Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sentenza 27 marzo – 9 giugno 2014, n. 6076

Nel caso di diniego di cittadinanza per matrimonio con cittadino italiano l’art. 6 della l. 91/92 esige che il diniego motivato per ragioni di sicurezza nazionale sia assistito da “comprovati motivi”.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7371 del 2010, proposto da:
—, rappresentato e difeso dall’avv. Donato Antonucci, con domicilio eletto presso Umberto Segarelli in Roma, via G. B. Morgagni, 2/A;
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; Prefettura di Perugia;
per l’annullamento
del provvedimento del Ministero dell’interno di rigetto richiesta di concessione della cittadinanza italiana.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1 e 2;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 marzo 2014 la dott.ssa Maria Laura Maddalena e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe, il ricorrente impugna il provvedimento con cui il Ministero dell’interno ha respinto la sua richiesta di concessione della cittadinanza italiana, presentata ai sensi dell’art. 5 della l. 92 del 1991, per matrimonio con una cittadina italiana.
Il provvedimento impugnato è motivato con riferimento alla pericolosità e non affidabilità del ricorrente per la sicurezza della Repubblica.
Il ricorrente espone nel ricorso di essersi laureato in ingegneria e di aver frequentato l’Università –; di aver conseguito il titolo di dottore di ricerca in ingegneria strutturale –; di aver sposato una cittadina italiana, dipendente del Ministero della giustizia –; di essere stato assunto con contratto a tempo indeterminato da una società (–) per conto della quale egli svolge attività di consulenza –.
Il ricorso è articolato in vari motivi di impugnazione. In particolare il ricorrente deduce la violazione dell’art. 97 Cost., degli artt. 5 e 6 della l. 91/1992, degli artt. 10 bis e 21 octies della l. 241/90, eccesso di potere per errata rappresentazione dei presupposti di fatto e di diritto, difetto e contraddittorietà di motivazione e di istruttoria, manifesta ingiustizia, perplessità e sviamento in quanto l’art. 6, comma 1, lett. c) della l. 91/1992 prevede che il diniego della cittadinanza per matrimonio richieda la sussistenza “di comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica”.
Invece, nel caso di specie, vi sarebbe una assoluta carenza di motivazione in quanto non sono indicate né le risultanze della attività informativa esperita né i contenuti del parere del Consiglio di Stato n. 03546/2009.
Deduce inoltre che le osservazioni proposte ai sensi dell’art. 10 bis l. 241/90 non sono state prese in considerazione dall’amministrazione, in quanto il Ministero si è limitato ad affermare laconicamente che le suddette osservazioni non fanno venir meno la valutazione di pericolosità ed inaffidabilità sotto il profilo della sicurezza.
Con ordinanza n. 5556/2013, poi reiterata con ordinanza 7443/2013, il collegio ha chiesto all’amministrazione la documentazione istruttoria sulla base della quale è stato adottato il provvedimento impugnato, autorizzandola ad apporre i necessari omissis e a non disvelare notizie riservata che possano pregiudicare le indagini.
L’amministrazione ha depositato una comunicazione in busta chiusa, datata 21.1.2013, della quale, all’udienza del 16.1.2014,le parti hanno preso visione senza possibilità di estrarne copia, come previsto dall’art. 42, comma 8, della l. 124/2007. La causa quindi è stata cancellata dal ruolo su richiesta del difensore per la proporre eventuali motivi aggiunti o memorie.
Il ricorrente ha depositato una memoria difensiva nella quale ha ripetutamente sottolineato come nella stessa nota inviata dal ministero si dice che le verifiche esperite non davano luogo a “rilievi di specifico interesse” e che il nominativo del ricorrente era semplicemente emerso, nell’ambito di un’indagine a carico di altri soggetti per l’attentato alle Torri gemelle del 11.9.2001, senza specificare le circostanze in cui ciò era avvenuto.
All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.
Occorre premettere che, come ha ripetutamente affermato questo TAR, nel procedimento di rilascio della cittadinanza italiana, l’amministrazione dispone in genere di ampia discrezionalità .
Tale discrezionalità è tanto più ampia laddove entrano in gioco, come nel caso di specie, valutazioni attinenti alle esigenze di sicurezza nazionale. Ne deriva che il controllo demandato al giudice, avendo natura estrinseca e formale, non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un adeguato e sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell’esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole. (T.A.R. Roma Lazio sez. II, 19 giugno 2012, n. 5665)
Tali considerazioni, che si attagliano perfettamente all’ipotesi di cittadinanza richiesta ai sensi dell’art. 9 della l. 91/1992, ovvero per residenza decennale nello Stato, vanno ulteriormente precisate qualora si tratti – come nel caso in esame – di diniego di cittadinanza per matrimonio con cittadino italiano. In questi casi infatti l’art. 6 della l. 91/92 esige che il diniego motivato per ragioni di sicurezza nazionale sia assistito da “comprovati motivi”.
In sostanza, l’obbligo motivazione si fa più stringente nel caso in cui si tratti di negare la cittadinanza ad un coniuge di cittadino italiano per ragioni di sicurezza nazionale, richiedendosi in questo caso che le motivazioni addotte dalla amministrazione siano “comprovate”, avvero assistite da un più rigoroso sostrato probatorio, rispetto a quanto richiesto nell’ambito del procedimento di concessione della cittadinanza per naturalizzazione, nel quale pure naturalmente occorre che la valutazione di pericolosità sia fondata su elementi di prova effettivi, ma in relazione al quale la discrezionalità dell’amministrazione è – come si è detto – più ampia .
Applicando tali principi al caso in esame deve giungersi alla conclusione che effettivamente la motivazione sottesa al diniego di cittadinanza oggi impugnato non sia assistita da adeguata motivazione.
Essa infatti, anche se fa riferimento ad una indagine per un fatto gravissimo (l’attentato del 11.9.2001), peraltro avviata nei confronti di altri soggetti, afferma semplicemente che il nominativo del ricorrente era “emerso” nel’ambito di questa indagine, ma che poi non si era rinvenuto alcun rilievo di specifico interesse a suo carico.
Si tratta di una motivazione che non appare sufficientemente comprovata, soprattutto a fronte della stessa ammissione della amministrazione di non aver rinvenuto “rilievi di specifico interesse”a carico del ricorrente.
In questo quadro, il ricorso va accolto per il vizio di carenza di motivazione, dedotto nel ricorso, mentre le ulteriori censure possono essere assorbite.
Le spese vanno compensate, sussistendo giusti motivi attesa la natura della controversia.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all’oscuramento delle generalità degli altri dati identificativi del ricorrente manda alla Segreteria di procedere all’annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini indicati.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 marzo 2014 con l’intervento dei magistrati:
Eduardo Pugliese, Presidente
Pietro Morabito, Consigliere
Maria Laura Maddalena, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/06/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)