Tribunale di Torino, ordinanza 7 marzo 2023

Costituisce discriminazione la condotta tenuta dalla Regione Piemonte consistente nell’aver disposto con l’art. 8, comma 1, lettera a) del DPGR n. 2543/94 il requisito della residenza in Italia “da almeno cinque anni” e il requisito dell’avere una “attività lavorativa stabile” per i soli “cittadini extracomunitari”; e costituisce altresì discriminazione la condotta tenuta dalla Agenzia Territoriale per la Casa del Piemonte Centrale consistente nell’aver disposto con il Bando di Concorso per l’assegnazione di alloggi in Castellamonte dell’1.6.2022 il requisito della residenza in Italia “da almeno cinque anni” e il requisito dell’avere una “attività lavorativa stabile” per i soli “cittadini extracomunitari”, nonché “l’attribuzione di 8 punti aggiuntivi a chi abbia risieduto nel Comune di Castellamonte per almeno 10 anni”

Tribunale di Vicenza, ordinanza 6 febbraio 2023

Costituisce discriminazione il comportamento della Regione Veneto consistente nell'aver adottato la Delibera n. 753/2019, ed in particolare la previsione che esclude dall’accesso gratuito al SSN gli stranieri titolari del permesso di soggiorno per motivi familiari che rientrano nelle condizioni di cui all’art. 19 co. 2 lett. c) TUI e della USSL 8 Berica consistente nel non aver disapplicato la Delibera in osservanza dell'art. 34 del TUI, sicché la Regione Veneto deve modificare la Delibera rimuovendo la previsione discriminatoria e L'USSL 8 Berica deve provvedere all’iscrizione obbligatoria e gratuita al Servizio Sanitario Nazionale della ricorrente.

Tribunale di Busto Arsizio, ordinanza 2 gennaio 2023

Costituisce discriminazione la condotta tenuta dall’Inps, consistente nell’aver negato al ricorrente, cittadino extra UE, l’Assegno per il Nucleo Familiare di cui all'art. 2 del d.l. n. 69/1488, convertito nella legge n. 153/1488, in relazione alla coniuge e ai figli minori residenti all’estero, l'assegno per il nucleo familiare, dovendoli computare nel nucleo familiare al pari dei cittadini italiani in applicazione diretta delle Direttive auto esecutive ed indipendentemente dal recepimento da parte dello Stato nell'ordinamento interno.

Corte d’Appello dell’Aquila, sentenza 18 gennaio 2023

Costituisce discriminazione il comportamento del Comune dell’Aquila consistente nell’aver adottato non solo la determina dirigenziale 362 del 4.2.2020 e il conseguente avviso pubblico 11.2.2020 del settore politiche per il benessere della persona, ma anche la delibera di giunta n. 383 del 27.9.2018 e il conseguente bando e la delibera di Giunta n. 298 del 15.7.2019 e il conseguente bando nella parte in cui prevedevano come requisito per l’inserimento in graduatoria per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare la titolarità del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo anziché la titolarità di un permesso unico lavoro ai sensi della direttiva 2011/98 o in subordine di un permesso di soggiorno di almeno 2 anni ex art. 40, comma 6 TU, sicché il Comune è tenuto a risarcire il danno patrimoniale e non patrimoniale agli appellanti e a non inserire più nei bandi futuri tale requisito.

Tribunale di Milano, ordinanza 12 gennaio 2023

Costituisce discriminazione la condotta della Regione Lombardia consistente nel negare il diritto alla esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria (c.d. ticket) di cui all’articolo 8, comma 16, L. 537/1993 a tutti i residenti disoccupati (in particolare richiedenti asilo e rifugiati) che ne facciano richiesta e che rientrino nelle condizioni di reddito, indipendentemente dalla esistenza o meno di un pregresso rapporto di lavoro.

Consiglio di Stato, sentenza 14 dicembre 2022

Il provvedimento del 13 aprile 2018, n. 31035, con cui il Comune di Sesto San Giovanni ha escluso l’appellante dalla procedura di assegnazione dell’alloggio di edilizia residenziale pubblica a causa della mancata produzione della documentazione ulteriore attestante la non proprietà di alloggi adeguati nel Paese di origine o di provenienza, è illegittimo per la violazione degli artt. 2, comma 5, e 40, comma 6, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, nonché dei principi di parità di trattamento e divieto di discriminazione di cui agli artt. 3 e 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 18 del TFUE e all’art. 14 della CEDU.

Tribunale di Pordenone, ordinanza 4 dicembre 2022

Costituisce discriminazione la condotta tenuta dalla Regione autonoma FVG consistente nell’aver adottato il Regolamento n. 208/2016 come modificato con Regolamento 84/2019 (“Regolamento di esecuzione per la disciplina delle modalità di gestione di alloggi di edilizia sovvenzionata”) nella parte in cui, ai fini dell’accesso agli alloggi di cui all’art. 16 LR/16 prevede, all’art. 7, comma 3bis che tutti i cittadini extra UE debbano fornire “documentazione attestante che tutti i componenti del nucleo familiare non sono proprietari di altri alloggi nel paese di origine e nel paese di provenienza”, con conseguente esclusione di tutti i richiedenti aventi cittadinanza extra UE che non forniscano tale documentazione;

Tribunale di Bergamo, ordinanza 16 novembre 2022

Si chiede alla CGUE se l’art. 29 e l’art. 26 direttiva 2011/95 debbano essere interpretati nel senso che ostano a una norma nazionale come quella contenuta nell’art. 2, comma 1, lett. a) D.L. n. 4/2019, la quale, al fine di accedere a una prestazione di contrasto alla povertà e di sostegno nell’accesso al lavoro e all’inserimento sociale come il “reddito di cittadinanza” prevede il requisito di 10 anni di residenza nello Stato Italiano, in aggiunta al requisito di 2 anni continuativi di residenza antecedenti la domanda

Tribunale di Genova, ordinanza 10 novembre 2022

Costituisce discriminazione la condotta assunta dal Comune di Genova consistente nell’avere indetto e posto in esecuzione il bando 2020 per l’accesso agli alloggi ERP, nella parte in cui prevedeva che: “i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea devono possedere, in sede di presentazione della domanda, la documentazione di cui all’art. 3 comma 4 del...

Tribunale di Bergamo, ordinanza 7 novembre 2022

Condizionare il riconoscimento dell’assegno temporaneo per i figli minori di cui all’art. 1, D.L. 79/2021 ai figli di cittadini di stati extracomunitari, al possesso da parte di questi ultimi del permesso di soggiorno di lungo periodo o del permesso di lavoro (o di ricerca) di durata almeno semestrale, crea una disparità di trattamento fra cittadini italiani e stranieri che, nel caso in cui questi ultimi siano anche “lavoratori”, viola la direttiva 2011/98/UE, che non prevede alcuna possibilità di deroga, né per le prestazioni non essenziali né per quelle essenziali.

Tribunale di Roma, ordinanza 4 ottobre 2022

Il requisito della residenza per 10 anni di cui gli ultimi due in maniera continuativa, richiesto per accedere alla misura del reddito di cittadinanza, va inteso in senso sostanziale, consentendo agli interessati di fornire riscontri obiettivi e univoci che dimostrino l’effettività di tale residenza anche se non risultante dai registri anagrafici, in linea con i principi comunitari che vietano qualsiasi forma di discriminazione, anche indiretta, fondata sulla nazionalità sicché, qualora tale effettività di residenza venga provata, l'INPS deve riammettere la ricorrente al beneficio.

Sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani del 21 luglio 2022, n. 5797

la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia a risarcire i danni non patrimoniali sofferti da un ragazzo gambiano, Darboe Ousainou, minore straniero non accompagnato giunto sulle coste italiane nel giugno del 2016, quando era appena diciassettenne. Sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani del 21 luglio 2022, n. 5797

Tribunale di Torino, sentenza 14 luglio 2022

La revoca del reddito di cittadinanza per asserita mancanza del requisito di 10 anni di residenza, che non tenga conto dei periodi di residenza effettiva in Italia per almeno 10 anni all’atto della domanda (provabili, ad esempio, attraverso la copertura contributiva), è illegittima sicché il ricorrente nulla deve restituire all'INPS a titolo di restituzione degli importi percepiti ma, al contrario, ha diritto a percepire la misura per il periodo successivo alla revoca sino allo scadere dei 18 mesi previsti dalla legge.

Corte d’Appello di Milano, ordinanza 31 maggio 2022

E’ rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 11 e 117, primo comma, Cost., questi ultimi in relazione agli artt. 21 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, all’art. 24, comma 1, direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, e all’art. 7, par. 2, del Regolamento 492/11 del Parlamento...
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Documento di lavoro della Commissione europea sull’accesso all’impiego nel settore pubblico dei cittadini di Paesi membri dell’UE che hanno esercitato il diritto alla libera circolazione

Il 15 dicembre scorso la Commissione europea ha pubblicato un documento di analisi sulla libera circolazione dei lavoratori di Paesi membri dell’UE nel settore pubblico.

Il documento di lavoro intende offrire un quadro delle principali problematiche relative all’accesso agli impieghi pubblici dei cittadini di Paesi membri dell’UE che hanno esercitato il diritto alla libera circolazione insediandosi in un altro Paese membro diverso da quello di origine. Le principali problematiche riguardano l’interpretazione e l’applicazione delle norme che prevedono la riserva a favore dei cittadini nazionali, la valutazione della legittimità dei  requisiti linguistici per l’accesso alle posizioni lavorative, il riconoscimento dell’esperienza lavorativa e delle qualifiche professionali maturate negli altri Paesi membri.

Il documento di lavoro si basa sui risultati della ricerca commissionata dalla Commissione europea al Prof. Jacques Ziller, docente di diritto dell’Unione europea all’Università di Pavia e sull’indagine effettuata in ciascun Paese membro dalla rete di esperti indipendenti. Il rapporto del Prof. Ziller è suddiviso in due parti: la prima contiene un’analisi approfondita della normativa europea  in materia di libera circolazione dei lavoratori nel settore pubblico; la seconda riporta l’analisi della situazione in ciascuno dei 27 Paesi membri dell’Unione europea. (Ulteriori info sul documento di lavoro della Commissione europea).

Nel frattempo, la Commissione europea ha informato l’ASGI di aver iniziato la valutazione della denuncia presentata dall’associazione sulla mancata attuazione in Italia del principio di parità di trattamento con i lavoratori nazionali nell’accesso ai rapporti di impiego pubblico a favore dei cittadini di Paesi terzi familiari di cittadini di altri Paesi membri dell’UE che hanno esercitato la libera circolazione insediandosi nel nostro Paese. La  Commissione europea ha informato l’ASGI che nelle prossime settimane contatterà il Governo italiano per ottenere ulteriori informazioni in proposito o cercare soluzioni.

 

In data 31 ottobre 2009, infatti, l’ASGI aveva inoltrato una denuncia alla Commissione europea facendo presente la generalizzata inosservanza da parte delle autorità italiane delle norme comunitarie (direttiva 2004/38/CE) per le quali anche i cittadini di Paesi terzi familiari di cittadini dell’UE possono accedere ai rapporti di impiego pubblici, con la sola eccezione degli impieghi che implichino l’esercizio di pubblici poteri o che attengano alla tutela dell’interesse nazionale.

Nella denuncia, l’ASGI  aveva rilevato come invece le pubbliche amministrazioni italiane continuino a fare riferimento unicamente al D.P.C.M. 7.02.1994, n. 174 e all’art. 38 del d.lgs. n. 165/2001, che prevedono la sola eccezione per i cittadini dell’UE al divieto di accesso degli stranieri al pubblico impiego.

 

In risposta ad un’interrogazione presentata dalla parlamentare europea Debora Serracchiani (PD),  il 26 marzo 2010 la Commissaria europea per gli Affari Interni, Sig.ra Malmström, a nome della Commissione europea, aveva precisato che le norme del diritto comunitario garantiscono l’accesso al pubblico impiego dei cittadini di Paesi terzi titolari dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, secondo le norme generalmente applicabili in ciascun Stato membro agli impieghi nella pubblica amministrazione (art. 26 c. 1 direttiva n. 2004/83/EC). Avendo l’Italia trasposto la norma della direttiva nel diritto interno con il d.lgs. n. 251/2007, vi è un preciso obbligo giuridico delle autorità italiane a garantire l’ accesso all’impiego pubblico dei rifugiati politici, a parità di condizione con i cittadini di altri Paesi membri dell’UE. Ugualmente, la Commissione europea aveva precisato che, a seguito dell’entrata in vigore della direttiva n. 2004/38/EC relativa al diritto dei cittadini dell’Unione europea e dei loro familiari alla libertà di circolazione e di soggiorno nel territorio degli Stati membri, anche i cittadini di Paesi terzi familiari di cittadini dell’Unione europea debbono godere  del principio di parità di trattamento con i cittadini nazionali in materia di accesso agli impieghi pubblici, con la sola eccezione degli impieghi che implichino l’esercizio di pubblici poteri o attengano alla tutela dell’interesse nazionale .

(Per ulteriori informazioni sulla denuncia dell’ASGI e la risposta della Commissione europea all’interrogazione presentata al Parlamento europeo)

Riguardo alla suddetta tematica, l’ASGI ha promosso nei mesi scorsi anche un’iniziativa giudiziaria, volta alla creazione di precedenti giurisprudenziali favorevoli. Il Tribunale di Venezia, con ordinanza dell’8 ottobre scorso,  ha accolto il ricorso presentato congiuntamente dall’ASGI e da una cittadina albanese, coniugata con cittadino italiano e madre di figli di cittadinanza italiana, titolare della carta di soggiorno a tempo indeterminato prevista dal d.lgs. n. 30/20007 a favore dei familiari di cittadini dell’Unione europea, riconoscendo a quest’ultima il diritto a partecipare ad un concorso pubblico indetto  dal Comune di Venezia per il ruolo di educatore di strada.

Il concorso era stata indetto dall’Amministrazione comunale con la previsione del requisito di accesso della cittadinanza italiana o di un altro Paese membro dell’Unione europea, con ciò determinando l’esclusione della candidata di nazionalità albanese.

Il Tribunale di Venezia  ha escluso che  sul testo unico immigrazione (d.lgs. n. 286/98) si possa fondare una pretesa di equiparazione dei cittadini extracomunitari regolarmente soggiornanti in Italia con i cittadini italiani e comunitari nell’accesso ai rapporti di impiego pubblici, ritenendo così di aderire all’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, con la nota sentenza n. 24170/2006, secondo  cui l’art. 38 del d.lgs. n. 165/2001 ribadirebbe l’esclusione dei cittadini extracomunitari. Tuttavia, il giudice  del lavoro di Venezia ha riconosciuto la specifica situazione della ricorrente, cittadina albanese  coniugata con cittadino italiano e madre di cittadini italiani, titolare della carta di soggiorno di cui al d.lgs. n. 30/2007 prevista per i familiari di cittadini dell’UE. Il giudice ha dunque riconosciuto il primato della normativa di recepimento della direttiva europea in materia di libera circolazione dei cittadini comunitari e dei loro familiari, che prevede un principio di parità di trattamento nel campo di applicazione del Trattato europeo, e dunque, anche nell’accesso alle attività lavorative, anche a favore dei cittadini di paesi terzi familiari di cittadini dell’Unione europea (art. 19), equiparando poi  la condizione dei familiari di cittadini italiani a quella dei familiari di cittadini di Paesi dell’Unione europea (art. 23). (Maggiori informazioni sull’ordinanza del Tribunale di Venezia)

A cura di Walter Citti, servizio di supporto giuridico contro le discriminazioni etnico-razziali e religiose. Progetto ASGI  con il sostegno finanziario della Fondazione italiana a finalità umanitarie Charlemagne ONLUS.


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