Corte di Cassazione, ordinanza n. 14836/2023

Integra molestia per ragioni di razza o di etnia, equiparata alle ipotesi di discriminazione diretta e indiretta e tutelata dall’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 215 del 2003, qualsiasi comportamento che sia lesivo della dignità della persona e sia potenzialmente idoneo a creare o incrementare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo nei confronti della predetta etnia, al di là e a prescindere da qualsiasi motivazione soggettiva.

Corte Costituzionale, sentenza n. 77 del 20 aprile 2023

E’ costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 3 Cost. - sia sotto il profilo della irragionevolezza, che sotto quello della disparità di trattamento - l’art.5, comma 1, lettera b) della legge regionale Liguria 29.6.2004 n.10, nella parte in cui prevede che per accedere alle graduatorie per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica sia necessaria la residenza o l’attività lavorativa da almeno 5 anni nel bacino di utenza a cui appartiene il Comune che emana il bando.

Circolare dell’Istituto Nazionale Previdenza Sociale del 7 aprile 2023, n. 41

Legge 29 dicembre 2022, n. 197, recante “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025”. Modifiche alla disciplina dell’Assegno unico e universale per i figli a carico introdotta dal decreto legislativo 29 dicembre 2021, n. 230, e successive modificazioni. Precisazioni sui permessi di soggiorno. Istruzioni contabili Circolare...

Corte di Cassazione, ordinanza 8 marzo 2023

L’art. 80, comma 19, L. 388/2000 - nella parte in cui condiziona la corresponsione dell’assegno sociale ai cittadini extracomunitari al possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo, escludendo cosi i titolari di permesso unico lavoro - appare in contrasto sia con l’art. 12 direttiva 2011/98, sia con norme costituzionali come gli artt. 3 e 38, comma 1, 11 e 117 Cost. questi ultimi con riferimento all’art. 34 CDFUE e allo stesso art. 12 direttiva 2011/98. Sussistendo quindi un’ipotesi di doppia pregiudizialità occorre privilegiare, in prima battuta, la questione di legittimità costituzionale.

Tribunale di Torino, ordinanza 7 marzo 2023

Costituisce discriminazione la condotta tenuta dalla Regione Piemonte consistente nell’aver disposto con l’art. 8, comma 1, lettera a) del DPGR n. 2543/94 il requisito della residenza in Italia “da almeno cinque anni” e il requisito dell’avere una “attività lavorativa stabile” per i soli “cittadini extracomunitari”; e costituisce altresì discriminazione la condotta tenuta dalla Agenzia Territoriale per la Casa del Piemonte Centrale consistente nell’aver disposto con il Bando di Concorso per l’assegnazione di alloggi in Castellamonte dell’1.6.2022 il requisito della residenza in Italia “da almeno cinque anni” e il requisito dell’avere una “attività lavorativa stabile” per i soli “cittadini extracomunitari”, nonché “l’attribuzione di 8 punti aggiuntivi a chi abbia risieduto nel Comune di Castellamonte per almeno 10 anni”

Consiglio di Stato, sentenza 6 marzo 2023

Le norme secondarie regionali (regolamento regionale lombardo) e statali (DPR 445/2000) che fanno gravare sui soli cittadini extra UE l’onere aggiuntivo di produrre idonea documentazione attestante la non proprietà di immobili all’estero ai fini dell’accesso agli alloggi ERP, si pongono in contrasto con gli artt. 2, comma 5 e 40, comma 6, TU immigrazione e pertanto devono essere disapplicate, anche alla luce delle statuizioni della sentenza Corte Cost. 9/2021.

Corte d’Appello di Trieste, sentenza 23 febbraio 2023

In materia di oneri documentali differenziati per italiani e stranieri per quanto riguarda la prova della “impossidenza” all’estero, ai fini dell’accesso al contributo di sostegno alle locazioni, i principi affermati dalla sentenza Corte Cost. 9 (2021, il diritto alla parità di trattamento dei lungo soggiornanti garantito dall’art. 11, direttiva 2003/109), la prevalenza della normativa speciale ISEE e dell’art.18, comma 3bis, L. 241/90 e infine la illegittimità della fonte secondaria costituita dall’art. 3 DPR 445/2020, per contrasto con l’art. 2, comma 5 TU immigrazione, sono tutti elementi che convergono nel senso della illegittimità della previsione regolamentare regionale che prevede detti oneri documentali differenziati, senza che sia necessario sollevare l’incidente di costituzionalità sulla norma di legge regionale alla quale il regolamento si richiama.

Tribunale di Udine, ordinanza 8 febbraio 2023

Sono non manifestamente infondate sia la questione di costituzionalità dell’art. 29, comma 1bis L.R. Friuli VG n.1/2016 nella parte in cui, prevedendo una diversa modalità di attestazione del requisito della impossidenza di immobili all’estero per italiani e stranieri, ostacola l’accesso di questi ultimi al contributo per il sostegno alle locazioni ; sia la questione di costituzionalità del comma 1, lettera d) del medesimo art. 29 nella parte in cui, tra i requisiti minimi per l’accesso al sostegno alle locazioni, indica il non essere proprietari di altri alloggi né in Italia, né all’estero; tali questioni devono altresì ritenersi rilevanti anche se il beneficio può essere comunque contestualmente riconosciuto ai ricorrenti in qualità di titolari del permesso di lungo periodo – e quindi tutelati dalla direttiva 2003/109 mediante disapplicazione della norma regionale - qualora gli stessi chiedano, nell’ambito del piano di rimozione delle discriminazioni accertate, l’ordine di modifica del Regolamento regionale applicativo nella parte in cui riproduce le disposizioni di legge.

Tribunale di Vicenza, ordinanza 6 febbraio 2023

Costituisce discriminazione il comportamento della Regione Veneto consistente nell'aver adottato la Delibera n. 753/2019, ed in particolare la previsione che esclude dall’accesso gratuito al SSN gli stranieri titolari del permesso di soggiorno per motivi familiari che rientrano nelle condizioni di cui all’art. 19 co. 2 lett. c) TUI e della USSL 8 Berica consistente nel non aver disapplicato la Delibera in osservanza dell'art. 34 del TUI, sicché la Regione Veneto deve modificare la Delibera rimuovendo la previsione discriminatoria e L'USSL 8 Berica deve provvedere all’iscrizione obbligatoria e gratuita al Servizio Sanitario Nazionale della ricorrente.

Tribunale di Udine, ordinanza 1 febbraio 2023

Costituisce discriminazione in base alla nazionalità la richiesta, da parte della Regione e ai soli stranieri, di documenti aggiuntivi, rispetto a quanto richiesto agli italiani, per la prova della impossidenza di immobili ad uso abitativo nel paese di origine e in quello di provenienza ai fini dell’accesso al credito agevolato per l’acquisto della casa di abitazione; gli stranieri esclusi per non aver prodotto detti documenti hanno diritto al risarcimento del danno non patrimoniale da discriminazione mentre la Regione, in presenza di una domanda collettiva proposta da associazione legittimata, può essere condannata alla modifica del Regolamento regionale che conteneva detta previsione, con applicazione dell’art. 614 bis c.p.c.

Tribunale di Busto Arsizio, ordinanza 2 gennaio 2023

Costituisce discriminazione la condotta tenuta dall’Inps, consistente nell’aver negato al ricorrente, cittadino extra UE, l’Assegno per il Nucleo Familiare di cui all'art. 2 del d.l. n. 69/1488, convertito nella legge n. 153/1488, in relazione alla coniuge e ai figli minori residenti all’estero, l'assegno per il nucleo familiare, dovendoli computare nel nucleo familiare al pari dei cittadini italiani in applicazione diretta delle Direttive auto esecutive ed indipendentemente dal recepimento da parte dello Stato nell'ordinamento interno.

Corte d’Appello dell’Aquila, sentenza 18 gennaio 2023

Costituisce discriminazione il comportamento del Comune dell’Aquila consistente nell’aver adottato non solo la determina dirigenziale 362 del 4.2.2020 e il conseguente avviso pubblico 11.2.2020 del settore politiche per il benessere della persona, ma anche la delibera di giunta n. 383 del 27.9.2018 e il conseguente bando e la delibera di Giunta n. 298 del 15.7.2019 e il conseguente bando nella parte in cui prevedevano come requisito per l’inserimento in graduatoria per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare la titolarità del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo anziché la titolarità di un permesso unico lavoro ai sensi della direttiva 2011/98 o in subordine di un permesso di soggiorno di almeno 2 anni ex art. 40, comma 6 TU, sicché il Comune è tenuto a risarcire il danno patrimoniale e non patrimoniale agli appellanti e a non inserire più nei bandi futuri tale requisito.

Tribunale di Milano, ordinanza 12 gennaio 2023

Costituisce discriminazione la condotta della Regione Lombardia consistente nel negare il diritto alla esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria (c.d. ticket) di cui all’articolo 8, comma 16, L. 537/1993 a tutti i residenti disoccupati (in particolare richiedenti asilo e rifugiati) che ne facciano richiesta e che rientrino nelle condizioni di reddito, indipendentemente dalla esistenza o meno di un pregresso rapporto di lavoro.

Tribunale di Pordenone, ordinanza 4 dicembre 2022

Costituisce discriminazione la condotta tenuta dalla Regione autonoma FVG consistente nell’aver adottato il Regolamento n. 208/2016 come modificato con Regolamento 84/2019 (“Regolamento di esecuzione per la disciplina delle modalità di gestione di alloggi di edilizia sovvenzionata”) nella parte in cui, ai fini dell’accesso agli alloggi di cui all’art. 16 LR/16 prevede, all’art. 7, comma 3bis che tutti i cittadini extra UE debbano fornire “documentazione attestante che tutti i componenti del nucleo familiare non sono proprietari di altri alloggi nel paese di origine e nel paese di provenienza”, con conseguente esclusione di tutti i richiedenti aventi cittadinanza extra UE che non forniscano tale documentazione;

Tribunale di Bergamo, ordinanza 16 novembre 2022

Si chiede alla CGUE se l’art. 29 e l’art. 26 direttiva 2011/95 debbano essere interpretati nel senso che ostano a una norma nazionale come quella contenuta nell’art. 2, comma 1, lett. a) D.L. n. 4/2019, la quale, al fine di accedere a una prestazione di contrasto alla povertà e di sostegno nell’accesso al lavoro e all’inserimento sociale come il “reddito di cittadinanza” prevede il requisito di 10 anni di residenza nello Stato Italiano, in aggiunta al requisito di 2 anni continuativi di residenza antecedenti la domanda
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Corte Costituzionale, sentenza del 25 giugno 2015, n. 119

E’ costituzionalmente illegittimo l’art. 3 comma 1 D.lgs 5/4/02 n.77 nella parte in cui – prevedendo il requisito della cittadinanza italiana per l’accesso al servizio civile nazionale – esclude i cittadini stranieri regolarmente soggiornanti in Italia; detta esclusione costituisce infatti una ingiustificata restrizione al pieno sviluppo dello straniero e alla sua integrazione nella comunità d’accoglienza.

Servizio civile nazionale – requisito della cittadinanza italiana per l’ammissione – art. 3 comma 1 D.lgs 5/4/02 n.77 – illegittimità costituzionale – sussiste

SENTENZA N. 119

ANNO 2015
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alessandro CRISCUOLO; Giudici : Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON,
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77 (Disciplina del Servizio civile nazionale a norma dell’articolo 2 della L. 6 marzo 2001, n. 64), promosso dalla Corte di cassazione, sezioni unite civili, nel procedimento vertente tra la Presidenza del Consiglio dei ministri e l’ASGI − Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, e APN – Avvocati per niente ONLUS, con ordinanza del 1° ottobre 2014, iscritta al n. 222 del registro ordinanze del 2014, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 13 maggio 2015 il Giudice relatore Giuliano Amato.
Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 1° ottobre 2014, le sezioni unite civili della Corte di cassazione, hanno sollevato − in riferimento agli artt. 2, 3 e 76 della Costituzione − questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77 (Disciplina del Servizio civile nazionale a norma dell’articolo 2 della L. 6 marzo 2001, n. 64), nella parte in cui − prevedendo il requisito della cittadinanza italiana − esclude i cittadini stranieri regolarmente soggiornanti in Italia dalla possibilità di essere ammessi a prestare il servizio civile.

2.− La Corte di cassazione premette che la questione di legittimità costituzionale è sorta nell’ambito di un giudizio promosso, ai sensi dell’art. 44 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), da un cittadino pachistano, unitamente all’ASGI − Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, e all’APN − Avvocati per niente ONLUS, per denunciare la natura discriminatoria del bando, pubblicato il 20 settembre 2011, per la selezione di volontari da impiegare in progetti di servizio civile. L’art. 3 di tale bando, in applicazione della disposizione censurata, richiede − tra i requisiti e le condizioni di ammissione − il possesso della cittadinanza italiana.

La natura discriminatoria di tale art. 3 è stata dichiarata dal Tribunale ordinario di Milano, sezione lavoro, con ordinanza del 12 gennaio 2012, con la quale è stato, inoltre, ordinato alla Presidenza del Consiglio dei ministri di sospendere le procedure di selezione e di modificare il bando, consentendo l’accesso anche agli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia.

Il giudice a quo riferisce di essere, quindi, investito della decisione in ordine al ricorso proposto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri per la cassazione della sentenza con la quale la Corte d’appello di Milano ha respinto l’impugnazione avverso la citata ordinanza del Tribunale di Milano.

Ciò premesso, le sezioni unite rilevano che il successivo acquisto della cittadinanza italiana da parte del ricorrente e l’integrale svolgimento degli effetti del bando hanno determinato la sopravvenuta perdita di ogni utilità derivabile alle parti dall’accoglimento o dal rigetto del ricorso. Inoltre, con la prestazione del servizio civile da parte dei volontari selezionati, la vicenda concreta appare del tutto esaurita, né vi sarebbe spazio per l’accertamento dell’illegittimità del bando a fini risarcitori, non avendo i ricorrenti avanzato domanda in tal senso.

La Corte di cassazione ritiene quindi che in tale contesto siano venute meno le condizioni per pronunciare sul ricorso, il quale appare destinato alla definizione con una sentenza, in rito, di inammissibilità per sopravvenuto difetto di interesse.

2.1.− Nondimeno, ad avviso delle sezioni unite, l’inammissibilità del ricorso, nonché la particolare importanza del thema decidendum, giustificano una pronuncia d’ufficio ai sensi dell’art. 363, terzo comma, cod. proc. civ., con l’enunciazione − nell’esercizio della funzione nomofilattica assegnata alla Corte di cassazione − del principio di diritto nell’interesse della legge sulla questione trattata nella causa di merito.

La particolare importanza della questione, ai sensi dell’art. 363, terzo comma, cod. proc. civ., viene desunta, oltre che dall’esistenza di un contrasto tra i giudici di merito, dalla novità della questione per la giurisprudenza della Corte di cassazione, quale organo chiamato ad assicurare l’esatta osservanza della legge, la sua uniforme interpretazione e l’unità del diritto oggettivo nazionale, e quindi a garantire certezza del diritto ed eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge.

Ad avviso del giudice a quo, l’esercizio di tali funzioni sarebbe ancor più rilevante nel caso in esame, in quanto la mancanza di un principio di diritto investe un settore nevralgico della vita sociale, nel quale sono coinvolti numerosi giovani, operatori ed enti e vengono in gioco i diritti fondamentali della persona nell’ambito del rapporto con gli altri.

Viene, inoltre, sottolineata l’esigenza di una risposta chiarificatrice in funzione nomofilattica, tenuto conto dell’attitudine della questione in esame a ripresentarsi in casi futuri, nei nuovi bandi per il servizio civile nazionale che l’amministrazione intenda pubblicare, come sarebbe dimostrato proprio dall’esperienza successiva, ed in particolare dalla correzione, da parte dell’amministrazione, del successivo bando del 4 ottobre 2013, con riapertura dei termini in favore degli stranieri titolari di permesso di soggiorno, ma con riserva dell’esito del relativo giudizio.

2.2.− La Corte di cassazione esclude la possibilità di risolvere la questione attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata. Il dettato normativo dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 77 del 2002, risulta univoco e va in direzione opposta a quella − inclusiva, aperta e non discriminatoria − ritenuta possibile dai giudici del merito nei due precedenti gradi di giudizio.

Infatti, la disposizione censurata − nel prevedere i requisiti di ammissione al servizio civile nazionale − stabilisce che possano accedervi i cittadini italiani. In un contesto tecnico, volto a fissare i requisiti di ammissione al servizio civile nazionale, il testo della disposizione censurata richiamerebbe una nozione giuridico-formale di «cittadino italiano» − quella prevista dalla legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza) − la quale non consente il riferimento ad una nozione, ampia e deformalizzata, di «cittadinanza di residenza», capace di accogliere nel suo ambito tutti i soggetti, ivi inclusi gli stranieri, che appartengono in maniera stabile e regolare alla comunità.

2.3.− La Corte di cassazione ritiene che sussista, altresì, la rilevanza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 77 del 2002, in considerazione della necessità di applicare tale disposizione ai fini della formulazione del principio di diritto nell’interesse della legge ai sensi dell’art. 363, terzo comma, cod. proc. civ., ossia ai fini della pronuncia di una regola di giudizio che − sebbene non influente nella concreta vicenda processuale − serva tuttavia come criterio di decisione di casi analoghi o simili.

Tra il quesito di costituzionalità e la definizione del giudizio mediante l’esercizio della funzione nomofilattica nell’interesse della legge, sussisterebbe pertanto un rapporto di pregiudizialità.

2.4.− In punto di non manifesta infondatezza, le sezioni unite osservano che il servizio civile nazionale − con la definitiva emancipazione dal necessario riferimento al servizio militare obbligatorio − si configura, secondo la giurisprudenza costituzionale, come «l’oggetto di una scelta volontaria che costituisce adempimento del dovere di solidarietà (art. 2 della Costituzione), nonché di quello di concorrere al progresso materiale e spirituale della società (art. 4, secondo comma, della Costituzione)» (sentenza n. 228 del 2004).

2.4.1.− La Corte di cassazione ritiene dunque che il dovere di difesa della Patria, letto in connessione con l’art. 2 Cost., non si risolva in attività finalizzate a contrastare o prevenire un’aggressione esterna al territorio dello Stato e dei suoi confini, ma sia ora esteso sino a ricomprendere forme spontanee di impegno sociale non armato, volte alla salvaguardia e alla promozione dei valori comuni e fondanti il nostro ordinamento.

Il servizio civile nazionale, quale «forma spontanea di adempimento del dovere costituzionale di difesa della Patria» (sentenza n. 228 del 2004), si colloca in tale contesto. Esso permette, infatti, di partecipare in modo attivo alla costruzione di una democrazia sana e di nuove forme di cittadinanza, consentendo di colmare il divario tra i bisogni collettivi e le risposte pubbliche, in un’ottica di promozione e di tutela dei diritti, soprattutto dei soggetti più vulnerabili e svantaggiati.

Ad avviso delle sezioni unite, il servizio civile costituisce un istituto di integrazione, di inclusione e di coesione sociale, volto a favorire la costruzione di una più matura coscienza civile delle giovani generazioni. Esso rappresenta, inoltre, una forma di salvaguardia e di tutela del patrimonio comune, sia esso ambientale, paesaggistico o monumentale, attraverso attività finalizzate alla promozione di un senso di responsabilità e di rispetto nell’uso e nella valorizzazione dei beni comuni.

Così ricostruita la ratio dell’istituto, le sezioni unite ritengono che la disposizione dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 77 del 2002, contrasti con gli artt. 2 e 3 Cost.

Infatti, poiché le attività svolte nell’ambito dei progetti di servizio civile nazionale rappresentano diretta realizzazione del principio di solidarietà, l’esclusione dei cittadini stranieri dalla possibilità di prestare il servizio civile nazionale precluderebbe il pieno sviluppo della persona e l’integrazione nella comunità di accoglienza, impedendo loro di concorrere a realizzare progetti di utilità sociale e, di conseguenza, di sviluppare il valore del servizio a favore degli altri e del bene comune.

Si tratterebbe, secondo le sezioni unite, di un’esclusione non proporzionata, né ragionevole. Infatti, l’attività di impegno sociale che la persona è chiamata a svolgere nell’ambito del servizio civile «deve essere ricompresa tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, riconosciuti, insieme ai diritti inviolabili dell’uomo, come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente» (sentenza n. 309 del 2013). Al riguardo, viene evidenziato che agli stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato è riconosciuto il godimento «dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano» (art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998).

2.4.2.− La norma censurata si porrebbe in contrasto anche con l’art. 76 Cost., per violazione del criterio direttivo della legge 6 marzo 2001, n. 64 (Istituzione del servizio civile nazionale). In particolare, l’art. 2, comma 3, lettera a), di tale legge delega prevedeva l’«ammissione al servizio civile volontario di uomini e donne sulla base di requisiti oggettivi e non discriminatori». Viceversa, l’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 77 del 2002, fissando il requisito della cittadinanza italiana nella disciplina per l’accesso al servizio civile nazionale, introduce un requisito di ammissione che avrebbe carattere discriminatorio, in quanto preclude al cittadino straniero, regolarmente soggiornante in Italia, la possibilità di un pieno dispiegamento della libertà e dell’eguaglianza.

A conferma di tale interpretazione, viene evidenziato che l’art. 4 della stessa legge delega n. 64 del 2001 ha previsto il requisito della cittadinanza soltanto nel periodo transitorio, ossia «fino alla data di efficacia dei decreti legislativi di cui all’articolo 2». Da ciò si ricaverebbe, a contrario, che l’art. 2, comma 3, lettera a), della legge delega, una volta superato il periodo transitorio, non ammetterebbe distinzioni sulla base del criterio della nazionalità.

D’altra parte, ad avviso della Corte di cassazione, la scelta del legislatore delegato non sarebbe giustificata dalla previsione contenuta nel primo comma dell’art. 52 Cost., che configura la difesa della Patria, come «sacro dovere del cittadino». Viene, al riguardo, richiamata la giurisprudenza costituzionale che ha ritenuto che la portata normativa dell’art. 52 Cost. è «quella di stabilire in positivo, non già di circoscrivere in negativo i limiti soggettivi del dovere costituzionale». L’art. 52 Cost. escluderebbe quindi la possibilità di prevedere per alcuno il privilegio di un’esenzione immotivata dall’obbligo di leva (sentenza n. 172 del 1999).

Si osserva, inoltre, che il servizio civile esprime la vocazione sociale e solidaristica di chi intenda spontaneamente accedervi. Ciò escluderebbe il rischio di un conflitto potenziale tra opposte lealtà: la partecipazione dello straniero regolarmente soggiornante in Italia ad una comunità di diritti, più ampia e comprensiva di quella fondata sulla cittadinanza in senso stretto, postula che anch’egli, senza discriminazioni in ragione del criterio della nazionalità, sia legittimato, su base volontaria, a restituire un impegno in termini di servizio a favore di quella stessa comunità.

3.− È intervenuta nel giudizio l’Avvocatura generale dello Stato, per conto del Presidente del Consiglio dei ministri, ed ha concluso per l’inammissibilità o, in subordine, per l’infondatezza della questione sollevata dalle sezioni unite civili della Corte di cassazione.

3.1.− In via preliminare, la difesa erariale ha eccepito l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, poiché difetterebbe il requisito della rilevanza della questione. Infatti, per ammissione della stessa Corte rimettente, la vicenda processuale oggetto del giudizio a quo si sarebbe ormai esaurita per sopravvenuto difetto di interesse, con conseguente inefficacia di un’eventuale pronuncia di accoglimento sulle sorti del giudizio principale.

L’Avvocatura generale dello Stato evidenzia, d’altra parte, che la possibilità di pronunciare un principio di diritto su una questione ritenuta di «particolare importanza», ai sensi dell’art. 363 cod. proc. civ., riveste carattere di eccezionalità rispetto ai principi generali, come ritenuto dalla stessa Corte di cassazione. L’esercizio di tale particolare potere non consentirebbe, quindi, di derogare alle disposizioni di cui all’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), in ordine ai requisiti per l’accesso della questione dinanzi alla Corte costituzionale. Infatti, la norma eccezionale dell’art. 363, terzo comma, cod. proc. civ., non potrebbe essere addirittura “traslata” in un ordine di giudizio “altro” dal giudizio civile, quale quello di costituzionalità, per il quale non opera alcuna deroga alle norme ordinarie sulle condizioni di ammissibilità, tra le quali − in primis − la rilevanza.

3.2.− Osserva, inoltre, l’Avvocatura generale dello Stato che l’eventuale pronuncia di costituzionalità in ordine alla norma censurata sarebbe priva di concreto interesse, sia perché non sarebbero state più bandite procedure per il servizio civile nazionale, sia perché è in corso di esame, in sede parlamentare, la riforma del cosiddetto “Terzo settore”.

Nel 2014 è stato presentato un disegno di legge, di iniziativa governativa, che prevede la valorizzazione delle attività solidaristiche e d’interesse generale, al fine di sostenere la libera iniziativa dei cittadini associati per perseguire il bene comune ed elevare i livelli di cittadinanza attiva, coesione e protezione sociale.

A questi fini, il disegno di legge prevede la delega al Governo a realizzare il riordino e la revisione della disciplina in materia di servizio civile nazionale, con l’istituzione del servizio civile «universale», non riservato ai soli cittadini, finalizzato alla difesa non armata, ai sensi degli artt. 52, primo comma, e 11 Cost., attraverso la promozione di attività di solidarietà.
Considerato in diritto

1.– Con ordinanza del 1° ottobre 2014, le sezioni unite civili della Corte di cassazione hanno sollevato − in riferimento agli artt. 2, 3 e 76 della Costituzione − questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77 (Disciplina del Servizio civile nazionale a norma dell’articolo 2 della L. 6 marzo 2001, n. 64), nella parte in cui − prevedendo il requisito della cittadinanza italiana − esclude i cittadini stranieri regolarmente soggiornanti in Italia dalla possibilità di essere ammessi a prestare il servizio civile.

2.− L’eccezione di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale per difetto di rilevanza è infondata.

2.1.− Al riguardo, si osserva che l’ordinanza di rimessione è stata emessa nell’ambito di un giudizio destinato ad essere definito con una pronuncia, in rito, di inammissibilità per sopravvenuto difetto di interesse. E tuttavia l’inammissibilità del ricorso e la particolare importanza della questione giustificano, ad avviso della Corte di cassazione, l’enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge ai sensi dell’art. 363, terzo comma, del codice di procedura civile.

In base a tale disposizione, in presenza di un ricorso inammissibile, la Corte di cassazione è investita del potere di decidere essa stessa se esaminare ugualmente la questione, enunciando − qualora la ritenga di interesse generale − il principio di diritto, ossia una regola di giudizio che − sebbene non influente nella concreta vicenda processuale − serva tuttavia come criterio di decisione di casi futuri.

Il potere conferito dall’art. 363, terzo comma, cod. proc. civ., esalta il ruolo nomofilattico che è proprio della Corte di cassazione. L’istituto delinea un tipo di giudizio svincolato dall’esigenza di composizione degli interessi delle parti, ed interamente rivolto alla soddisfazione dell’interesse − generale ed oggettivo − all’esatta interpretazione della legge.

2.2.− Nella preliminare verifica della tenuta di tale impostazione rispetto ai principi che regolano l’accesso al sindacato di costituzionalità, primo fra tutti il requisito della rilevanza della questione rispetto al giudizio a quo, va condivisa la motivazione con cui la Corte di cassazione assume di essere chiamata, nel peculiare ambito processuale disegnato dall’art. 363, terzo comma, cod. proc. civ., a fare necessaria applicazione della normativa della cui costituzionalità dubita.

La verifica dei limiti di accesso al servizio civile, come delineati dalla disposizione censurata, costituisce per la Corte di cassazione un passaggio ineludibile ai fini della formulazione del principio di diritto ai sensi dell’art. 363, terzo comma, cod. proc. civ., ossia ai fini della pronuncia di quella regola di giudizio che − sebbene non influente nella concreta vicenda processuale – è destinata a valere come criterio di decisione di casi futuri.

In ciò viene ravvisato il rapporto di pregiudizialità tra il quesito di costituzionalità rivolto a questa Corte e la definizione del giudizio mediante l’esercizio della funzione nomofilattica nell’interesse della legge.

2.3.− Al riguardo, non è un ostacolo l’astrazione del giudizio di cui all’art. 363, terzo comma, cod. proc. civ., rispetto alla composizione degli interessi sostanziali fatti valere nelle precedenti fasi del giudizio a quo, né rileva la circostanza che tale pronuncia nomofilattica sia improduttiva di effetti sui provvedimenti dei giudici dei precedenti gradi del giudizio. La nozione di concretezza cui è legata la rilevanza della questione non si traduce, infatti, nella necessità di una concreta utilità per le parti del giudizio di merito, come rilevato da questa Corte nella sentenza n. 10 del 2015.

Ciò discende dalla circostanza che il giudizio di legittimità costituzionale si svolge oltre che nell’interesse privato, anche e in primo luogo in quello pubblico e per questo non lo influenzano le vicende del processo che lo ha occasionato.

2.4.− E d’altra parte, va riconosciuta la legittimazione della Corte di cassazione, in sede di enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge, ai sensi dell’art. 363, terzo comma, cod. proc. civ., a sollevare la questione di costituzionalità.

Infatti, così com’è indubitabile che la Corte di cassazione sia organicamente inserita nell’ordine giudiziario, altrettanto indubitabile è l’inerenza alla funzione giurisdizionale dell’enunciazione del principio di diritto da parte del giudice di legittimità, quale massima espressione della funzione nomofilattica che la stessa Corte di cassazione è istituzionalmente chiamata a svolgere.

Va del resto esclusa la necessità che il procedimento a quo si concluda con una decisione che abbia tutti gli effetti usualmente ricondotti agli atti giurisdizionali. La funzione nomofilattica svolta dalla Corte di cassazione con l’enunciazione del principio di diritto, ai sensi dell’art. 363, terzo comma, cod. proc. civ., costituisce, infatti, espressione di una giurisdizione che è (anche) di diritto oggettivo, in quanto volta a realizzare l’interesse generale dell’ordinamento all’affermazione del principio di legalità, che è alla base dello Stato di diritto.

2.5.− L’accesso al sindacato di costituzionalità attraverso il giudizio di cui all’art. 363, terzo comma, cod. proc. civ., se non determina quindi alcun superamento del carattere pregiudiziale della questione, neppure modifica il modello incidentale del controllo di legittimità.

L’incidentalità, infatti, discende dal compito della Corte di cassazione di enunciare il principio di diritto sulla base della norma che potrà risultare dalla pronuncia di illegittimità costituzionale e che sarà, in ogni caso, “altro” rispetto ad essa. È in tal modo che si realizza l’interesse generale dell’ordinamento alla legalità costituzionale attraverso l’incontro ed il dialogo di due giurisdizioni che concorrono sempre – e ancor più in questo caso − alla definizione del diritto oggettivo. Ed è un dialogo che si rivela particolarmente proficuo, specie laddove sia in gioco l’estensione della tutela di un diritto fondamentale.

3.− Nel merito, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 77 del 2002, in riferimento all’art. 76 Cost., è infondata.

3.1.− Il giudice a quo ravvisa il contrasto dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 77 del 2002, con il criterio direttivo di cui all’art. 2, comma 3, lettera a), della legge delega 6 marzo 2001, n. 64 (Istituzione del servizio civile nazionale), il quale prevede l’ammissione al «servizio civile volontario di uomini e donne sulla base di requisiti oggettivi e non discriminatori».

Tuttavia, il tenore letterale della disposizione, la sua genesi e la collocazione sistematica concorrono a riferirne la ratio alla finalità di eliminare le differenze di genere ai fini dell’accesso al servizio civile. La novità della disposizione in esame è rappresentata, infatti, sia dal carattere volontario della prestazione, in quanto non più disciplinata in termini di alternatività rispetto al servizio di leva obbligatorio, sia dall’apertura dell’accesso alle donne. Essa risulta, quindi, espressamente volta ad escludere quei criteri selettivi per l’ammissione al servizio civile che possano introdurre una discriminazione sulla base dell’identità di genere dell’aspirante.

Non si ravvisa, pertanto, il contrasto della disposizione dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 77 del 2002 – nella parte in cui delimita l’accesso dei cittadini italiani al servizio civile − con tale criterio direttivo e, conseguentemente, con il parametro di cui all’art. 76 Cost.

4.− La questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 77 del 2002 − in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost. – è, invece, fondata.

4.1.− L’istituto del servizio civile ha subito una rilevante trasformazione a seguito dei ripetuti interventi legislativi che ne hanno modificato i contorni. Dall’originaria matrice di prestazione sostitutiva del servizio militare di leva, che trovava il suo fondamento costituzionale nell’art. 52 Cost., esso si qualifica ora come istituto a carattere volontario, al quale si accede per pubblico concorso. L’ammissione al servizio civile consente oggi di realizzare i doveri inderogabili di solidarietà e di rendersi utili alla propria comunità, il che corrisponde, allo stesso tempo, ad un diritto di chi ad essa appartiene.

In realtà, è lo stesso concetto di «difesa della Patria», nell’ambito del quale è stato tradizionalmente collocato l’istituto del servizio civile, ad evidenziare una significativa evoluzione, nel senso dell’apertura a molteplici valori costituzionali.

Come già affermato da questa Corte, il dovere di difesa della Patria non si risolve soltanto in attività finalizzate a contrastare o prevenire un’aggressione esterna, ma può comprendere anche attività di impegno sociale non armato. Accanto alla difesa militare, che è solo una delle forme di difesa della Patria, può dunque ben collocarsi un’altra forma di difesa, che si traduce nella prestazione di servizi rientranti nella solidarietà e nella cooperazione a livello nazionale ed internazionale (sentenza n. 228 del 2004).

In coerenza con tale evoluzione, questa Corte ha già richiamato la necessità di una lettura dell’art. 52 Cost. alla luce dei doveri inderogabili di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost. (sentenza n. 309 del 2013).

L’esclusione dei cittadini stranieri, che risiedono regolarmente in Italia, dalle attività alle quali tali doveri si riconnettono appare di per sé irragionevole.

Inoltre, sotto un diverso profilo, l’estensione del servizio civile a finalità di solidarietà sociale, nonché l’inserimento in attività di cooperazione nazionale ed internazionale, di salvaguardia e tutela del patrimonio nazionale, concorrono a qualificarlo – oltre che come adempimento di un dovere di solidarietà – anche come un’opportunità di integrazione e di formazione alla cittadinanza.

Come già affermato da questa Corte, l’attività di impegno sociale che la persona è chiamata a svolgere nell’ambito del servizio civile «deve essere ricompresa tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, riconosciuti, insieme ai diritti inviolabili dell’uomo, come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente» (sentenza n. 309 del 2013). Occorre sottolineare, d’altra parte, che il godimento «dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano», è riconosciuto agli stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato (art. 2, comma 2, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, recante «Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero»).

L’esclusione dei cittadini stranieri dalla possibilità di prestare il servizio civile nazionale, impedendo loro di concorrere a realizzare progetti di utilità sociale e, di conseguenza, di sviluppare il valore del servizio a favore del bene comune, comporta dunque un’ingiustificata limitazione al pieno sviluppo della persona e all’integrazione nella comunità di accoglienza.
Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77 (Disciplina del Servizio civile nazionale a norma dell’articolo 2 della L. 6 marzo 2001, n. 64), nella parte in cui prevede il requisito della cittadinanza italiana ai fini dell’ammissione allo svolgimento del servizio civile;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 77 del 2002, sollevata, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dalla Corte di cassazione, sezioni unite civili, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 maggio 2015.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Giuliano AMATO, Redattore

Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 25 giugno 2015.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Gabriella Paola MELATTI

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