra gli stranieri privati della libertà e il mondo esterno.

Mentre la possibilità di comunicare tramite strumenti telefonici o telematici assumeva, dopo lo scoppio della pandemia da Covid-19, una importanza centrale per tutta la popolazione, gli stranieri trattenuti in CPR subivano compressioni sempre più incisive alle possibilità di utilizzare apparecchi portatili per comunicare con familiari, difensori e terze persone.

Nonostante nell’ordinamento non esistano previsioni espresse volte a limitare il diritto alla corrispondenza del migrante trattenuto (l’articolo 14 co 2 D. Lgs. 286/98 parla di “libertà di corrispondenza” che deve essere “in ogni caso assicurata”)[2],nel corso degli anni si è registrata a più riprese la prassi di confisca del telefono personale, seppure implementata con modalità differenti ed arbitrarie, a seconda dei CPR in cui trovava attuazione.

Tale limitazione, che ha trovato conforto soltanto nella Circolare DLCI del 26 marzo 2020,[3] ma non ha alcuna altra base legale, è stata estesa a quasi tutti i centri attualmente operativi. Con la conseguenza che gli stranieri non hanno alcuna possibilità di mettersi in contatto con chi desiderano, se non attraverso apparecchi comuni utilizzabili tramite schede a pagamento, e soprattutto non possono ricevere chiamate dall’esterno. Ne deriva una seria compressione dei diritti alla corrispondenza (art. 15 Cost.) e alla difesa (art. 24 Cost.), e alla vita privata e familiare (art. 8 Cedu). Inoltre, le limitazioni si riflettono anche sul godimento del diritto all’informazione e all’accesso a internet, considerato “diritto fondamentale della persona e condizione per il suo pieno sviluppo psicofisico”.

A ciò si aggiungono le criticità legate all’applicazione di misure di contenimento del contagio da Covid-19, che, quando si concretizzano nella quarantena fiduciaria dei trattenuti, comportano la sospensione di avere colloqui in presenza tra i trattenuti e i difensori: l’isolamento fisico, unito all’impossibilità di utilizzare i telefoni cellulari o altri strumenti di video chiamata per comunicare con i difensori, determina una grave ed inaccettabile lesione del diritto di difesa (tale violazione già denunciata da Asgi nel dicembre 2020 in relazione al CPR di Milano, pare essersi di recente riprodotta a Torino, a seguito di applicazione della misura della quarantena in data 29.3.2021).

Ad esempio, a Torino, la prassi di sequestro dei telefoni avviata nel gennaio del 2020 permane tutt’oggi, nonostante non sia ancora stata ripristinata la possibilità di accedere personalmente al centro per i familiari degli stranieri detenuti[4]. Inoltre, spesso i telefoni non sono attivi e, in ogni caso, non è rispettato il rapporto di 1 telefono fisso ogni 15 trattenuti, previsto dal Regolamento CIE. Inoltre, i difensori non hanno contezza dei numeri dei telefoni fissi e non possono quindi effettuare chiamate.

Allo stesso modo, nel CPR di Macomer (Nuoro), le persone trattenute possono effettuare chiamate all’esterno soltanto tramite i tre telefoni fissi messo a disposizione per tutti gli ospiti, da utilizzarsi con una carta telefonica a pagamento. La Questura di Nuoro, nel rispondere all’istanza di restituzione del telefono personale presentata da un trattenuto tramite una avvocata Asgi, ha risposto di non poter adempiere trattandosi di “deposito obbligatorio ex lege presso il gestore degli effetti personali”: l’obbligo di deposito non è tuttavia rinvenibile in alcuna fonte legislativa.

Anche a Roma i telefoni cellulari vengono sequestrati, in quanto inclusi tra gli oggetti “interdetti all’interno dei settori del CPR, per ragioni di tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica”.[5] Inoltre, delle cabine telefoniche presenti nel centro, almeno 2 non sarebbero attualmente funzionanti e, anche in questo caso, gli apparecchi funzionano solo a pagamento.

Nel CPR di Milano, invece, messi a disposizione dall’ente gestore due cellulari, a pagamento, utilizzabili secondo tempistiche e modalità decise in base alla disponibilità degli operatori all’accompagnamento dei trattenuti nei locali idonei. Precisamente con riferimento a tale prassi si è pronunciato il Tribunale di Milano, ribadendo che nelle disposizioni legislative riguardanti i CPR “non vi è uno specifico divieto di detenzione ed uso del telefono cellulare” e che “nell’ottica di assicurare il pieno rispetto dei diritti fondamentali della persona trattenuta […] il telefono cellulare rappresenta ormai uno strumento essenziale per permettere una libertà di corrispondenza che si sviluppi in tutte le direzioni consentite”. Il Giudice, qualificando la libertà di corrispondenza quale diritto fondamentale, stabilito dall’art. 15 della Cost., e che deve essere garantito all’interno del CPR ha ordinato a Prefettura, Questura ed Ente gestore di consentire al trattenuto di detenere e utilizzare il proprio cellulare personale, seppur entro determinati limiti orari e in appositi locali.  

Le criticità qui rilevante, comuni a tutti i centri (numero ridotto di apparecchi, restrizioni al loro uso imposte da esigenze organizzative, limitazioni alla durata delle chiamate, costo elevato delle chiamate verso l’estero, impossibilità di accedere liberamente ai propri contatti personali e di utilizzare internet) comportano il deterioramento pressoché totale della libertà di corrispondenza dello straniero, che, non più effettivamente esercitabile nella sua quotidianità, rimane lettera muta. La condizione di isolamento, già intrinseca alla natura detentiva del trattenimento in CPR, diventa così totale

Al fine di garantire l’effettività dei diritti richiamati, Asgi, nell’ambito del progetto In Limine, ha avviato da tempo azioni strategiche, volte in primo luogo a conoscere dettagliatamente l’entità delle limitazioni e le ragioni addotte dalle autorità competenti (Prefettura e Questura) per giustificare la compressione dei diritti dei detenuti, e quindi a contrastare le prassi lesive.

Le istanze di restituzione del telefono cellulare, avanzate nell’interesse di alcuni stranieri trattenuti nei CPR di Macomer, Roma e Milano, hanno fornito importanti informazioni in questo senso. È emersa la tendenza, da parte di Questura, Prefettura ed Ente gestore, a declinare reciprocamente le proprie responsabilità, con il risultato che non è chiaro a quale attore spetti di assicurare il diritto in questione. La nebulosità che riguarda queste prassi è accresciuta dal fatto che sono materialmente attuate con modalità differenti a seconda del centro o del momento storico: l’arbitrarietà sembra essere l’unico elemento comune a tutti i casi affrontati.

Quanto alle motivazioni presentate dalle autorità per giustificare il sequestro del cellulare, queste sono ancorate ad una generica esigenza di garantire la tutela dell’ordine pubblico, nonostante il Garante Nazionale, nelle raccomandazioni fornite nel rapporto “Norme e Normalità”, abbia indicato che le comunicazioni, anche telefoniche, tra detenuti e mondo esterno  “non devono essere sottoposte a controlli o censure, a meno che tali misure siano disposte da un organo giudiziario allo scopo di tutelare interessi pubblici prevalenti”.

Nei casi seguiti sino ad oggi, le istanze di restituzione dei telefoni cellulari, anche quando hanno ottenuto risposta, non hanno mai comportato la loro consegna ai trattenuti interessati, limitandosi a mostrare l’impassibilità delle amministrazioni coinvolte di fronte ai diritti dei trattenuti. La presentazione di siffatte istanze ha però rappresentato il primo passo di una azione strategica, finalizzata all’esperimento di un rimedio giudiziale: così è avvenuto nel caso di Milano, ove a seguito di risposta negativa alla richiesta di restituzione è stato proposto ricorso di urgenza ai sensi dell’art. 700 c.p.c.

L’accoglimento del ricorso rende necessario da parte dell’amministrazione di estendere la possibilità di utilizzo del telefono cellulare a tutti i trattenuti nel CPR di Milano: a tal fine rimane essenziale l’azione di monitoraggio rispetto all’attuazione dell’ordinanza del Tribunale di Milano e di denuncia di eventuali comportamenti illegittimi, che verrà portata avanti anche con successivi aggiornamenti su questo sito. Al tempo stesso, a fronte di questo primo, fondamentale risultato, sarà importante continuare a proporre ulteriori azioni giudiziali per contrastare le prassi illegittime: in questo senso la strategic litigation si presenta come uno dei possibili strumenti volti a garantire la libertà di comunicazione delle persone private della libertà personale.


[1] La limitazione all’uso del telefono è stata così qualificata dal Tribunale di Perugia (nella sentenza n. 1594/2020 relativa al caso Shalabayeva, p. 245), secondo cui la persona offesa nel procedimento è stata “illecitamente privata della libertà personale, nonché trattenuta in una condizione di sostanziale isolamento dal contesto esterno”, anche in ragione delle restrizioni impostele alla libertà di comunicare con il mondo esterno, che il Tribunale ha ritenuto in contrasto con quanto previsto dall’articolo 14, co 2 D. Lgs. 286/98.

[2] L’articolo 21 del DPR 334/1999 indica che dovrebbero essere dettate le “modalità per l’utilizzo dei servizi telefonici, telegrafici e postali, nonché i limiti di contribuzione alle spese da parte del centro”. In assenza di uno specifico decreto sul punto, le uniche disposizioni ulteriori sono contenute nel Regolamento ministeriale del 2014, ove è imposto di assicurare “le comunicazioni telefoniche con l’esterno a mezzo di apparecchi telefonici fissi installati nel Centro in luoghi di libero accesso agli stranieri e in un numero non inferiore a un apparecchio per ogni quindici persone”. La previsione deve intendersi come funzionale a garantire l’effettivo esercizio del diritto anche per gli stranieri che non abbiano la possibilità di comunicare con l’esterno autonomamente, tramite apparecchi propri.

[3] La circolare si riferisce ad un generico “divieto di detenere negli alloggi i telefoni cellulari”, non rinvenibile, in realtà, in alcuna fonte normativa.

[4] Inoltre, nonostante le richieste formulate da ASGI alla Prefettura e alla Questura di Torino nell’aprile 2020 e la segnalazione operata al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati nel novembre 2020, non sono mai stati resi pubblici i numeri degli apparecchi fissi ai quali contattare gli stranieri, con grave lesione del loro diritto alla difesa, non potendo l’avvocato mettersi in contatto con il proprio assistito.

[5] Questo è quanto rappresentato dalla Questura di Roma a seguito di istanza di restituzione del telefono da parte di richiedente asilo trattenuto. La Questura ha fatto riferimento ad una Disposizione di servizio per il personale impiegato nei Servizi di Vigilanza presso il CPR per la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica.

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