Prime note sul decreto legislativo 18 agosto 2015 n. 142, di attuazione della direttiva 2013/33/UE sulle norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale e della direttiva 2013/32/UE sulle procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale

Tipologia del contenuto:Pubblicazioni//Schede pratiche

Scheda pratica a cura di Noris Morandi, Gianfranco Schiavone e Paolo Bonetti  (aggiornata al 1° ottobre 2015)

Con il decreto legislativo del 18 agosto 2015, n. 142 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 15.9.2015) l’Italia ha attuato la direttiva 2013/33/UE, sulle norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, “rifusione” della direttiva 2003/9/CE, e la direttiva 2013/32/UE recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, “rifusione” della direttiva 2005/85/CE, completando così il recepimento delle principali norme di revisione del Sistema europeo comune di asilo. 

Entrambe le direttive, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea il 29 giugno 2013, disponevano il recepimento da parte degli Stati membri entro il 20 luglio 2015. 

Il decreto legislativo n. 142/2015 contiene al Capo I (artt. 1-24) le nuove norme in materia di accoglienza, abrogando il decreto legislativo n. 140/2005 (esclusa la copertura finanziaria prevista dall’art. 13), mentre al Capo II (artt. 25 e 26) introduce le modifiche al decreto legislativo n. 25/2008, che dunque resta in vigore seppur modificato parzialmente, mentre all’art. 27 introduce modifiche all’art. 19 del d.lgs. n. 150/2011.  

Il recepimento delle due direttive rifuse sull’accoglienza e sulle procedure interviene a breve distanza dall’approvazione da parte della Commissione dell’Unione europea del secondo gruppo di misure normative in materia di asilo in attuazione dell’Agenda europea sull’immigrazione e l’asilo (http://europa.eu/rapid/press-release_IP-15-5596_it.htm). 

Il decreto legislativo entra in vigore il 30 settembre 2015. 

Si precisa peraltro che sarà necessaria la successiva emanazione di importanti ulteriori norme secondarie di attuazione: il regolamento di attuazione del d. lgs. da emanarsi entro il 30 marzo 2016; i decreti del Ministro dell’Interno che devono provvedere a a) istituire i centri governativi di prima accoglienza, b) disciplinare lo schema di capitolato di gara d’appalto per la fornitura dei beni e dei servizi relativi al funzionamento dei centri di soccorso e accoglienza, dei centri governativi di prima accoglienza e delle strutture di emergenza, c) disciplinare le modalità di presentazione da parte degli enti locali delle domande di contributo per la realizzazione dei progetti di accoglienza nell’ambito del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati – SPRAR, d) adottare le linee 

guida per la predisposizione dei servizi da assicurare, compresi quelli destinati alle persone portatrici di esigenze particolari, e) disciplinare la composizione e il funzionamento dei tavoli nazionali e regionali di coordinamento del sistema di accoglienza, f) disciplinare le modalità di accoglienza, gli standard strutturali, in coerenza con la normativa regionale, e i servizi da erogare nei centri governativi di accoglienza specializzati per l’accoglienza dei minori non accompagnati.  

Di seguito si indicano sinteticamente e schematicamente (senza pretesa di esaurimento) le principali novità introdotte dal decreto legislativo n. 142/2015. 

 Norme in materia di accoglienza 

Ambito di applicazione (art. 1): le misure di accoglienza si applicano ai richiedenti protezione internazionale presenti sul territorio nazionale, comprese le frontiere, le zone di transito e le acque territoriali (si ricorda che l’art. 4 cod. nav. prevede che le navi italiane in alto mare e gli aeromobili italiani in luogo o spazio non soggetto alla sovranità di alcuno Stato sono considerati come territorio italiano e dunque le misure previste dal decreto legislativo si applicano fin dal momento del soccorso nelle acque internazionali da parte di un’unità italiana); le misure si applicano anche a coloro che sono soggetti ad una procedura connessa con il regolamento UE di determinazione dello Stato compente ad esaminare la domanda di asilo, cioè con la cd procedura Dublino (o perché sono in attesa di trasferimento in altro Stato UE individuato come competente ad esaminare la domanda di asilo o a seguito di trasferimento in Italia quale Stato UE considerato competente).  

Le misure di accoglienza si applicano dal momento della manifestazione della volontà di chiedere protezione internazionale (e non dal momento della verbalizzazione della domanda). 

L’art. 3 prevede che il richiedente è informato sulle condizioni di accoglienza fin dal momento della presentazione della domanda all’ufficio di polizia, attraverso la consegna dell’opuscolo informativo redatto a cura della Commissione nazionale per il diritto di asilo ai sensi dell’art. 10 del decreto legislativo n. 25/2008. Le informazioni occorrenti sono in ogni caso fornite, anche attraverso un interprete e/o un mediatore culturale, nei centri di accoglienza. 

Titolo di soggiorno (art. 4): il richiedente protezione internazionale ha diritto al rilascio di un permesso di soggiorno della durata di sei mesi, rinnovabile fino alla decisione sulla domanda e, in caso di ricorso giurisdizionale, finché il richiedente è autorizzato a rimanere nel territorio nazionale. Tale permesso consente lo svolgimento di attività lavorativa decorsi due mesi dalla presentazione della domanda di protezione internazionale. Al momento della presentazione della domanda di protezione internazionale, e contestualmente alla sua verbalizzazione, al richiedente è consegnata una ricevuta che costituisce un permesso di soggiorno provvisorio fino all’effettivo rilascio del permesso di soggiorno. In ogni caso il rilascio del permesso di soggiorno non è subordinato alla sussistenza di requisiti ulteriori rispetto a quelli richiesti espressamente nel nuovo decreto legislativo. 

In caso di trattenimento del richiedente asilo in un centro di identificazione ed espulsione (CIE), al richiedente è comunque rilasciato un attestato nominativo, che certifica la sua qualità di richiedente asilo, ma non la sua identità. 

Documento di viaggio (art. 4, co. 5): la Questura può fornire al richiedente asilo un documento di viaggio quando sussistono gravi ragioni umanitarie che ne rendono necessaria la presenza in un altro Stato.  

Domicilio (art. 5): l’obbligo di comunicazione di un domicilio è assolto tramite dichiarazione da riportare nella domanda di protezione internazionale. Perciò ai fini della presentazione della domanda non è richiesta alcuna altra allegazione di documenti concernenti il domicilio. 

Peraltro per dare effettiva e completa attuazione all’art. 6, par. 6 della direttiva 2013/33/UE che vieta agli Stati di esigere documenti inutili o sproporzionati o di imporre altri requisiti amministrativi ai richiedenti prima di riconoscere loro i diritti garantiti dalla direttiva stessa, l’art. 5, comma 1 del decreto legislativo deve essere interpretato nel senso che in ogni caso l’impossibilità per il richiedente asilo di indicare al momento della presentazione della domanda un luogo preciso in Italia in cui abbia il proprio effettivo domicilio non preclude comunque l’accesso alla presentazione della domanda e alle misure di assistenza predisposte per i richiedenti. 

Il CIE in cui il richiedente è trattenuto ovvero il centro o la struttura di accoglienza in cui il richiedente è accolto costituiscono luogo di domicilio valevole agli effetti della notifica e delle comunicazioni degli atti relativi al procedimento di esame della domanda nonché di ogni altro atto relativo alle procedure di accoglienza o di trattenimento. Il centro o la struttura di accoglienza costituiscono anche luogo di dimora abituale ai fini dell’iscrizione anagrafica per il richiedente già identificato, a cui è stato rilasciato il permesso di soggiorno per richiesta di asilo, ovvero la ricevuta attestante la presentazione della richiesta di protezione costituisce permesso di soggiorno provvisorio. 

In caso di cambio di domicilio regolarmente comunicato, il rinnovo del permesso per richiesta di asilo è effettuato dalla questura in cui il richiedente effettivamente dimora in base al principio generale previsto dall’art. 5, comma 4, del d. lgs. n. 286/1998 (testo unico delle leggi sull’immigrazione). Non è perciò richiesto di rivolgersi alla Questura del luogo in cui era stata presenta la domanda di asilo. 

Come già oggi previsto dal d. lgs. n. 25/2008 il prefetto ha la facoltà di stabilire un luogo di residenza per il richiedente che non usufruisce di misure di accoglienza ovvero limitarne la circolazione entro una determinata area geografica del territorio nazionale. Il provvedimento è adottato con atto scritto e motivato e comunicato al richiedente con le stesse modalità con cui gli viene comunicato ogni altro atto relativo al procedimento.  

In ogni caso al fine di rispettare le riserve di legge in materia di stranieri (prevista dall’art. 10, comma 2 Cost.) e in materia di misure limitative della libertà di circolazione (prevista dall’art. 16 Cost.), il comma 4 dell’art. 5 del decreto legislativo, con cui l’Italia si avvale della facoltà prevista dall’art. 7, par. 2 della direttiva 2013/33/UE, deve essere interpretato in modo conforme alla norma della direttiva e cioè nel senso che il prefetto esercita la facoltà di fissare un luogo di residenza o un’area geografica del richiedente soltanto nei casi concreti in cui sussistano motivi di pubblico interesse, di ordine pubblico o, ove necessario, per il trattamento rapido e il controllo efficace della domanda. 

L’ultimo comma dell’articolo specifica che ai fini dell’eventuale esecuzione della misura cautelare degli arresti domiciliari ovvero della detenzione domiciliare, disposte nei confronti del richiedente protezione internazionale, in una struttura di accoglienza o di trattenimento, l’autorità giudiziaria valuta preliminarmente l’idoneità a tal fine della struttura sulla base degli elementi forniti dal prefetto competente per territorio. 

Trattenimento (art. 6): si ribadisce il principio che il richiedente non può essere trattenuto al solo fine dell’esame della domanda di protezione, ma avvalendosi di alcune facoltà di prevedere il trattenimento del richiedente asilo consentite dalla direttiva UE si stabiliscono anche alcune ipotesi di trattenimento del richiedente asilo (abrogando così la precedente disciplina che era prevista dall’art. 21 d. lgs. n. 25/2008). Si tratta di ipotesi di trattenimento facoltativo, perché possono essere disposte caso per caso dal Questore (con atto scritto e motivato e tradotto in lingua comprensibile) nei confronti del richiedente asilo che si trovi in una delle seguenti situazioni: 

a) Richiedente che ha commesso i reati gravi previsti dall’art.1, par. F della Convenzione di Ginevra relativa allo status di rifugiato del 1951 (crimini contro l’umanità, azioni contrarie ai principi delle Nazioni Unite o comunque reati gravi di diritto comune commessi prima di entrare nel territorio nazionale); 

b) Richiedente che si trova nelle condizioni di essere un pericolo per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o nelle condizioni di pericolosità sociale in cui sarebbero applicabili le misure di prevenzione o che è sospettato di operare con organizzazioni terroristiche;  

c) Richiedente che è ritenuto pericoloso per la sicurezza nazionale, per l’ordine pubblico o comunque per la pubblica sicurezza perché destinatario di una misura di prevenzione. La pericolosità per l’ordine e la sicurezza pubblica può essere desunta anche dalla sussistenza di condanne per determinati reati gravi, tra cui quelli per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. La valutazione è fatta caso per caso e può anche prescindere da una sentenza di condanna; 

d) straniero che al momento della presentazione della domanda era già trattenuto in un centro di identificazione ed espulsione ai sensi degli artt. 13 e 14 d. lgs. n. 286/1998 ai fini dell’esecuzione di un provvedimento di respingimento o di espulsione. In quest’ultimo caso, il richiedente rimane in stato di trattenimento nel CIE in cui si trovava al momento della presentazione della domanda, se si hanno fondati motivi per ritenere che la domanda sia stata presentata al solo fine di impedire l’esecuzione del provvedimento di espulsione; 

e) richiedente considerato “a rischio di fuga” nelle more della decisione sulla domanda. Tale valutazione è effettuata, caso per caso, quando il richiedente ha in precedenza sistematicamente dichiarato false generalità al solo fine di evitare l’adozione o l’esecuzione di un provvedimento di espulsione o non ha ottemperato ad uno dei provvedimenti di cui all’art. 13, commi 5, 5.2 e 13 o all’art. 14 d.lgs. n. 286/98 (p.es. quando non ha ottemperato all’obbligo di lasciare il territorio per effetto di un precedente provvedimento amministrativo di espulsione ovvero ha violato il divieto di reingresso conseguente ad un precedente decreto di espulsione o si è allontanato da un CIE in cui era trattenuto o non ha ottemperato all’ordine del questore di lasciare il territorio nazionale). Le ipotesi di “rischio di fuga” ai fini del trattenimento del richiedente asilo corrispondono a quelle indicate nell’art. 13, comma 4-bis d. lgs. n. 286/1998 per il trattenimento ai fini dell’espulsione, salvo quelle per loro natura inapplicabili in considerazione della peculiarità della condizione del richiedente asilo (mancanza del passaporto; indisponibilità di un alloggio). Il ricorso all’uso di false generalità – inserito tra gli indici sintomatici del cd rischio di fuga – deve potersi qualificare come “sistematico”, il che impedisce che il trattenimento sia disposto in conseguenza di meri errori di traduzione/trasposizione delle generalità nonché nei casi in cui il richiedente abbia rilasciato false generalità in ragione del condizionamento operato da terzi (come ad esempio le organizzazioni criminali che hanno gestito il suo viaggio) ovvero in ragione di timori o aspettative errate in merito all’esito della propria domanda di asilo. Dette condotte costituiscono senza dubbio elementi di valutazione della fondatezza della domanda di asilo da parte della competente commissione territoriale, ma nulla hanno a che vedere con la fattispecie prevista dalla norma, ovvero l’utilizzo di false generalità al solo fine di evitare l’adozione o l’esecuzione di un provvedimento di espulsione, come sopra richiamato. Peraltro al fine di dare effettiva implementazione alla definizione di rischio di fuga del richiedente quale presupposto del suo trattenimento consentito dall’art. 8, par. 3, lett. b) della direttiva 2013/33/UE, l’art. 6, comma 2, lett. d) del decreto legislativo nella parte in cui tale rischio si riferisce all’inottemperanza dei provvedimenti dell’art. 14 d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286 deve essere interpretato come riferito soltanto a quel tipo di provvedimenti indicati nello stesso art. 14 nei quali il rischio di fuga è concreto, cioè soltanto ai provvedimenti indicati nel comma 5-ter dello stesso art. 14 d. lgs. n. 286/1998, sempreché nel caso concreto vi siano fondati motivi per ritenere che lo straniero che non abbia ottemperato all’ordine del Questore di lasciare il territorio dello Stato, se fermato in occasione di controlli da parte delle autorità di polizia, e presenti la domanda al solo scopo di impedire o ritardare l’esecuzione dei provvedimenti di espulsione, e ai provvedimenti indicati nel commi 7 dello stesso art. 14 d.lgs. n. 286/1998 che si riferisce all’indebito allontanamento dello straniero dal centro di identificazione in cui era trattenuto. 

In ogni caso in ognuna di tali ipotesi è sempre possibile ricorrere a misure meno coercitive del trattenimento nel CIE (come l’obbligo di dimora o l’obbligo di presentarsi periodicamente ad un ufficio di polizia), il che è assicurato dal richiamo all’applicabilità dell’art. 14, comma 1-bis del d. lgs n. 286/1998 che le disciplina. 

Pertanto i commi 1,2, 3 3 4 dell’art. 6 devono essere interpretati in modo conforme all’art. 8, parr. 2 e 4 della direttiva 2013/33/UE, che prevedono il trattenimento del richiedente asilo come extrema ratio nel senso che il trattenimento del richiedente in un centro di identificazione ed espulsione può essere disposto o prorogato soltanto se nel caso concreto non sia applicabile più efficacemente nessuna tra le misure meno coercitive alternative al trattenimento indicate nell’art. 14, comma 1-bis d. lgs. n. 286/1998. 

La durata massima del trattenimento ai fini dell’esame della domanda di protezione internazionale è fissata in un periodo massimo complessivo di 12 mesi. Nei casi in cui il trattenimento dello straniero sia già in corso al momento della presentazione della domanda, il questore ne deve chiedere al tribunale in composizione monocratica la proroga per ulteriori 60 giorni per consentire l’esame della domanda. Tale periodo è poi prorogabile per tutto il tempo in cui l’interessato è autorizzato a rimanere nel territorio nazionale in conseguenza del ricorso giurisdizionale presentato e comunque fino al termine massimo complessivo di 12 mesi. 

In ogni caso il trattenimento non può protrarsi oltre il tempo strettamente necessario all’esame della domanda con la procedura accelerata ed eventuali ritardi nell’espletamento delle procedure amministrative preordinate all’esame della domanda non giustificano la proroga del trattenimento. 

Il termine di 12 mesi fissa una durata massima: la misura restrittiva è mantenuta solo finché sussistono i motivi che lo hanno determinato ed è sottoposto a convalida e a periodico riesame da parte del Tribunale in composizione monocratica. Sulla base dei parametri previsti dalla norma legislativa e della decisione presa caso per caso il Tribunale potrebbe anche decidere la durata dei periodi di trattenimento, anche se il richiamo alle norme generali sul trattenimento previste dall’art. 14 d. lgs. n. 286/1998 rende evidente che il Tribunale potrà decidere periodi di trattenimento di volta in volta non superiori a trenta giorni, seppur prorogabili in seguito dallo stesso tribunale in presenza dei requisiti previsti dalla norma legislativa, la cui durata complessiva non potrà comunque eccedere i 12 mesi. 

Se il richiedente trattenuto chiede di essere rimpatriato, il provvedimento di espulsione è immediatamente adottato o eseguito e la richiesta di rimpatrio equivale a ritiro della domanda di protezione internazionale.  

In caso di rigetto della domanda e di rigetto dell’istanza cautelare da parte del giudice e/o del ricorso giurisdizionale, il richiedente rimane in stato di trattenimento qualora ne permangono i presupposti ai sensi degli artt. 13 e 14 d. lgs. n. 286/1998 e per la durata massima prevista dal medesimo decreto (non più di 3 mesi).  

Competente alla convalida del trattenimento del richiedente asilo e alla sua proroga è il tribunale in composizione monocratica. 

La disciplina delle altre modalità di adozione e di convalida del provvedimento di trattenimento e delle misure alternative al trattenimento è quella prevista dall’art. 14 d.lgs. n. 286/1998 che garantisce anche la partecipazione dell’interessato e del suo difensore all’udienza di convalida del trattenimento. 

Si prevede anche più in generale che in tutte le ipotesi in cui uno straniero sia per qualsiasi ragione trattenuto in un centro di identificazione ed espulsione al momento dell’ingresso nel CIE è fornita informazione allo straniero sulla possibilità di presentare domanda di protezione internazionale e che al richiedente trattenuto nei medesimi centri siano fornite tutte le informazioni occorrenti, con la consegna dell’opuscolo redatto a cura della Commissione nazionale per il diritto di asilo. 

Occorre osservare che la durata complessiva dei periodi di trattenimento a cui possono essere sottoposti alcune categorie di richiedenti asilo appare molto superiore al periodo massimo di trattenimento consentito nei confronti degli altri stranieri espulsi e trattenuti ad altro titolo, durata che è oggi stata ridotta a 30 giorni, prorogabili due volte, per non più di tre mesi dall’art. 14, comma 5 del d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286, come modificato da ultimo dall’art. 3, comma 1, lettera e) della legge 30 ottobre 2014, n. 161 (legge europea 2013-bis).  

E’ vero che questa ipotesi di trattenimento è collegata a situazioni di potenziale abuso del diritto di asilo da parte di chi potrebbe essere ritenuto pericoloso per l’ordine pubblico o per la sicurezza dello Stato o di chi potrebbe compiere nuovi reati o di chi potrebbe usare la facoltà di presentare domanda di asilo come extrema ratio per evitare di essere effettivamente allontanato dal territorio dello Stato. 

Tuttavia è anche chiaro che poiché la direttiva 2013/33/UE prevede che il richiedente asilo “sia trattenuto solo per un periodo il più breve possibile” una simile sproporzione tra la durata massima del trattenimento ordinario dello straniero espellendo (3 mesi) e la durata massima dell’ulteriore periodi di trattenimento del richiedente asilo (12 mesi) appare di dubbia legittimità costituzionale, quale violazione irragionevole del principio di eguaglianza previsto dall’art. 3 Cost., prevedendosi un trattamento discriminatorio che appare comunque ingiustificato almeno in quelle ipotesi in cui tale trattenimento sia disposto nei confronti di straniero che era stato espulso per ingresso o soggiorno irregolare e perciò appare costituzionalmente illegittima la durata complessiva del trattenimento del richiedente asilo di costoro, cioè del trattenimento disposto nei confronti dei soli stranieri trattenuti dopo avere esercitato il diritto di asilo garantito dall’art. 10, comma 3 Cost. o per avere esercitato il diritto alla difesa garantito dagli artt. 24 e 113 Cost., cioè dopo avere impugnato la decisione della Commissione territoriale, il che può scoraggiare anche l’esercizio del diritto ad un ricorso effettivo garantito dall’art. 46 della direttiva 2013/32/UE. 

Si rilevano in proposito, oltre alla durata complessiva abnorme, due ulteriori profili di dubbia legittimità

In primo luogo l’art. 6, comma 6 del decreto legislativo prevede una durata del trattenimento che fa riferimento alle scansioni temporali della procedura accelerata previste nell’art. 28-bis, comma 3 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, come modificato dallo stesso decreto legislativo, il che rende oggettivamente abnorme la modulazione del termine massimo della durata del periodo di trattenimento del richiedente asilo, che dopo l’iniziale termine di 7+2 giorni è di volta in volta prorogabile dapprima di ulteriori 2 mesi e poi di ulteriori 3 mesi e poi ancora di ulteriori 20 giorni, cioè secondo termini che non sono dati alla piena disponibilità del giudice che decide del trattenimento nei limiti di termini tassativamente stabiliti dalla norma legislativa, come esigono la riserva di legge assoluta e la riserva di giurisdizione previste dall’art. 13 Cost. quali presupposti per ogni provvedimento restrittivo della libertà personale, ma sono in realtà strettamente collegati ai tempi e alle proroghe della procedura amministrativa di esame della domanda, che sono decisi caso per caso in modo sostanzialmente insindacabile dalla Commissione territoriale anche durante le procedure accelerate; si ritiene pertanto che si tratta di una norma incostituzionale per la sostanziale violazione dei requisiti minimi per ogni restrizione della libertà personale previsti dall’art. 13 Cost. 

In secondo luogo l’art. 6, comma 6 del decreto legislativo consente che il trattenimento sia disposto per tutto il tempo in cui il richiedente è autorizzato a rimanere nel territorio dello Stato in conseguenza del ricorso giurisdizionale, il che costituisce un indiretto disincentivo al diritto alla difesa previsto dall’art. 24 Cost. e contrasta con l’effettivo ricorso alla difesa del richiedente asilo che è prescritto dalla direttiva. 

L’ultimo comma dell’art. 6 riguarda infine i richiedenti che erano già destinatari di un provvedimento di espulsione per la cui esecuzione era stato fissato un termine per la partenza. In tale caso il termine per la partenza volontaria è sospeso per il tempo occorrente all’esame della domanda e lo straniero può accedere alle misure di accoglienza (fuori dai CIE). 

Modalità del trattenimento del richiedente asilo (art. 7) 

Si richiamano le norme sul trattenimento nei CIE previste nell’art. 14 del d. lgs. n. 286/1998 e nelle relative norme di attuazione.  

Sono assicurati una sistemazione separata alle donne ed il rispetto delle differenze di genere.  

E’ assicurata la fruibilità di spazi all’aperto e preservata, ove possibile, l’unità del nucleo familiare.  

Peraltro al fine di dare esatta e completa attuazione all’art. 11, par. 4 della direttiva 2013/33/UE e di evitare in modo sistematico quelle frequenti situazioni di promiscuità che comportino violazioni del divieto di trattamenti degradanti previsto dall’art. 3 CEDU e lesioni sproporzionate al diritto alla vita privata e familiare garantito dall’art. 8 CEDU, rilevate e condannate nell’attuale sistema italiano di accoglienza dei richiedenti asilo dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Camera, Tarakhel c. Suisse del 4 novembre 2014, l’art. 7 comma 1 del decreto legislativo deve essere interpretato nel senso che alle famiglie trattenute deve essere comunque fornita una sistemazione separata che ne tuteli l’intimità. 

E’ consentito l’accesso ai centri dell’UNHCR e degli enti di tutela dei rifugiati nonché dei familiari e degli avvocati dei richiedenti e dei ministri di culto.  

L’accesso può essere limitato, purchè non impedito completamente, per ragioni di sicurezza o di ordine pubblico o per ragioni connesse alla gestione amministrativa dei centri. Il richiedente è informato delle regole vigenti nel centro. È assicurata nei medesimi centri una verifica periodica della sussistenza delle condizioni di vulnerabilità, definite al successivo art. 16, al fine di valutarne la compatibilità con la permanenza nel centro. 

Il sistema generale dell’accoglienza (art. 8) si articola in varie fasi: soccorso, prima e seconda accoglienza.  

Una fase preliminare di soccorso, prima accoglienza e identificazione degli stranieri può avvenire nei centri di primo soccorso e assistenza (CPSA) istituiti ai sensi della legge n. 563/1995 (cd legge Puglia, che non viene abrogata) nei luoghi maggiormente interessati da sbarchi massicci.  

Più in generale però il sistema di accoglienza per richiedenti protezione internazionale si basa sulla leale collaborazione tra i livelli di governo interessati, secondo le forme di coordinamento nazionale e regionale istituite e regolate dall’art.16, e si articola in  

a) una fase di prima accoglienza assicurata nelle strutture previste dagli artt. 9 (centri governativi di accoglienza per richiedenti asilo, in cui si svolgono le operazioni di identificazione, verbalizzazione della domanda e accertamento delle condizioni di salute) e nelle eventuali sistemazioni di emergenza in caso di insufficienza di posti nei centri governativi previsti dall’art. 11 e  

b) una fase di seconda accoglienza: il richiedente identificato che ha formalizzato la domanda ed è privo di mezzi di sussistenza è accolto in una delle strutture operanti nell’ambito del sistema di accoglienza territoriale di accoglienza predisposto dagli enti locali e finanziato dal Ministero dell’interno nell’ambito del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), di cui all’art. 14. 

Peraltro tutte le tre forme di accoglienza non consistono in alcun tipo di misura coercitiva limitativa della libertà personale (limitazione che invece si verifica nelle ipotesi di trattenimento), ma al più comportano alcune forme di limitazioni alla libertà di circolazione e soggiorno indicate dalle stesse norme legislative (che saranno più oltre illustrate). In ogni caso ogni persona accolta in tali strutture deve ricevere assistenza in condizioni dignitose.  

Le attività di soccorso di migranti ritrovati o che entrino nel territorio dello Stato in situazione di soggiorno irregolare devono comunque comprendere una completa informazione in lingua comprensibile all’interessato della facoltà di manifestare la volontà di presentare domanda di asilo, e dei suoi diritti, come prevede l’art. 8 della direttiva 2013/32/UE e confermano il d. lgs. in esame (art. 3 e art. 10-bis del d. lgs. n. 25/2008 introdotto dal decreto legislativo) e la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (sent. 23.2.2012, Hirsi Jamaa c. Italia, sent. 1.09.2015 Khlaifia e al. c. Italia) e in mancanza di tale informazione ogni eventuale provvedimento di respingimento o di espulsione deve intendersi nullo (Cass., sez. VI, ord. 25.3.2015, n. 5926 rel De Chiara),  

Le operazioni di identificazione devono comunque avvenire soltanto nelle ipotesi, nei modi e nei termini previsti dalle norme legislative e dagli artt. Regolamento (UE) N. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 che istituisce l’«Eurodac» per il confronto delle impronte digitali anche per la determinazione dello Stato competente ad esaminare la domanda di asilo e al fine dell’immediata trasmissione dei rilievi effettuati alla struttura EURODAC:  

a) rilevamento delle impronte digitali di tutte le dita di ogni richiedente protezione internazionale di età non inferiore a 14 anni, non appena possibile e in ogni caso entro 72 ore dalla presentazione della domanda di protezione internazionale (art. 9) ovvero  

b) nei confronti di quegli stranieri che non manifestino la volontà di presentare la domanda di protezione internazionale, rilevamento delle impronte digitali di tutte le dita di cittadini di paesi terzi o apolidi di età non inferiore a 14 anni, che siano fermati dalle competenti autorità di controllo in relazione all’attraversamento irregolare via terra, mare o aria della propria frontiera in provenienza da un paese terzo e che non siano stati respinti o che rimangano fisicamente nel territorio dello Stato e che non siano in stato di custodia, reclusione o trattenimento per tutto il periodo che va dal fermo all’allontanamento sulla base di una decisione di respingimento (art. 14). 

Peraltro nello svolgimento delle operazioni di identificazione le autorità di polizia italiane potrebbero essere affiancate da rappresentanti dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO), dell’Agenzia dell’UE per la gestione delle frontiere (Frontex), dell’Agenzia di cooperazione di polizia dell’UE (Europol) e dell’Agenzia per la cooperazione giudiziaria dell’UE (EUROJUST) che aiuteranno le autorità italiane ad adempiere agli obblighi derivanti del diritto dell’UE e a condurre con rapidità le operazioni di identificazione, registrazione e rilevamento delle impronte digitali dei migranti in arrivo. Le attività delle agenzie saranno complementari. 

La procedura di identificazione del richiedente asilo consente inoltre di enucleare subito quei richiedenti asilo che siano stati già identificati che debbano essere avviati verso le procedure di ricollocazione in altri Stati UE, almeno allorché si tratti di cittadini di quegli Stati (per ora Eritrea, Irak, Siria) che potrebbero beneficiare delle ricollocazione in base alla Decisione (UE) 2015/1523 del Consiglio del 14 settembre 2015 e alla Decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio del 22 settembre 2015 che istituiscono misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia: gli artt. 5 e 6 di tali decisioni prevedono che dopo l’identificazione le procedure per la ricollocazione si concludano entro 60 giorni durante i quali il richiedente asilo usufruisce comunque delle misure di accoglienza e in ogni caso ai fini della ricollocazione in altro Stato si privilegia il superiore interesse del minore e l’esigenza di mantenere unite le famiglie e si deve garantire che il richiedente asilo sia informato nella sua lingua della possibilità della ricollocazione in altro Stato. 

Anche la verbalizzazione della domanda (su cui si veda più oltre) comporta anche l’obbligo per le autorità di polizia di fornire al richiedente asilo informazioni sui propri diritti e facoltà, incluse le informazioni sulle condizioni di accoglienza (come prevede l’art. 3 del presente decreto legislativo) e quelle concernenti la procedura di protezione internazionale.  

Sistema di accoglienza (artt. 9, 11, 14): il sistema di accoglienza si articola in una fase di prima accoglienza ed in una fase di seconda accoglienza.  

L’art. 9 prevede che per le esigenze di prima accoglienza e per l’espletamento delle operazioni necessarie alla definizione della posizione giuridica lo straniero è accolto nei centri governativi di prima accoglienza (istituiti con decreto del Ministero dell’Interno, sentita la Conferenza unificata, secondo i criteri individuati nell’ambito della programmazione nazionale e regionale effettuata dai Tavoli di coordinamento) per il tempo necessario all’espletamento delle operazioni di identificazione, verbalizzazione della domanda ed avvio della procedura di esame della domanda, nonché l’accertamento dello stato di salute diretto anche a verificare sin dal momento dell’ingresso del richiedente nelle strutture la sussistenza di eventuali situazioni di vulnerabilità.  

Ciò significa che in un centro governativo di prima accoglienza il richiedente asilo può essere legittimamente ospitato soltanto nei casi in cui nella sua situazione sussistono entrambe le esigenze indicate: l’esigenza di fruire di una “prima accoglienza” e l’esigenza di determinare la sua condizione giuridica (richiedente asilo o straniero in condizioni di soggiorno irregolare che non abbia manifestato la volontà di presentare domanda di asilo). Perciò nei centri governativi di prima accoglienza non può essere accolto lo straniero che si rivolga spontaneamente in Questura per presentare la sua domanda di asilo, perché in tale ipotesi mancano sia il primo requisito (lo straniero potrebbe infatti avere bisogno di accoglienza, ma non della “prima accoglienza” della quale necessita chi si presenti privo di mezzi alle frontiere o sia soccorso in mare), sia il secondo requisito (colui che presenta spontaneamente domanda di protezione internazionale quando già si trova sul territorio dello Stato definisce infatti da sé la propria condizione giuridica come quella di richiedente protezione internazionale).  

Pertanto l’art. 9 deve essere interpretato nel senso che l’invio del richiedente asilo ad un centro governativo di prima accoglienza non è sempre obbligatorio per tutti i richiedenti asilo, ma che tali centri devono essere utilizzati, per il tempo più breve possibile, soltanto nelle ipotesi in cui ciò sia oggettivamente necessario al contestuale conseguimento degli obiettivi di garantire una prima assistenza e una identificazione dello straniero richiedente protezione internazionale. Perciò per il richiedente asilo non è sempre obbligatoria l’accoglienza in un centro governativo di prima accoglienza prima di essere ospitato in un centro del sistema di accoglienza territoriale SPRAR. 

Così esaurite le operazioni di identificazione e di verbalizzazione della domanda di asilo (che sono svolte in un centro governativo di prima accoglienza o in questura se lo straniero presenta spontaneamente domanda di asilo quando già si trova sul territorio nazionale e non necessita di prima accoglienza) il richiedente che non dispone di un reddito di importo almeno pari all’importo annuo dell’assegno sociale e che ne faccia richiesta, è trasferito in una delle strutture di seconda accoglienza operanti nell’ambito dello SPRAR. Tuttavia in caso di temporanea indisponibilità nel sistema di accoglienza territoriale SPRAR, il richiedente che era ospitato in un centro governativo di prima accoglienza resta ospitato in tale centro per il tempo strettamente necessario al trasferimento oppure in caso di temporanea indisponibilità di posti anche in tale centro il prefetto ne dispone l’accoglienza in una delle strutture di accoglienza straordinarie allestite ai sensi dell’art. 11, mentre lo straniero che già sia stato identificato e abbia già verbalizzato la domanda di asilo in questura senza essere stato ospitato in un centro governativo di prima accoglienza può essere accolto soltanto in una delle strutture di accoglienza straordinarie allestite dal prefetto ai sensi dell’art. 11 in caso di temporanea indisponibilità nei centri della rete SPRAR.  

E’ evidente peraltro che se il numero complessivo di richiedenti asilo accolti in strutture straordinarie fosse in modo costante e non temporaneo largamente superiore al numero degli stranieri accolti nei centri territoriali della rete SPRAR si rivelerebbe la totale inadeguatezza delle previsioni di arrivi di richiedenti asilo sulla base delle quali è stata fatta la stima del fabbisogno di posti di accoglienza nell’ambito dei centri della rete SPRAR nel Piano elaborato dal Tavolo nazionale ai sensi dell’art. 16, comma 2. 

 La gestione dei centri governativi di prima accoglienza è affidata ad enti locali, anche associati, unioni o consorzi di comuni, ma anche ad enti pubblici o privati che operano nel settore dell’assistenza dei richiedenti protezione internazionale o nell’assistenza sociale. I centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) già istituiti alla data di entrata in vigore del decreto svolgono le funzioni di strutture di prima accoglienza, mentre le strutture allestite ai sensi della cd Legge Puglia (L. n. 563/1995), possono essere destinate alle medesime finalità previa adozione di decreto del Ministero dell’interno.  

L’art. 10 prevede che nei centri governativi di prima accoglienza sono assicurati il rispetto della sfera privata, comprese le differenze di genere, delle esigenze connesse all’età, la tutela della salute e l’unità dei nuclei familiari nonché l’apprestamento delle misure necessarie per le persone portatrici di particolari esigenze. Per le modalità di uscita dal centro e di accesso di soggetti esterni si rinvia al regolamento di attuazione. E’ assicurata la facoltà di comunicare con l’UNHCR, con gli enti di tutela dei rifugiati, con gli avvocati e i familiari dei richiedenti nonché con i ministri di culto. 

In ogni caso al fine di dare attuazione all’art. 18, par. 6 della direttiva 2013/33/UE l’art. 10, comma 3 deve essere interpretato nel senso che in ogni caso i richiedenti sono messi nelle condizioni di informare i loro avvocati o consulenti legali del trasferimento nei centri indicati negli articoli 8, 9, 11 e 14 e del loro nuovo indirizzo. 

E’ consentito l’allontanamento dal centro nelle ore diurne con obbligo di rientro nelle ore notturne, ma il richiedente può chiedere al prefetto un permesso temporaneo di allontanamento dal centro per un periodo di tempo diverso o superiore a quello di uscita per rilevanti motivi personali o connessi all’esame della domanda. Il prefetto può rigettare la richiesta con provvedimento motivato comunicato al richiedente.  

L’allontanamento dai centri per un periodo diverso o superiore a quello ordinario di uscita deve essere motivato e autorizzato dal prefetto competente, a pena di revoca dal diritto all’accoglienza ai sensi dell’art. 13. Il personale che opera nei centri è adeguatamente formato ed ha l’obbligo di riservatezza sui dati e le informazioni riguardanti i richiedenti presenti nel centro. 

Nelle ipotesi in cui è temporaneamente esaurita la disponibilità di posti all’interno dei centri governativi di prima accoglienza o nei centri del sistema SPRAR, a causa di arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti, l’accoglienza può essere disposta dal Prefetto, sentito il Ministero dell’interno in strutture temporanee appositamente allestite, previa valutazione delle condizioni di salute del richiedente, anche per accertare eventuali esigenze particolari di accoglienza (misure straordinarie di accoglienza) e limitatamente al tempo strettamente necessario al trasferimento del richiedente nelle strutture di prima o seconda accoglienza. 

Tali strutture soddisfano le esigenze essenziali di accoglienza, sono individuate dalle prefetture, secondo le procedure di affidamento dei contratti pubblici, sentito l’ente locale nel cui territorio la struttura è situata, ma nei casi di estrema urgenza è consentito il ricorso alle procedure di affidamento diretto di cui alla legge n. 563/1995 e alle relative norme di attuazione contenute nel D.M. 2 gennaio 1996, n. 233. Le operazioni di identificazione e verbalizzazione della domanda del richiedente presente in tali strutture sono espletate presso la questura più vicina. 

L’art. 12 prevede che con decreto del Ministro dell’interno, previe valutazioni del Tavolo di coordinamento nazionale, sia adottato il capitolato di gara d’appalto per la fornitura di beni e servizi nei centri governativi di accoglienza previsti dal presente decreto, al fine di assicurare livelli omogenei di accoglienza nel territorio nazionale. Il regolamento di attuazione del d.lgs. prevederà forme di coinvolgimento dei richiedenti nello svolgimento della vita nelle strutture di accoglienza.  

L’art. 13 precisa che l’allontanamento ingiustificato dai centri governativi (cioè non autorizzato dal Prefetto) e dalle strutture straordinarie di accoglienza comporta la revoca delle misure di accoglienza, disposta con provvedimento motivato. 

La fase di seconda accoglienza è assicurata dal Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), per tutta la durata del procedimento di esame della domanda, ed in caso di ricorso giurisdizionale fintanto che è autorizzata la permanenza del richiedente protezione internazionale sul territorio italiano. 

In particolare l’art. 14 prevede che il richiedente che ha formalizzato la domanda e sia privo di mezzi sufficienti al sostentamento proprio e dei propri familiari ha accesso, su richiesta, alle misure di accoglienza del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) predisposte dagli enti locali ai sensi dell’art. 1-sexies d.l. 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39. La valutazione dell’insufficienza dei mezzi di sussistenza è valutata dalla prefettura utilizzando come parametro di riferimento l’importo annuo dell’assegno sociale. Con decreto del Ministro dell’interno, sentita la Conferenza unificata, sono fissate le modalità di presentazione delle domande di contributo da parte degli enti locali per la realizzazione dei progetti di accoglienza. 

Al fine di assicurare che tutti i tipi di centri di accoglienza garantiscano una qualità di vita adeguata, come esige l’art. 18, par. 1, lett. b) della direttiva 2013/33/UE, e di dare attuazione effettiva all’art. 18, par. 7 della stessa direttiva, l’art. 14, comma 2 del decreto legislativo deve essere interpretato nel senso che le linee guida approvate dal Ministro dell’Interno per la gestione di tutti i tipi di centri prevedano che ogni servizio di accoglienza deve comunque attuare un’assistenza integrata che garantisca una qualità di vita adeguata alla situazione e ai bisogni specifici di ogni richiedente e che assicuri servizi minimi che comportino almeno un alloggio adeguato e un vitto rispettoso delle diverse tradizioni culturali, mediazione linguistico-culturale, orientamento ai servizi del territorio, erogazione di corsi di lingua italiana e sostegno ai percorsi di formazione e riqualificazione professionale, orientamento e accompagnamento a programmi di inserimento lavorativo, abitativo e sociale, orientamento e tutela legale e che le persone che operano presso ogni centro devono ricevere una formazione adeguata con appositi corsi di formazione e di aggiornamento. Peraltro, come è finora previsto nelle linee guida per la gestione degli attuali centri del sistema SPRAR, al fine di evitare di produrre gravi fenomeni di disagio sociale che ricadono soprattutto sui territori, le linee guida dovrebbero anche prevedere la possibilità che lo straniero o l’apolide dopo il riconoscimento dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria o il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari permanga accolto in un centro del sistema di accoglienza territoriale per un periodo ulteriore, prorogabile in presenza di situazioni di vulnerabilità o per la conclusione del programma di sostegno all’inclusione sociale. 

In ogni caso l’art. 14, comma 4 prevede che l’accoglienza è assicurata fino alla decisione della Commissione territoriale competente e, in caso, di rigetto, fino alla scadenza del termine per l’impugnazione. Se il richiedente presenta ricorso giurisdizionale, l’accoglienza è assicurata fino all’esito del giudizio di primo grado nei casi in cui il ricorso sospende automaticamente gli effetti della decisione impugnata. Negli altri casi, il ricorrente rimane nel centro in cui si trova fino all’esito dell’istanza cautelare eventualmente proposta e successivamente per il tempo in cui è autorizzato a rimanere nel territorio nazionale dall’autorità giudiziaria.  

Il ricorrente già trattenuto in un CIE autorizzato a rimanere nel territorio nazionale in sede cautelare a seguito di ricorso giurisdizionale rimane nel centro di identificazione ed espulsione, salvo che vengano meno i motivi del trattenimento. In tal caso, se privo di mezzi sufficienti, riceve accoglienza esclusivamente nei centri governativi di accoglienza ed è prorogata la validità dell’attestato nominativo che certifica la sua qualità di richiedente asilo. Se si tratta, di persone pericolose per la sicurezza pubblica, per l’ordine pubblico o per la sicurezza nazionale, possono essere loro imposte alcune misure cautelari come la consegna del passaporto, l’obbligo di dimora in un luogo preventivamente individuato e l’obbligo di presentazione in orari e giorni stabiliti presso un ufficio di polizia.  

L’art. 15 prevede le modalità di accesso al sistema di accoglienza territoriale predisposto dagli enti locali. La prefettura, sentito il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno, accerta la disponibilità all’interno del sistema, dopo aver valutato la situazione di indigenza del richiedente. Il provvedimento che nega l’accesso alle misure di accoglienza è impugnabile avanti al Tribunale amministrativo regionale territorialmente competente. 

L’art. 16 prevede gli strumenti di coordinamento nazionale e regionali. A livello nazionale, tale strumento è individuato nel Tavolo di coordinamento già insediato presso il Ministero dell’interno e previsto dall’art. 29 d. lgs. 19 novembre 2007, n. 251, e successive modificazioni, con l’obiettivo, tra l’altro, di ottimizzare i sistemi di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale. A tale tavolo spetta il compito di predisporre un Piano nazionale per l’accoglienza e di individuare i criteri di ripartizione regionale delle disponibilità di accoglienza da fissare poi d’intesa con la Conferenza unificata. A livello territoriale sono previsti Tavoli regionali insediati presso le prefetture capoluogo di regione, con compiti di attuazione della programmazione predisposta dal Tavolo nazionale. Il Piano nazionale individua il fabbisogno di posti da destinare alle finalità di accoglienza, sulla base delle previsioni di arrivo per il periodo considerato e i Tavoli di coordinamento regionale individuano i criteri di ripartizione dei posti all’interno della Regione nonché i criteri di localizzazione delle strutture di prima accoglienza e delle strutture straordinarie. E’ prescritta l’intesa in Conferenza unificata sui criteri di ripartizione tra le varie Regioni e non sul Piano in generale, alla cui predisposizione partecipano, in ogni caso, i rappresentanti degli enti territoriali designati da ANCI, UPI e Conferenza delle Regioni. La composizione e le modalità operative dei Tavoli nazionali e regionali di coordinamento sono stabilite con decreto del Ministro dell’interno. 

Peraltro al fine di dare effettiva attuazione a quanto disposto dall’art. 18 comma 1 lettera b) della direttiva 2013/33/UE che prevede che in via ordinaria i richiedenti asilo debbono essere alloggiati in centri di accoglienza che garantiscono una qualità di vita adeguata e che il comma c) del medesimo articolo consente anche l’utilizzo di case private, appartamenti ed altre strutture idonee, gli artt. 8 e 9 del decreto legislativo devono essere interpretati nel senso che i centri di soccorso e di prima assistenza e i centri governativi di prima accoglienza sono destinati soprattutto alle esigenze di prima accoglienza e di identificazione nel caso di afflussi massicci e che i richiedenti devono essere in ogni caso trasferiti nel minor tempo possibile nelle strutture dell’accoglienza territoriale di cui all’art. 14, o, in caso di indisponibilità di posti, presso le strutture straordinarie di cui all’art. 11.  

Inoltre al fine di dare piena ed effettiva attuazione all’art. 17 comma 2 della Direttiva 2013/33/UE assicurando al sistema di accoglienza certezza ed equità ed evitando altresì la casualità nella collocazione dei richiedenti ovvero il prodursi di quegli interventi emergenziali che hanno purtroppo caratterizzato per molti anni la situazione italiana e che, specie in relazione all’accoglienza dei nuclei familiari e delle situazioni vulnerabili, hanno comportato la violazione al diritto alla vita privata e familiare garantito dall’art. 8 CEDU, rilevate e condannate nell’attuale sistema italiano di accoglienza dei richiedenti asilo dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (cfr. CEDU, Grande Camera, Tarakhel c. Suisse del 4 novembre 2014), l’art. 16 deve essere interpretato nel senso che il Piano nazionale di accoglienza e le linee di indirizzo e di programmazione predisposti dal Tavolo nazionale devono comportare la realizzazione e la gestione dei progetti di accoglienza territoriale di cui all’art. 14 del decreto legislativo da parte di dei Comuni, singoli o associati, in quanto si tratta di funzioni amministrative conferite ai sensi dell’art. 118 Cost. agli enti locali, singoli o associati, secondo principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione, e che in quanto tali la realizzazione e la gestione, almeno per i servizi minimi omogenei da garantirsi su tutti il territorio nazionale stabiliti nel decreto del Ministro dell’interno previsto dall’art. 14, comma 2, del decreto legislativo, siano integralmente finanziate dallo Stato ai sensi dell’art. 119 Cost.  

Peraltro sempre per tali finalità previste dalla direttiva occorre evitare il ripetersi della sottovalutazione del fabbisogno di accoglienza dei richiedenti asilo e perciò è ragionevole ipotizzare che il fabbisogno di posti da individuarsi nel Piano nazionale di accoglienza sulla base delle previsioni di arrivo per il periodo considerato preveda che in ogni regione siano individuati posti di accoglienza disponibili in via immediata e ulteriori posti aggiuntivi e che il numero complessivo annuo dei posti ordinari e aggiuntivi complessivamente disponibili non sia inferiore alla media annua di richiedenti asilo accolti negli ultimi tre anni, inclusi i ricorrenti, e tenendo conto degli analoghi numeri delle categorie di persone bisognose di particolari vulnerabilità e dei minori stranieri non accompagnati. 

Persone portatrici di esigenze particolari (art. 17): sono individuate le categorie di persone vulnerabili che possono aver bisogno di misure di assistenza particolari: i minori, i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne in stato di gravidanza, i genitori singoli con figli minori, le vittime della tratta di esseri umani, le persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali, le persone per le quali è stato accertato che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale, le vittime di mutilazioni genitali, coloro che hanno subito gravi forme di violenza legata all’orientamento sessuale o all’identità di genere. Rispetto all’abrogata previsione normativa sono considerate persone vulnerabili anche i minori non accompagnati, le vittime della tratta di esseri umani, le persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali, le vittime di tortura o di gravi violenze anche se legata all’orientamento sessuale o all’identità di genere e le vittime di mutilazioni genitali

Per tali categorie di persone sono previsti speciali servizi di accoglienza sia nei centri governativi di prima accoglienza, sia nell’ambito del sistema di accoglienza territoriale. E’ assicurata una verifica periodica della sussistenza di tali situazioni da parte di personale qualificato. La sussistenza di esigenze particolari è comunicata anche alla prefettura presso cui è insediata la Commissione territoriale per l’eventuale predisposizione di misure di garanzia procedurale come l’assistenza di personale di sostegno durante il colloquio con la medesima Commissione.  

Ai richiedenti protezione internazionale identificati altresì come vittime della tratta di esseri umani si applica il programma unico di emersione, assistenza e integrazione sociale ai sensi dell’art. 18, comma 3-bis, d. lgs. n. 286/1998. Tale disposizione suscita dubbi interpretativi perché non è chiaro che cosa comporti, cioè se sottragga queste categorie di richiedenti alla procedura di esame delle domande di protezione internazionale oppure se opera sotto il profilo dell’accoglienza, ma in tal caso emergerebbero non pochi problemi a causa delle peculiarità di quei tipi di programmi. 

Per l’assistenza e le cure da assicurare a coloro che hanno subito torture, stupri o altri gravi atti di violenza, si rinvia alle linee guida per gli interventi di assistenza e riabilitazione nonché per il trattamento dei disturbi psichici già previste dall’art. 27, comma 1-bis, del d. lgs. 19 novembre 2007, n. 251. 

In generale circa i minori l’art. 18 prevede il carattere di priorità del superiore interesse del minore che costituisce criterio guida nell’applicazione delle misure di accoglienza del presente decreto. A tal fine il minore è sempre ascoltato, tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità, anche per conoscere le sue esperienze pregresse e valutare il rischio che possa essere stato vittima di tratta nonché verificare la possibilità di ricongiungimento con familiari eventualmente presenti in un altro Paese UE. Nella predisposizione dei servizi di accoglienza sono previsti servizi specificamente indirizzati alle esigenze della minore età. Gli operatori che si occupano di minori devono essere specificamente formati e sono soggetti all’obbligo di riservatezza sui dati e sulle informazioni concernenti i minori. 

Minori non accompagnati (art. 19): i minori non accompagnati sono accolti in strutture governative di prima accoglienza per il tempo strettamente necessario, e comunque per non più di 60 giorni, per l’espletamento delle operazioni di identificazione e l’eventuale accertamento dell’età. Le strutture sono attivate dal Ministero dell’Interno in accordo con l’Ente locale e gestite dal Ministero stesso anche in convenzione con l’Ente Locale. Si tratta di centri specializzati per le esigenze di soccorso e protezione immediata dei minori stranieri non accompagnati. 

All’interno di tali strutture è garantito al minore un colloquio con uno psicologo dell’età evolutiva e assegna la fissazione degli standard di accoglienza e dei servizi da erogare ad un decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. 

In caso di temporanea indisponibilità nelle strutture specifiche governative per l’accoglienza dei minori non accompagnati l’accoglienza del minore è temporaneamente assicurata dal Comune. Per tale finalità, i Comuni accedono ai contributi disposti dal Ministero dell’interno nell’ambito del Fondo nazionale per l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, istituito presso il Ministero dell’interno dalla legge n. 190/2014, nel limite delle risorse del medesimo Fondo. Il rimborso è effettuato nel limite delle risorse del medesimo Fondo.  

La seconda accoglienza dei minori non accompagnati è disposta nelle strutture SPRAR, ed in assenza di posti disponibili l’accoglienza è operata dall’Ente Locale. Si riproduce una modalità di accoglienza già prevista a legislazione vigente dall’art. 26, comma 6, d. Lgs. n. 25/2008, per i minori richiedenti asilo e dall’art. 1, comma 183, della legge n. 190/2014 per i minori non accompagnati che non presentano domanda di protezione internazionale che hanno accesso ai medesimi servizi nei limiti delle risorse e dei posti disponibili.  

In ogni caso si esclude che il minore non accompagnato possa essere trattenuto in un centro di identificazione ed espulsione o in una struttura di accoglienza non specializzata. Della presenza del minore è data immediata comunicazione, da parte dell’autorità di pubblica sicurezza, all’autorità giudiziaria competente per la nomina del tutore e per la ratifica delle misure di accoglienza, nonché al Ministero del lavoro e delle politiche sociali a cui compete il censimento ed il monitoraggio della presenza di minori stranieri non accompagnati nel territorio nazionale. Non possono essere nominati tutori individui o organizzazioni i cui interessi sono in contrasto anche potenziale con quelli del minore.  

Sono avviate le iniziative occorrenti per rintracciare i familiari del minore, anche attraverso convenzioni che il Ministero dell’interno stipula con organizzazioni internazionali, intergovernative e associazioni umanitarie. 

Peraltro al fine di dare effettiva attuazione all’art. 25, par. 2 della direttiva 2013/32/UE, l’art. 19, comma 1 del decreto legislativo deve essere interpretato e applicato nel senso che le linee guida del Ministro dell’interno per la disciplina delle condizioni di accoglienza nei centri di accoglienza dei minori non accompagnati prevedano che eventuali visite mediche per accertare l’età del minore non accompagnato siano disposte una sola volta e soltanto nei casi in cui, in base a sue dichiarazioni generali o altre indicazioni pertinenti, si nutrano dubbi circa l’età del richiedente e siano effettuate col consenso del minore non accompagnato e del suo tutore e nel pieno rispetto della dignità della persona, mediante l’esame meno invasivo possibile ed effettuato da professionisti nel settore medico qualificati che consentano, nella misura del possibile, un esito affidabile, previa informazione del minore non accompagnato, prima dell’esame della domanda di protezione internazionale e in una lingua che capisce o che è ragionevole supporre possa capire, circa la possibilità che la sua età possa essere determinata attraverso una visita medica, il tipo di visita previsto e le possibili conseguenze dei risultati della visita medica ai fini dell’esame della domanda e dell’eventuale rifiuto di sottoporsi a visita medica, il quale non impedisce la decisione sulla domanda e non può costituire il solo motivo di rigetto della domanda stessa. 

L’art. 20 prevede l’attività di monitoraggio e controllo della gestione delle strutture di accoglienza. Tale attività concerne la verifica della qualità dei servizi erogati e il rispetto dei livelli di accoglienza fissati nonché le modalità di affidamento dei servizi di accoglienza da parte degli enti locali a soggetti attuatori. Particolare attenzione è rivolta ai servizi destinati alle persone vulnerabili ed ai minori nell’ambito del monitoraggio dei servizi erogati. Ai fini dello svolgimento di tale attività il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno può avvalersi di qualificate figure professionali, selezionate anche tra funzionari della pubblica Amministrazione in posizione di collocamento a riposo, ovvero di competenti organizzazioni internazionali o intergovernative. L’eventuale ricorso a funzionari della pubblica Amministrazione in posizione di collocamento a riposo sarà effettuato nel rispetto dei divieti di cui all’art. 5, comma 9, del decreto legge n. 95/2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 135/2012, come modificato dall’art. 6 del decreto-legge n. 90/2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 114/2014. Degli esiti di tale attività è dato atto nella relazione che ogni anno il Ministro dell’interno presenta alle Camere sul funzionamento del sistema di accoglienza, introdotta dal d.l. n. 119/2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 146/2014.  

Rimane ferma l’attività di monitoraggio svolta parallelamente dal servizio centrale istituito presso il Ministero dell’interno e affidato all’ANCI anche per lo svolgimento di attività di monitoraggio sulle strutture dello SPRAR di cui all’art. 1-sexies del decreto-legge n. 416/1989, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 39/1990, ai sensi del comma 4 del medesimo art. 1- 

sexies.  

L’art. 21 disciplina l’assistenza sanitaria per i richiedenti asilo richiamando le previsioni del citato testo unico in materia di immigrazione nonché la sottoposizione dei minori richiedenti o figli di richiedenti all’obbligo scolastico ai sensi del medesimo testo unico.  

L’art. 22 consente l’accesso al lavoro per i richiedenti protezione internazionale quando sono trascorsi due mesi (anziché sei come nella disciplina vigente) dalla presentazione della domanda senza che il procedimento di esame sia concluso per cause non attribuibili al richiedente. Il permesso di soggiorno non è tuttavia convertibile in permesso per lavoro. I richiedenti accolti nei servizi predisposti dagli enti locali partecipano ai progetti di formazione eventualmente previsti dai medesimi enti.  

L’art. 23 disciplina le ipotesi di revoca delle misure di accoglienza nelle strutture afferenti allo SPRAR quando il richiedente abbandoni la struttura ovvero non si presenti al colloquio innanzi alla Commissione territoriale, violi gravemente o ripetutamente le regole del centro o si accerti la disponibilità di mezzi economici sufficienti. La revoca è disposta dal prefetto con provvedimento impugnabile al Tribunale amministrativo regionale competente. Le misure di accoglienza sono altresì revocate quando emergono elementi che fanno ritenere necessario il trattenimento ai sensi dell’art. 6. In tal caso, il prefetto che dispone la revoca ne dà comunicazione al questore per l’adozione del provvedimento di trattenimento.  

Contro il provvedimento di diniego di accesso alle misure di accoglienza (art. 14, comma 6) e contro i provvedimenti di diniego, di riduzione e di revoca delle misure di accoglienza (art. 22, comma 5) è consentito il ricorso al giudice amministrativo. Tuttavia poiché l’effettiva tutela giurisdizionale al diritto soggettivo all’assistenza dei richiedenti asilo è garantito dalla direttiva 2013/33/UE, tali norme appaiono costituzionalmente illegittime perché il ricorso è affidato al giudice amministrativo che è il giudice degli interessi legittimi e non invece a quella del giudice ordinario, che è il giudice dei diritti soggettivi. 

Si deve inoltre osservare che l’art. 22, par. 1 della Direttiva 2013/33/UE, prevede che la revoca delle condizioni di accoglienza sia misura che può essere assunta solo in casi eccezionali, debitamente motivati, che la medesima disposizione prevede la possibilità di anche solo ridurre le misure di accoglienza, e l’art. 22 al comma 5 della stessa direttiva prevede che i provvedimenti di revoca o riduzione siano assunti sempre in modo proporzionale.  

Tuttavia l’art. 23, comma 1 lett. a) e lett. e) e comma 3 del decreto legislativo sembra eludere questi obblighi nella disciplina della possibilità che il Prefetto adotti una revoca anziché una misura di riduzione dei servizi di accoglienza, fattispecie che pare non recepita nel decreto; occorre anche dare un’interpretazione conforme alla direttiva dell’art. 23, comma 3 nel senso che tutti i provvedimenti siano assunti dalla Prefettura competente solo in casi eccezionali (escludendo pertanto qualsiasi automatismo nell’applicazione delle fattispecie di cui all’art. 23 comma 1) nonchè sulla base di attenta valutazione dei fatti accaduti e dei comportamenti dei richiedenti desumibili anche da relazioni psicologiche e sociali da parte dell’ente gestore del centro di accoglienza e prevedendo altresì che in caso di rintraccio del richiedente o di sua presentazione spontanea, sia data la facoltà al richiedente stesso di condurre un colloquio nel quale l’interessato può esporre le proprie ragioni e che il provvedimento prefettizio tenga conto delle eventuali ragioni addotte dal richiedente e di tutte le informazioni pertinenti. 

Norme sulle procedure di riconoscimento e revoca della protezione internazionale 

Il decreto legislativo introduce puntuali modifiche nel testo del d. lgs. n. 25/2008 e del d. lgs. n. 150/2011 che sono di seguito sintetizzate. 

Modifiche alla nomina, alla composizione e alla competenza delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale. Si prevede che, in caso di urgenza, il rappresentante dell’ente locale sia designato dall’ANCI anziché dal Sindaco del Comune in cui ha sede la Commissione. I componenti delle Commissioni sono designati sulla base delle esperienze o della formazione acquisite nel settore dell’immigrazione. dell’asilo e dei diritti umani. La formazione richiesta, in alternativa alle esperienze pregresse, come requisito per la designazione a componente della Commissione, è distinta dalla formazione che necessariamente, poi, il componente della Commissione territoriale riceve a cura della Commissione nazionale per l’espletamento delle funzioni ai sensi dell’art. 15 d. lgs. n. 25/2008. La nomina dei componenti è subordinata alla previa valutazione dell’insussistenza di motivi di incompatibilità derivanti da situazioni di conflitto di interessi.  

In materia di competenza territoriale si prevede che, in caso di accoglienza del richiedente presso una struttura del sistema SPRAR, la competenza della Commissione è determinata in base alla circoscrizione territoriale in cui è collocata la struttura, analogamente a quanto già previsto per i richiedenti accolti in una struttura governativa.  

Infine, si prevede che il Ministero dell’interno cura, anche in convenzione con le Università, la predisposizione di corsi di formazione per componente delle Commissioni territoriali. La partecipazione a tali corsi, in caso di successiva designazione a componente di una Commissione territoriale, sostituisce la formazione iniziale che ordinariamente è somministrata ai componenti delle Commissioni.  

Modifiche alle funzioni della Commissione nazionale per il diritto di asilo e riconoscimento senza audizione della protezione sussidiaria: si individua la Commissione nazionale per l’asilo come punto di contatto per lo scambio di informazioni con la Commissione europea e con le competenti autorità degli Stati membri.  

Nell’ambito dei suoi poteri di indirizzo e coordinamento, la Commissione nazionale può individuare periodicamente un elenco di Paesi in cui sussistono condizioni tali per cui, per i richiedenti provenienti da tali Paesi, le Commissioni territoriali possono omettere l’audizione, ove ritengono, sulla base di ogni altro elemento in possesso delle medesime Commissioni, di poter riconoscere la protezione sussidiaria. In tal caso, lo stesso richiedente, preventivamente informato, può chiedere di essere ascoltato per esporre alla Commissione ulteriori elementi di valutazione che potrebbero invece condurre al riconoscimento dello status di rifugiato. Si mira così ad accelerare i tempi di trattazione delle istanze di coloro che provengono da territori interessati da situazioni di violenza indiscriminata e conflitto armato. . 

Si prevede, infine, che la Commissione adotti un codice di condotta per i componenti delle Commissioni territoriali, per gli interpreti e per il personale di supporto.  

Peraltro al fine di dare effettiva e completa attuazione all’art. 4, par. 3 della direttiva 2013/32/UE, l’art. 4, comma 3-ter del d. lgs. n. 25/2008 introdotto dal decreto legislativo in esame ei l’art. 15 del decreto legislativo n. 25/2008 devono essere interpretati in modo da prevedere che nei corsi di formazione per i componenti delle commissioni territoriali devono essere ricompresi gli elementi di cui all’art. 6, paragrafo 4, lettere da a) a e), del regolamento (UE) n. 439/2010 e si deve tenere conto anche della pertinente formazione organizzata e sviluppata dall’EASO 

Decisioni delle Commissioni territoriali e informazioni sui Paesi di origine: si chiarisce, come richiede la direttiva UE, che la Commissione territoriale valuta innanzitutto la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e solo successivamente quella dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria. Si inserisce, poi, l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo tra i i referenti della Commissione nazionale per l’aggiornamento delle informazioni riguardanti i Paesi di origine. 

Modifiche alla presentazione della domanda da parte del minore: si prevede che la domanda di protezione internazionale può essere presentata per il minore dal genitore anche se il genitore non è a sua volta richiedente asilo e la domanda del minore non accompagnato può essere presentata non solo dal minore stesso, ma anche dal tutore sulla base della valutazione della situazione personale del minore. 

Presentazione e verbalizzazione della domanda di protezione internazionale: il verbale di presentazione della domanda di protezione internazionale (Mod. C3) deve essere redatto entro 3 giorni lavorativi dalla manifestazione della volontà di presentare la domanda stessa o entro 6 giorni se la volontà è manifestata all’ufficio di polizia di frontiera. I termini sono prolungati sino a 10 giorni lavorativi in presenza di un elevato numero di domande a causa di arrivi consistenti e ravvicinati. 

Si prevede anche che il personale dell’ufficio di polizia che riceve la domanda riceve una formazione adeguata, che la documentazione prodotta dal richiedente può essere tradotta, ove necessario, e specificando che l’opuscolo informativo redatto dalla Commissione nazionale informa il richiedente anche sulle conseguenze del ritiro della domanda.  

In ogni caso al fine di evitare l’elusione dell’art. 6, par. 5 della direttiva 2013/32/UE, nell’art. 24, comma 1, lett. s), n. 1, il comma 2-bis dell’art. 26 del decreto legislativo n. 25/2008, introdotto dal decreto legislativo in esame, deve essere interpretato nel senso che la proroga del termine di verbalizzazione delle domande da parte delle Questure può essere differita di ulteriori dieci giorni soltanto nei casi in cui le domande simultanee di protezione internazionale presentate presso la medesima Questura da parte di un numero elevato di richiedenti rendano praticamente molto difficile il rispetto dei termini ordinari per la verbalizzazione previsti nello stesso nuovo comma 2- bis. 

Servizi di informazione per il richiedente asilo 

Si prevede un servizio gratuito di informazione di cui il richiedente può usufruire in fase di esame della domanda o di revoca della protezione rispettivamente da parte delle Commissioni territoriali e nazionale. A tal fine il Ministero dell’interno stipula apposite convenzioni con l’UNHCR o con gli enti di tutela dei titolari di protezione internazionale con esperienza consolidata nel settore. Della possibilità di usufruire di tale servizio di informazione il richiedente è informato attraverso il citato opuscolo. Va evidenziato che detti servizi infornativi non vanno intesi come sostitutivi, bensì come rafforzativi ed integrativi, dei servizi di accoglienza che gli enti gestori delle strutture di accoglienza, di qualunque natura, sono comunque tenuti ad erogare nei confronti dei richiedenti asilo.  

Esperti delle Commissioni Territoriali e visite mediche ai richiedenti: ove necessario ai fini dell’esame della domanda la Commissione territoriale può consultare esperti su aspetti di carattere sanitario, culturale, religioso, di genere o inerenti ai minori e può disporre, previo consenso, visite mediche per l’accertamento di esiti di persecuzioni o danni gravi, nonché disporre la traduzione di documentazione prodotta dal richiedente. Le visite mediche saranno effettuate secondo le linee guida adottate dal Ministero della salute per la programmazione degli interventi di assistenza e riabilitazione di coloro che hanno subito torture o altre forme gravi di violenza ai sensi dell’art. 27, comma 1-bis del d.lgs. n. 251/2007. Il richiedente può effettuare la visita medica a proprie spese, ove non disposta dalla Commissione.  

Informazione e servizi di accoglienza ai valichi di frontiera: è introdotto il nuovo art. 10 bis del d. lgs. n. 25/2008 che garantisce al richiedente che ha manifestato la volontà di chiedere protezione internazionale ai valichi di frontiera e nelle zone di transito il diritto all’informazione sulla procedura, e sui suoi diritti e doveri, nonchè l’accesso ai valichi di frontiera dei rappresentanti dell’UNHCR, e di enti di tutela dei titolari di protezione internazionale con esperienza consolidata nel settore. In talune circostanze, temporalmente limitate, tale accesso può essere limitato per motivi di sicurezza, ordine pubblico o per ragioni connesse alla gestione amministrativa, purchè non sia completamente impedito. 

Colloquio personale: il colloquio personale può essere registrato con mezzi meccanici. 

Si precisa che il colloquio deve assicurare al richiedente la possibilità di esporre in maniera esauriente tutti gli elementi a sostegno della sua domanda e che l’avvocato del richiedente ammesso ad assistere al colloquio può chiedere di prendere visione del verbale, di acquisirne copia e che il richiedente asilo deve avere una copia del verbale e ha diritto di fare inserire eventuali osservazioni. 

Inoltre al fine di dare effettiva attuazione all’art. 16 della direttiva 2013/32/UE, nella lett. m), n. 1) il comma 1-bis dell’art. 13 del decreto legislativo n. 25/2008, introdotto per effetto del decreto legislativo in esame, deve essere interpretato nel senso che anche che nel colloquio è assicurata al richiedente la possibilità di spiegare l’eventuale assenza di elementi o le eventuali incoerenze o contraddizioni delle sue dichiarazioni. 

Il colloquio, come si è sopra evidenziato, può essere registrato e in tal caso deve essere fatta una trascrizione che deve essere inviata al richiedente e al suo difensore. Peraltro al fine di dare completa ed effettiva attuazione all’art. 17, parr. 5 e 7 della direttiva 2013/32/UE, nella lett. n), n. 2) del decreto legislativo il comma 2-bis dell’art. 14 del decreto legislativo n. 25/2008, introdotto dal decreto legislativo in esame, deve essere interpretato nel senso che il richiedente e il suo avvocato devono ricevere la trascrizione della registrazione prima che la Commissione adotti la sua decisione e che entro un termine dal ricevimento della trascrizione, espressamente indicato in calce al testo trascritto, il richiedente può fare pervenire alla Commissione osservazioni su eventuali errori di traduzione o malintesi contenuti nella trascrizione.  

E’ introdotta una nuova ipotesi in cui la Commissione territoriale può decidere di omettere l’audizione del richiedente, ovvero qualora questi provenga da uno dei Paesi eventualmente individuati dalla Commissione Nazionale e ritenga di avere sufficienti motivi per riconoscergli lo status di protezione sussidiaria. In tal caso la Commissione ne dà comunicazione al richiedente, il quale entro tre giorni può comunque chiedere di sostenere il colloquio, ed in mancanza di comunicazione, la Commissione territoriale adotta la decisione.  

Colloquio del minore: l’audizione del minore deve avvenire alla presenza di un componente della Commissione con specifica formazione, alla presenza del genitore, ed alla presenza di eventuale personale di sostegno. Si prevede poi che il minore, dopo essere stato ascoltato alla presenza del genitore o del tutore, può essere nuovamente ascoltato da solo se la Commissione ritiene che ciò sia necessario in relazione alla sua situazione personale e nel suo esclusivo interesse. 

Verbale del colloquio personale: si precisa che il richiedente ha facoltà di formulare osservazioni che sono riportate in calce al verbale. Il richiedente può far annotare in calce al verbale – di cui gli è data lettura tramite interprete – le proprie osservazioni, anche facendo rilevare eventuali errori di traduzione o di trascrizione, anche con l’assistenza del proprio avvocato presente al colloquio. Ogni ulteriore osservazione può essere fatta valere in sede giurisdizionale. Si prevede inoltre che il colloquio può essere registrato e che la registrazione può essere acquista in sede di ricorso giurisdizionale. Ove la registrazione sia trascritta, non è richiesta la sottoscrizione del richiedente. 

Allontanamento ingiustificato dall’accoglienza: il nuovo art. 23 bis del d. lgs. n. 25/2008 dispone che nelle ipotesi in cui il richiedente si allontana in modo ingiustificato dalla struttura di accoglienza ovvero si sottrae alla misura del trattenimento senza aver sostenuto il colloquio la Commissione territoriale sospenda l’esame della domanda per 12 mesi. L’esame della domanda può essere riattivato dal richiedente, una sola volta, entro 12 mesi dalla sospensione, diversamente, la Commissione territoriale dichiara l’estinzione del procedimento e la domanda di riapertura eventualmente presentata successivamente è trattata come domanda reiterata ed in quanto tale sottoposta ad esame preliminare da parte del Presidente della Commissione territoriale, che valuta, ai fini dell’ammissibilità della domanda, anche le ragioni dell’allontanamento.  

Termini per la decisione della Commissione territoriale: si fissa in sei mesi il termine massimo per l’adozione della decisione da parte della Commissioni territoriale. Tale termine è prorogato di nove mesi quando l’esame della domanda richiede la valutazione di questioni complesse, quando è presentato simultaneamente un numero elevato di domande e quando il ritardo è da attribuire all’inosservanza degli obblighi di cooperazione a carico del richiedente. In casi eccezionali, il termine può essere ulteriormente prorogato di tre mesi. 

Nei casi in cui è avviato il procedimento per l’accertamento dello Stato UE competente all’esame della domanda ai sensi del regolamento UE n. 604/2013 i termini per l’adozione della decisione decorrono dal momento in cui è accertata la competenza.  

Si deve peraltro osservare che al fine di evitare l’elusione dell’art. 31, par. 3, lett. b) della direttiva 2013/32/UE, nell’art. 24, comma 1, lett. t), il comma 3, lettera b) dell’art. 26 del decreto legislativo n. 25/2008, modificato dal decreto legislativo in esame, deve essere interpretato nel senso che nell’ipotesi indicata nella lettera b) il termine di conclusione dell’esame delle domande possa essere differito soltanto qualora le domande simultanee di protezione internazionale presentate alla medesima Commissione territoriale rendano praticamente molto difficile il rispetto del termine di sei mesi, anche dopo il provvedimento del Presidente della Commissione nazionale che abbia riassegnato la competenza all’esame delle domande ai sensi dell’art. 4, comma 5-bis dello stesso decreto legislativo n. 25/2008. 

Esame prioritario delle domande: si modifica l’art. 28 del d.lgs. n. 25/2008, che prevede i casi in cui le domande di protezione internazionale sono esaminate in via prioritaria dalla Commissione territoriale, prevedendo che, tra le domande presentate da persone vulnerabili, è privilegiata, innanzitutto, la trattazione della domanda del minore. Si conferma la trattazione, in via prioritaria, delle domande palesemente fondate e delle domande presentate da persone in stato di trattenimento, e si aggiunge a tali ipotesi quella della domanda presentata da una persona proveniente dai Paesi compresi nell’elenco redatto dalla Commissione nazionale che indica quelli in cui è possibile il riconoscimento dello status di protezione sussidiaria anche omettendo il colloquio. Il presidente della Commissione territoriale, ai fini della organizzazione dei lavori della Commissione, individua i casi sottoposti a procedura prioritaria e/o accelerata.  

Procedure accelerate: il nuovo art. 28 bis del d.lgs. n. 25/2008 stabilisce procedure accelerate di esame della domanda. 

Si tratta di procedure che si differenziano da quella ordinaria soltanto per la previsione di termini più brevi per la convocazione al colloquio e per l’adozione della decisione da parte della Commissione. Le garanzie della procedura ordinaria rimangono imprescindibili anche in questi casi in cui sono previsti termini più brevi. Rispetto alla disciplina vigente rimangono invariati i termini già previsti per la procedura di esame della domanda presentata da un richiedente trattenuto in un centro di identificazione ed espulsione: sette giorni per l’audizione e due giorni per la decisione della Commissione.  

La nuova disciplina prevede l’esame accelerato anche delle domande manifestamente infondate, delle domande reiterate nonché delle domande presentate dal richiedente fermato per aver eluso i controlli di frontiera o comunque in condizioni di soggiorno irregolare, quando si presume che la domanda miri esclusivamente a ritardare o impedire l’esecuzione di un provvedimento di espulsione. In queste nuove ipotesi di procedura accelerata, tuttavia, i termini sono raddoppiati rispetto a quelli previsti per l’esame della domanda di un richiedente trattenuto in un centro di identificazione ed espulsione. 

Peraltro anche in tali casi i termini possono essere superati allorché sia necessario per assicurare un esame adeguato e completo delle domande, fatti salvi i termini massimi e le proroghe massime delle procedure ordinarie (peraltro i termini delle proroghe sono ridotti ad un terzo per i richiedenti trattenuti in un CIE).  

Esame preliminare delle domande reiterate: si introduce, nell’art. 29 d. lgs. n. 25/2008, un esame preliminare per le domande reiterate. Si tratta delle domande presentate dal richiedente già riconosciuto come rifugiato da uno Stato firmatario della Convenzione di Ginevra e delle domande riproposte dopo la decisione della Commissione territoriale senza che siano addotti nuovi elementi. Tali domande sono dichiarate inammissibili, come già previsto dalla disciplina vigente, ma si prevede un esame preliminare, affidato al Presidente della Commissione territoriale. In sede di esame preliminare è prevista l’audizione del richiedente già riconosciuto come rifugiato da un altro Paese, mentre in caso di domanda reiterata è prevista la possibilità per il richiedente di presentare osservazioni a sostegno dell’ammissibilità della domanda. 

Ricorsi giurisdizionali e termini processuali: sono individuati nuovi criteri di competenza territoriale per la proposizione del ricorso avverso la decisione negativa della Commissione territoriale, individuati nel Tribunale in composizione monocratica del capoluogo del distretto di corte d’appello in cui ha sede la Commissione territoriale o la sezione che ha pronunciato la decisione, ovvero, se il richiedente è accolto in strutture governative o nello SPRAR nel Tribunale in composizione monocratica che ha sede nel capoluogo del distretto di Corte di Appello in cui ha sede la struttura o il centro. 

Si inserisce nell’art. 35 del d. lgs. n. 25/2008 un nuovo comma che prevede che i provvedimenti con cui è decisa l’istanza cautelare in sede di ricorso giurisdizionale avverso le decisioni della Commissione territoriale o nazionale così come l’ordinanza con cui è definito il medesimo ricorso giurisdizionale sono tempestivamente trasmessi dalle Commissioni, a cui sono comunicati dalla cancelleria del Tribunale, al questore del luogo di domicilio del ricorrente per gli adempimenti conseguenti. 

Si modifica l’art. 19 del d. lgs. 1°settembre 2011, n. 150, che disciplina del ricorso giurisdizionale avverso le decisioni delle Commissioni territoriali in materia di riconoscimento della protezione internazionale e della Commissione nazionale per il diritto di asilo. Si tratta prevalentemente di modifiche di coordinamento con la nuova disciplina dell’accoglienza e del trattenimento e con le modifiche del d. lgs. n. 25/2008 che individuano i casi di procedura accelerata per i quali i termini per l’impugnazione sono ridotti della metà.  

Le ipotesi in cui l’effetto sospensivo non è automatico ma consegue, eventualmente, all’accoglimento di apposita istanza cautelare proposta dal ricorrente sono quelle del ricorso proposto dal richiedente nei cui confronti è stato adottato un provvedimento di trattenimento in un centro di identificazione ed espulsione, del ricorso proposto dal richiedente che ha presentato domanda dopo essere stato fermato per aver eluso i controlli di frontiera o comunque in condizioni di soggiorno irregolare e del ricorso proposto avverso il provvedimento che dichiara la domanda inammissibile ovvero la rigetta per manifesta infondatezza.  

Si prevede, inoltre, che il ricorso giurisdizionale, o la presentazione dell’istanza cautelare, avverso il provvedimento con cui la Commissione territoriale dichiara per la seconda volta inammissibile la domanda reiterata non sospende l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato.  

Si specifica che, a cura della cancelleria, sono comunicati alle parti, oltre all’ordinanza che definisce il giudizio, anche il provvedimento adottato in sede cautelare per gli effetti che immediatamente determina sul diritto del ricorrente di rimanere nel territorio nazionale.  

Si fissa il termine di sei mesi per l’esame del ricorso giurisdizionale in primo grado e nei successivi gradi di giudizio. 

Si prevede che il Tribunale decida il ricorso sulla base degli elementi esistenti al momento della decisione senza preclusioni ove gli elementi portati all’attenzione dell’autorità giudiziaria siano diversi rispetto a quelli allegati nel procedimento amministrativo di esame della domanda.  

Tipologia del contenuto:Pubblicazioni//Schede pratiche