Espulsione a titolo di misura di sicurezza

Tipologia del contenuto:Pubblicazioni//Schede pratiche

Scheda a cura di Sergio Romanotto e Paolo Bonetti – aggiornata al 29.09.2009

Sommario

  1. Presupposti

      1.1.   I reati, la pericolosità sociale e i limiti.

      1.2. La revisione della pericolosità sociale e la revoca dell’espulsione misura di sicurezza.

  • Modalità e tempi di esecuzione.
  • Divieto di reingresso dell’espulso e trasgressione del divieto di reingresso dell’espulsione disposta dal giudice

1. Presupposti

1.1. I reati, la pericolosità sociale e i limiti.

L’espulsione dello straniero extracomunitario dal territorio dello Stato a titolo di misura di sicurezza dello straniero è ordinata dal giudice in diverse ipotesi previste dalla legge nelle quali lo straniero è stato contestualmente condannato per aver commesso determinati delitti:

1.   condanna alla pena della reclusione non inferiore a 2 anni (art. 235 cod. pen., come modificato dal D. L.  23 maggio 2008, n. 92);

2.     condanna per uno dei delitti previsti dal libro II titolo I del codice penale (delitti contro la personalità dello Stato) (art. 312 cod. pen.);

3.     condanna per uno dei delitti previsti dagli artt. 73 (Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope), 74, 79 e 82, commi 2 e 3, del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei re);

4.     condanna per uno degli altri delitti previsti dallo stesso testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, come modificato dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49 (art. 86, comma 2, D.P.R. n. 309/1990);

5.    condanna per uno dei reati indicati negli artt. 380 e 381 cod. proc. pen. per i quali è consentito l’arresto obbligatorio o facoltativo in flagranza (art. 15 testo unico delle disposizioni legislative concernenti disciplina dell’immigrazione e condizione dello straniero, approvato con D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286  – di seguito indicato come “T.U.” -). Si tratta ormai di norma residuale per i reati gravi per i quali non sia stata disposta la condanna ad una pena di almeno 2 anni di reclusione ai sensi del nuovo art. 235 cod. pen.

Nelle prime tre ipotesi il giudice dovrebbe disporre l’espulsione obbligatoriamente mentre nelle altre due tale potere potrebbe essere discrezionale, ma la Corte costituzionale con la sent. 24 febbraio 1995, n. 58 ha ribadito che tutte le espulsioni a titolo di misura di sicurezza disposte nei confronti degli stranieri rientrano nel sistema generale delle misure di sicurezza che dal 1986 possono essere applicate dal giudice soltanto dopo che sia stata verificata la pericolosità sociale.

In realtà ogni tipo di espulsione disposta a titolo di misura di sicurezza, proprio in quanto misura di sicurezza personale:

1.     è sempre eseguita dopo che lo straniero ha scontato la pena detentiva a lui inflitta;

2.    è subordinata, oltre che alla commissione di uno dei reati sopra elencati, all’accertamento della pericolosità sociale dello straniero da espellere. La pericolosità sociale del soggetto consiste in un giudizio di probabilità che egli commetta nuovi reati e deve essere dedotta da alcuni indici previsti dal codice penale ed in particolare: dai motivi a delinquere e dal carattere del reo, dalla sussistenza di precedenti penali e giudiziari, dalla condotta contemporanea o susseguente al reato e dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale dello straniero;

3.    può essere revocata dal magistrato di sorveglianza qualora venga meno la presunzione di pericolosità sociale del soggetto;

4.    non può essere disposta in caso di sospensione condizionale della pena, poiché in base all’art. 164, comma 1 cod. pen. in tale caso il giudice ha già valutato che si presume che il colpevole si asterrà dal commettere nuovi delitti, il che comporta l’insussistenza attuale della pericolosità sociale del condannato (Cass. pen., sez. IV, sent. 18 febbraio 1999, n. 11167; Cass. pen., sez. VI, sent. n. 17183/2007)

5.     non può essere irrogata nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti qualora la pena concordata sia contenuta nei due anni di reclusione (cd “patteggiamento tradizionale”), poiché in tali casi l’art. 445, comma 1 cod. proc. pen. prevede la non applicabilità delle misure di sicurezza ad eccezione della confisca.. Peraltro la giurisprudenza afferma che in tal caso il giudice che applica la pena patteggiata deve trasmettere gli atti al Prefetto affinché disponga, una volta passata in giudicato la sentenza, il provvedimento amministrativo di espulsione (Cass. pen., sez. IV, n. 266/1993, Cass. pen., sez. VI, n. 3987/1996).

L’espulsione a titolo di misura di sicurezza può invece essere irrogata a seguito di giudizio definito con “patteggiamento allargato”, cioè quando la pena sia stata concordata in misura superiore ai due anni ed inferiore ai cinque.

In tal senso si è infatti espressa la Corte di Cassazione affermando l’inapplicabilità delle misure di sicurezza (e dunque anche dell’espulsione a titolo di misura di sicurezza) nei soli casi in cui la pena “patteggiata” non superi i due anni di pena detentiva soli o congiunti a pena pecuniaria, poiché nessuna esclusione è stata introdotta dal legislatore nel “patteggiamento allargato”, con la conseguenza che risultano applicabili in tale ultima ipotesi anche le misure di sicurezza e le pene accessorie non automatiche e rimesse alla valutazione discrezionale del Giudice. (Cass. Sez. VI, sent. n. 10857/2007).

Anche in base a tale principio la giurisprudenza ha avuto modo di affermare  che l’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato a pena espiata, prevista per i reati di spaccio di sostanze stupefacenti dall’art. 86, comma primo, D.P.R. n. 309/1990, può essere applicata anche a seguito dell’applicazione di pena fino a 5 anni di reclusione disposta a seguito di patteggiamento “allargato”, ai sensi degli artt. 444, comma primo, cod. proc. pen. (novellato dall’art. 1 legge n. 134/2003) e 445, comma primo, cod. proc. pen., Permane in ogni caso per il Giudice di merito, in virtù della sentenza n. 58/1995 della Corte Costituzionale, l’obbligo di accertare la sussistenza in concreto della pericolosità degli imputati (Cass., sez. VI, 12 giugno 2006, n. 34438 Mahoubi e altro).

     Non si applicano all’espulsione a titolo di misura di sicurezza i divieti di espulsione indicati nell’art. 19, comma 2 T.U., trattandosi di misura che può essere disposta anche nei confronti di straniero regolarmente soggiornante e anche se convivente con familiare italiano, poiché si tratta di straniero che ha commesso un delitto che ne rivela una particolare attitudine a delinquere e così ha violato il dovere di astenersi dal commettere delitti provocando la reazione dell’ordinamento giuridico (Cass. pen., sez. I, sent. 12 giugno 2007, n. 34562).

Peraltro soltanto in casi gravi si potrebbe disporre l’espulsione a titolo di misura di sicurezza nei confronti di straniero che abbia ottenuto lo status di rifugiato (così prevede anche la Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato) o lo status di protezione sussidiaria ai sensi del D. Lgs. n. 251/2007. Infatti lo straniero che abbia ottenuto lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria: sono espellibili soltanto quando a) sussistono motivi per ritenere che lo straniero rappresenti un pericolo per la sicurezza dello Stato; b) lo straniero rappresenta un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica, essendo stato condannato con sentenza definitiva per un reato per il quale è prevista la pena della reclusione non inferiore nel minimo a quattro anni o nel massimo a dieci anni e fermo restando il divieto di espulsione verso un Paese in cui lo straniero non vede effettivamente tutelati i suoi diritti (art. 20 D. Lgs. n. 251/2007). Tale limite riguarda tutti i tipi di espulsione e dunque anche l’espulsione a titolo di misura di sicurezza.

In ogni caso il divieto di espulsione previsto dall’art. 19, comma 1 T.U. riguardante lo straniero che nel Paese di invio possano essere oggetto di persecuzioni per motivi razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali ovvero possa rischiare di essere rinviato in un altro Stato in cui non sia protetto dalla persecuzione deve ritenersi esteso anche all’espulsione a titolo di misura di sicurezza, essendo un’attuazione del divieto di espulsione derivante dall’inderogabile divieto dello Stato di sottoporre la persone a torture o pene o trattamenti inumani o degradanti, fondato sull’art. 3 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo, ancorché si tratti di persone pericolose. (si veda la scheda sui divieti di espulsione)

1.2. La revisione della pericolosità sociale e la revoca dell’espulsione misura di sicurezza.

Poiché l’espulsione a titolo di misura di sicurezza deve essere collocata nel sistema generale delle misure di sicurezza, essa può essere applicata dal giudice all’atto di applicazione della pena soltanto dopo che sia stata verificata la pericolosità sociale del soggetto ed è successivamente revocata se il giudizio di pericolosità viene meno.

Competente a disporre la revoca dell’espulsione a titolo di misura di sicurezza è il Magistrato di Sorveglianza (art. 69 Legge n. 354/1975, come modificato dall’art. 21 Legge 663/1986) che può farlo sia autonomamente, sia su istanza del Pubblico Ministero, dell’interessato o del suo difensore (art. 679 cod. proc. pen.).

Contro i provvedimenti adottati dal Magistrato di Sorveglianza i soggetti sopra indicati possono proporre appello al Tribunale di sorveglianza, ma l’appello non ha effetto sospensivo, salvo che il tribunale disponga altrimenti (art. 680 cod. proc. pen.)

2. Modalità e tempi di esecuzione.

L’art. 15 comma 1-bis del T.U. stabilisce che “della emissione del provvedimento di custodia cautelare o della definitiva sentenza di condanna ad una pena detentiva nei confronti di uno straniero proveniente da Paesi extracomunitari viene data tempestiva comunicazione al questore ed alla competente autorità consolare al fine di avviare la procedura di identificazione dello straniero e consentire, in presenza dei requisiti di legge, l’esecuzione della espulsione subito dopo la cessazione del periodo di custodia cautelare o di detenzione”.

Tale norma introduce un obbligo di comunicazione tra autorità giudiziaria e amministrativa che, pur non riferendosi alla sola ipotesi di espulsione a titolo di misura di sicurezza (sarebbe infatti altrimenti incomprensibile il richiamo ai provvedimenti di custodia cautelare posto che, come visto, la misura viene applicata solo successivamente con sentenza) influisce sulle modalità di esecuzione della stessa.

Il nuovo testo degli artt. 235 e 312 cod. pen., introdotti dal D.L. n. 92/2008, prevedono che all’esecuzione della misura dell’espulsione a titolo di misura di sicurezza provvede coattivamente il questore con accompagnamento alla frontiera ai sensi dell’art. 13, comma 4 T.U.

L’esecuzione avviene alla fine dell’espiazione della pena detentiva o dopo che essa sia stata estinta ovvero, qualora la sentenza non preveda la pena detentiva, dopo che sia divenuta irrevocabile la sentenza di condanna (art. 211 cod. pen.)

Il pubblico ministero presso il giudice di primo grado o il giudice di appello trasmette gli atti al pubblico ministero presso il magistrato di sorveglianza del luogo in cui lo straniero si trova detenuto o, se non detenuto, del luogo in cui risiede (art. 658 cod. proc. pen.) e il magistrato di sorveglianza, su richiesta del pubblico ministero o di ufficio, accerta se l’interessato è persona socialmente pericolosa e adotta i provvedimenti conseguenti (art. 679 cod. proc. pen.).

Il provvedimento relativo all’espulsione a titolo di misura di sicurezza è eseguito dal pubblico ministero presso il giudice di sorveglianza che l’ha adottato. Il pubblico ministero comunica in copia il provvedimento all’autorità di pubblica sicurezza e, quando ne è il caso, emette ordine di esecuzione, con il quale dispone la consegna dell’interessato (art. 659 cod.proc. pen.)

3. Divieto di reingresso dell’espulso e trasgressione del divieto di reingresso dell’espulsione disposta dal giudice

Lo straniero espulso dal giudice a titolo di misura di sicurezza  non può rientrare in Italia per un periodo di 10 anni, salvo che nel decreto di espulsione sia disposto un termine più breve, in ogni caso non inferiore a 5 anni, tenuto conto della complessiva condotta tenuta dall’interessato nel periodo di permanenza in Italia (art. 13, commi 13, 13-bis, 14 T.U.). (Per approfondimenti e per le ipotesi di reingresso regolare dello straniero già espulso si veda la scheda “Divieti di reingresso”)

In caso di trasgressione di tale divieto gli artt. 13, commi 13-bis e ter T.U. prevedono che lo straniero sia arrestato anche fuori della flagranza del fatto e che si proceda nei suoi confronti con rito direttissimo.

Sono previste pene aggravate rispetto a quelle previste per il rientro illegale dello straniero espulso con provvedimento amministrativo: da 1 a 4 anni di reclusione e da 1 a 5 anni di reclusione se lo straniero espulso, già denunciato per il reingresso illegale, abbia fatto reingresso sul territorio nazionale.

Peraltro ora anche gli artt. 235 e 312 cod. pen., come modificati dal D.L. n. 92/2008  prevedono entrambi, al secondo comma, che il trasgressore all’ordine di espulsione disposto dal giudice sia punito con la reclusione da uno a quattro anni: per tali reati è prescritto l’arresto obbligatorio e il processo direttissimo.

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