La solidarietà non è reato. Archiviate le accuse per i volontari di Trieste

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E’ finalmente giunta all’epilogo finale di chiusura la vicenda giudiziaria che aveva visto coinvolti Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir, indagati per favoreggiamento dell’immigrazione e dell’emigrazione illegale (aggravata dal fine di trarne profitto), per avere offerto aiuto, sostegno logistico ed ospitalità presso la loro abitazione in Trieste a una famiglia di profughi curdi di origine iraniana, composta dai genitori e due bambini, giunti al territorio di Trieste nel luglio del 2019.

Con viva soddisfazione – umana, politica e giuridica – apprendiamo che il G.I.P. del Tribunale di Bologna ha disposto l’archiviazione del segmento di procedimento relativo a questi indagati, accogliendo così la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura felsinea (cui il fascicolo era stato trasmesso dalla Procura di Trieste per competenza territoriale essendo Lorena Fornasir, all’epoca, giudice onorario presso il Tribunale per i minorenni di Trieste).

Febbraio 2021, le perquisizioni

Nel febbraio del 2021, all’alba, era stato perquisito l’appartamento dei due coniugi che avevano così appreso di esser stati oggetto– loro e la loro associazione Linea D’ombra – di attenta investigazione da parte della Procura triestina nell’ambito di una assai più vasta inchiesta relativa ad un’organizzazione transnazionale asseritamente dedita al traffico di migranti attraverso la rotta balcanica. 

La notizia destò notevole scalpore, essendo i due indagati molto noti in Trieste perchè esponenti di primo piano dell’organizzazione di volontariato “Linea d’ombra” nata a Trieste nel 2019 e dedita all’assistenza umanitaria dei migranti stranieri cui, tra l’altro, proprio la coppia medicava le lancinanti ferite ai piedi nella piazza antistante la stazione triestina. Quella vicenda processuale fu subito inquadrata come l’ennesimo caso della c.d. “criminalizzazione della solidarietà” terrestre che andava ad affiancarsi a quella dei soccorsi in mare ad opera delle ONG.

Per ben comprendere le ragioni per cui anche questa storia è finita nel nulla, al pari di altre analoghe, conviene chiarire in termini chiari e accessibili a tutti i motivi che hanno condotto a questo epilogo.

Procura: elementi inidonei a sostenere l’accusa

La Procura bolognese ha chiesto l’archiviazione del procedimento a carico dei due coniugi (intanto il procedimento prosegue per i coindagati che sono accusati anche di reati associativi), a seguito del loro interrogatorio e dopo l’acquisizione, avvenuta ad opera dei difensori, delle dichiarazioni della famiglia aiutata, nonché dopo il deposito di una memoria difensiva. La Procura ha argomentato che gli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari si erano rivelati inidonei a sostenere l’accusa in giudizio: in buona sostanza, le giustificazioni fornite dagli indagati in ordine alle loro condotte accertate hanno consentito di ritenere infondata l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione illegale.

Ha infatti considerato che:

  • non era emerso alcun collegamento tra questi due indagati e gli altri, accusati di aver consentito l’ingresso (ritenuto) illegale in Italia della famiglia curda in questione;
  • dai pedinamenti e dalle altre indagini era emerso che i profughi avevano preso contatto con i coniugi Franchi-Fornasir solo dopo il loro ingresso in Italia;
  • l’interessamento degli indagati era consistito nella solidarietà e nella assistenza materiale/psicologica di primo soccorso, ospitandoli presso la loro abitazione e attivandosi per offrire assistenza legale alla famiglia curda, per accedere alla richiesta di asilo, poi non coltivata per esclusiva scelta dei diretti interessati;
  • Gian Andrea Franchi si è adoperato per accompagnare i migranti presso la stazione di Trieste e li ha aiutati nell’acquisto del biglietto ferroviario per Milano, quindi entro il territorio nazionale. Solo poi la famiglia aveva deciso di trasferirsi in Germania presso loro congiunti;
  • è stato escluso ogni fine di lucro ( che peraltro in Italia, purtroppo diversamente da altri paesi, non è elemento costitutivo del reato di favoreggiamento dell’immigrazione/emigrazione illegale, ma è una circostanza aggravante): la somma di 800 € inviata tramite money transfer al nucleo familiare curdo era stata riscossa da parte di Gian Andrea Franchi,  ma era stata consegnata interamente all’effettivo destinatario, che non avrebbe potuto ritirarla perché sprovvisto dei necessari documenti identificativi.

Conclusivamente la richiesta di archiviazione è stata avanzata per infondatezza degli elementi d’accusa sotto il profilo sia dell’elemento oggettivo del reato sia del dolo.

La richiesta della Procura è stata condivisa dal G.I.P. che ha pertanto disposto l’archiviazione, sottolineando che l’acquisto di un biglietto ferroviario per una destinazione interna non comporta di per sé il favoreggiamento del “transito” verso il territorio di altro stato.

Letta partendo dalla fine, questa vicenda pare modesta, ed il suo felice epilogo del tutto evidente.

Una riflessione s’impone

Innanzitutto, pare rilevante osservare che l’archiviazione è stata disposta perchè, dal punto di vista oggettivo, la condotta posta in essere dai coniugi Franchi e Fornasir non integra, di per sé, alcun reato: cioè a dire che aiutare e curare i profughi, rifocillarli, fornire loro sostegno psicologico, consulenza materiale e giuridica, aiutarli a spostarsi sul territorio italiano tramite mezzi pubblici e alla luce del sole non è reato. E non lo è nemmeno ritirare denaro per loro conto, al fine di consentirgli di fare fronte alle elementari esigenze di vita. Non è reato perché non vi è alcuna violazione della normativa amministrativa volta alla disciplina dell’immigrazione dettata dal Testo unico delle leggi sull’immigrazione emanato con il D. Lgs. n. 286/1998: pare utile evidenziare che il favoreggiamento si configura solo se l’aiuto è volto all’ingresso illegale. I migranti provenienti dalla rotta balcanica o dal Mediterraneo hanno diritto ad accedere alle procedure di protezione: il che non è affatto illegale, ma costituisce l’unico modo per chiedere asilo nella “fortezza Europa”, dunque per esercitare un diritto soggettivo perfetto e preesistente rispetto all’approdo, garantito da norme sovranazionali vincolanti per l’Italia, oltre che dalla nostra carta costituzionale. 

I magistrati hanno potuto risolvere favorevolmente il caso anche senza ricorrere alla c.d. “scriminante umanitaria”, pur prevista all’art. 12, co. 2, del testo unico delle leggi sull’immigrazione emanato con il D. Lgs. n. 286/1998, che, essendo una causa di giustificazione (peraltro ampia), presuppone comunque la configurazione oggettiva di una condotta illecita. Questa, tuttavia, in concreto non è punibile se ricorrono le condizioni previste espressamente in tale disposizione normativa (attività di soccorso e assistenza umanitaria degli stranieri in condizione di bisogno comunque – quindi anche illegalmente – presenti sul territorio italiano). Nel caso in esame si è appurato che non esistevano i presupposti, sia dal punto di vista oggettivo che da quello soggettivo, per l’esercizio dell’azione penale.

Tutto bene quel che finisce bene. Però restano considerevoli i costi, anche solo in termini umani, derivanti da due anni di sottoposizione ad indagini per un reato grave, patiti da due persone, le quali, dopo aver maturato varie esperienze di vita e di agire politico, hanno scelto di fare dell’aiuto solidale ai migranti la loro ragione di vita e di attività politica. Eppure, si tratta di cittadini italiani che hanno potuto sentire la solidarietà dei tanti loro compagni di strada, e, soprattutto, hanno potuto essere ottimamente assistiti da due avvocate specializzate in diritto degli stranieri: Caterina Bove del Foro di Trieste e Maria Virgilio di Bologna. 

Ma quando in una vicenda analoga inciampa un giovane migrante, magari assistito da un difensore d’ufficio poco avvezzo alla materia, l’epilogo non è così lineare. A cominciare dalla custodia cautelare in carcere, nel caso in esame opportunamente mai disposta.

Allora questa vicenda dovrebbe indurre a riflettere, anche tra gli operatori del diritto, non solo circa la struttura stessa delle norme penali in tema di migrazione e di tutto l’apparato penalistico repressivo, ma anche sull’uso e l’interpretazione talora “disinvolta” di norme come quella contestata nel caso in esame, e in tanti altri casi inerenti il favoreggiamento via mare che, fino ad ora, ancora pendono nella fase delle indagini preliminari.

La vicenda suggerisce altresì alle Procure della Repubblica e alle forze di polizia che vigilano sulle frontiere marittime e terrestri di dare sempre una interpretazione restrittiva e costituzionalmente orientata delle norme penali incriminatrici, che non ammette la criminalizzazione della solidarietà sociale che è dovere costituzionale di ogni cittadino previsto nell’art. 2 Cost. e prevede il diritto di asilo nel territorio della Repubblica a qualsiasi straniero al quale, nel proprio Paese, non sia garantito l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, il che comporta il diritto soggettivo perfetto di entrare nel territorio italiano per potere presentare la domanda di asilo.

La vicenda infine conferma l’irrazionalità dell’attuale disciplina dell’immigrazione e dell’asilo prevista a livello italiano ed europeo che impedisce di fatto e di diritto a familiari di vivere insieme regolarmente fin da subito nel medesimo Stato e li costringe ad immigrazioni in condizioni difficili o illegali, molto lunghe, faticose e rischiose.

Foto tratta dalla pagina facebook di Linea D’Ombra

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