Corte di Cassazione, ordinanza dell’8 novembre 2019, n. 28974

Quando il richiedente la protezione internazionale o umanitaria alleghi il timore di essere soggetto, nel suo Paese di origine (o, se apolide, in quello di effettivo domicilio) ad una persecuzione a sfondo religioso, o comunque ad un trattamento umanamente degradante fondato su motivazioni a contenuto religioso (che rappresentano circostanze legittimanti lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria), il giudice di merito deve – nell’ambito del generale dovere di collaborazione istruttoria che contraddistingue i procedimenti in materia di protezione internazionale e umanitaria – condurre la valutazione sulla situazione interna del Paese di origine del richiedente indagando espressamente l’esistenza di fenomeni di tensione a contenuto religioso. Non assume, in tale valutazione, decisiva rilevanza il fatto che il richiedente la protezione internazionale non si sia rivolto alle Autorità locali per invocare tutela, o non abbia dedotto di averlo fatto, in quanto la decisione di non rivolgersi alle predette Autorità può derivare, in concreto, proprio dal timore di essere assoggettato, in ragione del suo credo religioso, ad ulteriori trattamenti persecutori o umanamente degradanti.


Corte di Cassazione, I sezione , ordinanza dell’8 novembre 2019, n. 28974