Agadez: frontiera d’Europa

Agadez: frontiera d’Europa

Uno sguardo alle politiche di esternalizzazione della Ue attraverso il caso Niger e l’implementazione della l. 36/2015

 

L’11 e il 12 novembre 2015 si è tenuto a La Valletta (Malta), un vertice che ha visto riunirsi i capi di Stato e di Governo dell’Unione europea e di diversi paesi africani (dunque dei paesi d’origine, di transito e di destinazione dei flussi migratori), con lo scopo dichiarato di rafforzare la reciproca collaborazione e cooperare al fine di affrontare le cause dell’immigrazione dall’Africa verso l’Europa e combattere il traffico di esseri umani[1].

L’iniziativa segue le conclusioni del Consiglio europeo straordinario del 23 aprile 2015 e si inserisce all’interno del più ampio quadro politico e istituzionale volto ad implementare la “comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni” del 13.5.2015, meglio nota come Agenda europea delle migrazioni[2].

All’esito, come noto, la Commissione europea ha istituito il “Fondo fiduciario di emergenza dell’Unione europea per la stabilità e la lotta contro le cause profonde della migrazione irregolare e del fenomeno degli sfollati in Africa”, e si è provveduto a porre le basi per l’adozione di un Piano d’azione per intensificare la cooperazione UE-Africa in materia di migrazione[3].

Tra i beneficiari del Fondo fiduciario figura anche il Niger, di cui l’Unione europea costituisce il principale finanziatore a livello internazionale.

Ne consegue la grande incisività delle scelte politiche dell’Unione europea nel condizionare le iniziative economiche, sociali, politiche, legislative ed istituzionali di tali Paese, incisività che si esprime attraverso il cd. principio di condizionalità, in base al quale l’elargizione di risorse economiche è subordinata all’attuazione da parte del paese beneficiario di politiche che ottengano il previo assenso da parte del donatore[4].

Una delle precondizioni politiche affinché il Niger potesse usufruire delle risorse messe in campo dalla Unione europea è stata la approvazione, da parte  dell’Assemblea Nazionale del Niger, su proposta del Governo dello stesso Paese, della L. 2015-36 relativa al traffico illecito di migranti.

La legge, il cui testo si rende reperibile[5], è costituita da 39 articoli, distinti in 5 capitoli.

Il primo capitolo (artt. da 1 a 5) contiene gli obiettivi, l’ambito di applicazione, le principali definizioni legali, il principio di applicabilità della legge secondo il principio di non discriminazione e i limiti della giurisdizione nigerina. In questo ambito è definito come traffico illecito di migranti (articolo 3), ai sensi della legge in esame, il “garantire, al fine di assicurarsi, direttamente o indirettamente, vantaggio finanziario o altro vantaggio materiale, l’ingresso illegale nello Stato da parte di una persona che non è né un cittadino né un residente permanente di tale Stato”.

Il capitolo secondo (artt. da 6 a 9) attiene alle tecniche di indagine, specificandosi in particolare la possibilità di utilizzare, tra i metodi di contrasto ai reati previsti dalla legge, la figura del cd. agente provocatore.

Il capitolo terzo (arrt. da 10 a 24) individua le pene e le sanzioni da comminarsi in relazione alle fattispecie di reato, le circostanze aggravanti dei reati, la possibilità che venga rilasciato un titolo di soggiorno al migrante che collabori nella individuazione dei responsabili del reato.

Il capitolo quarto (artt. da 25 a 30) individua gli organi nazionali di coordinamento al contrasto del traffico illecito di migranti e di cooperazione internazionale.

Il capitolo quinto (artt. da 31 a 38) contiene le norme relative alle procedure di rimpatrio dei migranti irregolari.

Il capito sesto (art. 39) contiene una norma finale relativa all’entrata in vigore della legge.

Nel corso della visita in Niger compiuta da Asgi nel mese di novembre 2018, la legge di cui sopra veniva spesso denominata, anche da soggetti che ricoprivano o avevano ricoperto importanti incarichi istituzionali del Niger, come “Legge  La Valletta”, e a ogni livello (sia negli incontri con le organizzazioni indipendenti della società civile, sia in ambiti meno formali) la stessa è percepita come evidente applicazione della volontà degli Stati membri dell’Unione europea di limitare il flusso di persone dal Niger verso la Libia e l’Algeria, con destinazione finale l’Europa[6].

Di seguito proveremo a fornire un quadro di quanto osservato e delle conseguenze che, in Niger, le politiche di esternalizzazione della Unione europea stanno determinando in particolare modo attraverso l’implementazione della citata legge sul contrasto al traffico illecito di migranti.

L’esternalizzazione del controllo delle frontiere e del diritto dei rifugiati può essere definito come l’insieme delle azioni economiche, giuridiche, militari, culturali, prevalentemente extraterritoriali, poste in essere da soggetti statali e sovrastatali, con il supporto indispensabile di ulteriori attori pubblici e privati, volte ad impedire che i migranti (e, tra essi, i richiedenti asilo) possano entrare nel territorio di uno Stato al fine di usufruire delle loro giurisdizioni o comunque volte a rendere legalmente e sostanzialmente inammissibili il loro ingresso o una loro domanda affinché non siano considerate individualmente le conseguenti istanze di protezione sociale e/o giuridica.

E’, dunque, un meccanismo complesso che vede al lavoro differenti attori, sia pure su piani certamente convergenti. Tra essi, per il ruolo svolto anche con specifico riguardo al Niger, ritroviamo le istituzioni della Ue, i suoi Stati membri, alcuni Stati (per quanto interessa ai fini del presente scritto) africani, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) e l’Organizzazione Internazionale delle mingrazioni (OIM). Ad essi si accompagnano interessi di privati.

Scopo di tale scritto è operare, sia pure in minima parte, una piccola analisi rispetto ad un frammento di tale processo.

Per comprenderne al meglio l’impatto di ordine economico e sociale che la approvazione della legge 2015-36 della Repubblica del Niger ha avuto e continua ad avere sul Niger e sui migranti che ivi transitano, è necessario analizzare il quadro entro cui la riforma del 2015 si è collocata.

Non può, innanzitutto, prescindersi dalla considerazione per la quale le migrazioni da, verso e attraverso il Niger sono un fenomeno secolare che può comprendersi solo guardando alla più ampia regione del Sahel e del Sahara, come disegnata dai confini postcoloniali: essi, infatti, sono stati delineati in maniera da attribuire parti di questa regione a stati indipendenti (Mali, Niger, Libia, Ciad e Sudan) ed hanno contestualmente ridisegnato i rapporti tra tribù, clan e gruppi etnici. In particolare, quanto al Niger, può affermarsi che molti di questi gruppi, specie nel nord del Paese (regione di Agadez) costituivano allora e costituiscono ancora oggi una minoranza nello Stato di nuova creazione. La loro condizione di marginalità geografica (ai confini del deserto) ne ha determinato la posizione storica di svantaggio in termini politici ed economici.

Una delle modalità attraverso le quali si sono potuti arginare gli effetti più gravi della povertà e del clima (la crescente desertificazione e quanto da ciò discendente in capo alle comunità pastorali) è stata nel corso del tempo la migrazione interna e transfrontaliera tra le comunità di tutta la regione del Sahel, ciò che ha notevolmente mitigato gli effetti più deleteri della difficoltà di sostentamento delle persone.

La creazione di una rete transfrontaliera non è stata, dunque, una scelta repentina, quanto lo stratificarsi di una capacità di adattamento rispetto a scelte politiche spesse volte subite che hanno determinato, innanzitutto, l’esistenza e l’uso di reti di parentela in tutta la regione quale elemento che ha contribuito allo sviluppo di vie di comunicazione necessarie allo strutturarsi di reti commerciali.

Il caso della popolazione Tuareg nel nord del Niger (il 10 % della popolazione nigerina) è emblematico: è concentrata quasi esclusivamente nella regione settentrionale del Niger, intorno alle città di Arlit e Agadez, ma le reti familiari e commerciali di tali gruppo si estendono alla Libia, all’Algeria ed al Mali.  Lo stesso può dirsi per la più piccola etnia Tebu, divisa tra Niger, Ciad e Sudan.

L’esigenza di tali minoranze di avere voce nell’ambito del processo decisionale nigerino e nella redistribuzione dei proventi derivanti dalla estrazione e commercializzazione dell’uranio fu alla base, tra il 1990 ed il 1995, prima, e tra il 2007 ed il 2009, poi, delle ribellioni locali contro il governo centrale nigerino.

L’esito di tali ribellioni vide una soluzione (oltre che nell’integrazione nei ranghi militari delle truppe ribelli, in accordi di sviluppo economico regionale e nella decentralizzazione del potere) nella cooptazione di alcune tra le più importanti famiglie delle etnie menzionate all’interno del Governo con posizioni, non a caso, significative, come quelle assunte nell’ambito del Ministero del Turismo nigerino. Questa posizione, come evidente, sottintendeva al controllo non solo del turismo, quanto soprattutto del commercio transfrontaliero di beni leciti ed illeciti (armi e droga, principalmente) e del trasporto (all’epoca lecito) di persone.

In secondo luogo, non può prescindersi dal quadro giuridico e istituzionale all’interno del quale la nuova legislazione nigerina si è inserita.

Facciamo riferimento, in particolare, alla nota circostanza per la quale il Niger è parte della Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (CEDEAO/ECOWAS), accordo di integrazione economica sub-regionale stipulato da quindici stati dell’Africa occidentale nel 1975, con il Trattato di Lagos, e ad oggi in vigore per circa 320 milioni di persone.

Uno degli elementi portanti della Comunità (così come di ogni altra unione economica e sociale) è data dalla promozione della libertà di circolazione di merci e persone. Non a caso il Protocollo sulla libera circolazione delle persone e sul diritto di soggiorno del 1979, addizionale al trattato CEDEAO, fu ratificato nel 1980 dall’unanimità degli Stati Membri. Con esso gli Stati aderenti perseguivano  l’obiettivo di garantire ai tutti i cittadini della CEDEAO il diritto di entrare e di soggiornare (fino a tre mesi) in qualsiasi paese membro senza necessità di visto. Tale diritto è stato esteso e completato dal Protocollo sul diritto di soggiorno (entrato in vigore nel 1986 per tutti gli Stati membri) che ha affermato il diritto dei cittadini della CEDEAO di entrare, soggiornare e stabilirsi negli Stati Membri ai fini di svolgere un’attività lavorativa.

Il Niger, inoltre, è parte dell’UEMOA, ovvero l’Unione economica e monetaria ovest-africana, istituita dal trattato di Dakar del 1994 con lo scopo di attuare l’integrazione economica degli otto Stati che hanno il CFA quale moneta comune, ovvero oltre al Niger, Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea-Bissau, Mali, Senegal e Togo.

La questione della libertà di circolazione nell’ambito dei Paesi della CEDEAO, è quanto mai complessa, se solo si consideri che tale libertà è stata nel corso degli anni limitata (in maniera legale o attraverso una violazione degli accordi) sia in ragione di malattie infettive propagatesi in aree di vaste dimensioni, sia a seguito di controversie di confine tra diversi Paesi aderenti, che hanno proceduto ad espulsioni collettive in spregio agli accordi. Ma la questione è complessa anche perché il relativo diritto alla libertà di circolazione delle persone può facilmente infrangersi sulle carenze degli uffici di stato civile in molti Paesi dell’area (Niger compreso), nonché più in generale, sulla debolezza dello stato di diritto e sui fenomeni corruttivi che assumono caratteri endemici. Vi è quindi la possibilità che le persone possano essere ritenute “irregolari”, ed i trasportatori in Niger, sulla base della legge su indicata, sottoposti a procedimenti penali e misure di confisca dei beni, sulla base del fatto che i soggetti trasportati, pur esercitando nella sostanza un diritto garantito da tali accordi, siano sprovvisti di validi documenti identificativi e di viaggio, e dunque il loro ingresso non possa ritenersi regolare.

Dal punto di vista formale, infatti, dovrebbe considerarsi che ogni cittadino degli Stati della CEDEAO può (similmente ai cittadini dell’Unione europea  nel territorio della stessa Unione) attraversare le frontiere se è in possesso di un passaporto o altro titolo di viaggio riconosciuto e di mezzi di sostentamento e in ognuno di quegli Stati può fermarsi e cercarsi direttamente un lavoro e, conseguentemente, il solo transito che può considerarsi illegale da parte di chi abbia anche un documento di identità riconosciuto a tale titolo  è quello dal Niger verso un Paese esterno alla CEDEAO (come la Libia o l’Algeria). Ma solo il Paese di destinazione, in base alle proprie legislazioni, potrebbe ritenere di sanzionare l’ingresso di stranieri sul proprio territorio e, ciò, solo sulla base della propria legislazione.

Sempre dal punto di vista formale, chi non ha invece né passaporti validi, né mezzi di sostentamento non potrebbe legalmente viaggiare e soggiornare neanche all’interno dei Paesi aderenti alla CEDEAO.

La realtà della situazione, tuttavia, è che il transito di persone provenienti da o diretti verso un altro Paese della CEDEAO si verifica comunemente anche in assenza di idonei titoli di viaggio o di alcun mezzo di sostentamento per una molteplicità di ragioni concorrenti (mancanza di controlli adeguati, morfologia, insofferenza ai confini tracciati durante la fase coloniale,etc.) e che l’esser considerati “regolari” o “irregolari” dipende esclusivamente dall’arbitrio o da indicazioni contenute non solo o non tanto in testi legislativi, quanto in indicazioni da parte delle autorità di pubblica sicurezza della cui terzietà ed indipendenza, stando alle fonti note, è lecito dubitare.

Tali forme di decisione arbitrarie possono riguardare (come di fatto avviene) anche persone perseguitate o che vivono in zone di conflitto, ovvero persone sprovviste di mezzi minimi per ottenere quei documenti e quei mezzi, persone (anche minori di età) vittime di tratta, o comunque persone bisognose di una forma di protezione giuridica e sociale.

Nella prassi, a quanto risulta, quasi la totalità delle misure applicative della l. 36-2015 sono state adottate nel nord del Niger, nella regione di Agadez appunto, e nessuna di esse è stata effettivamente contrastata sul piano giudiziario.

Tale ultimo aspetto è anche molto significativo: a quanto risulta, infatti, in tutto il Niger, che conta 15 milioni di abitanti, vi sono solo poco più di 100 avvocati. L’unico Consiglio di avvocati è quello di Niamey, la capitale, ove risiedono di fatto tutti gli avvocati della nazione. Se ne ha conferma considerando che per la legge locale al fine di formare un consiglio dell’ordine degli avvocati è necessaria la presenza di almeno 6 professionisti e questo numero non è stato ancora raggiunto neanche nell’ambito territoriale della città di Zinder, ove pur esiste un distretto di Corte di Appello. Di fatto nella città di Agadez, che non è sede di Corte di Appello, ma solo del Tribunale di prima istanza, ci risulta operi un solo avvocato, il quale risiede tuttavia a Niamey, ed è difficile immaginare che un migrante o anche un nigerino del nord del Paese abbia la volontà o, comunque, la possibilità di poter pagare una trasferta che prevede un viaggio in auto di almeno un giorno (15 ore di auto) o un volo in aereo di circa 3 ore.

Ne consegue che il mancato contrasto in sede giudiziaria alla confisca di beni o alla detenzione di persone ritenute responsabili di un reato deriva spesso non tanto dalla convinzione che il provvedimento emanato sia corretto, quanto dalla impossibilità di accedere effettivamente alla giustizia. Un commento che abbiamo spesso ascoltato è quello secondo cui le persone arrestate tendono a non preoccuparsi nemmeno del ricorso giurisdizionale o della ricerca di un avvocato, poiché, nella assoluta informalità degli arresti molte persone ritengono più economico ed efficace corrompere la polizia che agire in giudizio.

D’altronde, a quanto riferito, rispetto ai reati introdotti dalla legge del 2015, non è stata pronunciata alcuna condanna definitiva, in quanto sono stati celebrati esclusivamente procedimenti di natura cautelare, che si sono poi conclusi con la liberazione degli indagati, mentre i beni confiscati sono rientrati nel possesso dei proprietari attraverso il pagamento indebito di somme di denaro alla forze di polizia.

Alcuni sviluppi a livello internazionale hanno prodotto un’accelerazione nei processi di ridefinizione delle politiche locali, in conseguenza della pressione sempre maggiore da parte della Unione europea sul Niger come su altri Paesi africani.

In particolare la caduta di Gheddafi nel 2011 ed il successivo accordo UE-Turchia, innestandosi in un quadro istituzionale frammentato dalle guerre nelle regioni di provenienza e di transito tradizionale dei migranti, hanno determinato la preminenza delle rotte dirette verso l’Europa attraverso il Mediterraneo centrale. Conseguentemente il controllo della rotta trans-Sahariana, che collega l’Africa occidentale al Nord Africa e all’Europa attraverso il Niger, è diventato il principale obiettivo della politica estera dell’UE volta a contrastare i flussi migratori. Di conseguenza, si sono intensificate le iniziative in tale senso.

È in tale quadro che si inserisce la già indicata pressione esercitata dall’UE sul Niger che ha portato all’adozione della legge 36-2015 sul traffico illecito di migranti, la quale – in estrema sintesi – istituisce nuove pene ed aumenta vistosamente quelle esistenti per i trafficanti, consentendo il sequestro dei loro veicoli. Aspetto rilevante della legge, infatti, è quello che concentra la propria attenzione sulle attività di “favoreggiamento” della migrazione irregolare, ove si inseriscono anche  le attività poste in essere dalle compagnie di autobus che erano di appannaggio proprio delle organizzazioni militari e paramilitari che, a seguito degli accordi del 1995 e del 2009, avevano seppellito le armi e “riconvertito” le proprie attività strutturando una rete commerciale prima certamente meno capillare e organizzata.

Tuttavia, a quanto risulta dai pochi dati disponibili e dai risultati delle interviste condotte, non pare che i risultati siano quelli sperati. Da un lato, infatti, è possibile affermare che a seguito dell’entrata in vigore della legge 36-2015, la città di Agadez ha visto un processo di impoverimento notevole in quanto è lì che si sono concentrate le attività di controllo volute dalla legge stessa. Agadez, la “porta del deserto”, ha pagato il prezzo di tale legge già all’indomani della sua approvazione. Qui le rotte migratorie costituivano, oramai, la base della economia locale e quella che prima era la principale fonte di sussistenza dell’indotto locale è diventato un fenomeno illegale e, per tale motivo, da rendere non visibile.  Sotto altro punto di vista non pare che i flussi migratori che attraversano il Niger si siano ridotti. A quanto risulta, infatti, dall’adozione della legge alla fine del 2018 le forze di polizia hanno proceduto all’arresto di 47 individui e al sequestro di circa 70 veicoli, ma i flussi migratori non sono affatto diminuiti. Ciò che, invece, si è prodotto, è stata la clandestinizzazione delle attività di trasporto di migranti, le quali sono state a tutti gli effetti integrate nell’ambito delle attività illegali di contrabbando di armi e droga attraverso le rotte immediatamente a nord ed a sud di Agadez.

Ovvia conseguenza di quanto appena riferito è l’aumento della pericolosità dei viaggi, anche considerando che le rotte maggiormente note ai Tuareg e Tube sono quelle che passano per le piste nel deserto da loro stessi costruite nel corso dei decenni lungo i pochi pozzi di acqua potabile, e quelle stesse rotte sono ora sottoposte al controllo degli eserciti dei Paesi europei, degli Stati Uniti e del Canada. Così che le nuove rotte, lontane da quelle tradizionali e quindi anche dai pozzi d’acqua, sono assai più pericolose per le persone trasportate.

Ulteriore aspetto da considerare con riferimento alla legge in questione attiene ancora una volta alla sua concreta applicazione. Per quanto riguarda il superamento del confine verso la Libia, non esistendo praticamente alcun governo in Libia e non avendo la Autorità Nazionale libica formalmente riconosciuta a livello internazionale alcun controllo sul sud del paese, non esiste un sistema di visti libici adeguato a garantire la regolare uscita dal Niger ed il contestuale regolare ingresso in Libia. Dunque, il controllo della frontiera Niger-Libia è affidato alle autorità nigerine, che impediscono agli africani dell’ECOWAS di entrare in Libia, sebbene la destinazione prescelta dai migranti che attraversano il confine libico non sia, in linea di principio, responsabilità del Niger; ciò a conferma del fatto che la legge persegue un interesse estraneo allo Stato nigerino proibendo, di fatto, l’uscita dal Niger, o dall’ ECOWAS, verso Libia.

Non si spiegherebbe altrimenti l’obbligo, sanzionato molto gravemente, posto dalla legge in capo ai trasportatori, persone fisiche o giuridiche, di controllare non solo la identità, ma il possesso dei titoli di viaggio e della documentazione di identità o di viaggio richiesta “per entrare nello Stato di destinazione ed in quelli di transito”. Come se fosse concretamente possibile richiedere ad un operatore commerciale di operare un controllo di tal guisa sostituendosi alle autorità amministrative ordinariamente addette a tali compiti.

Ora, se l’attività commerciale è diventata illegale e punita severamente, anche il migrante è criminalizzato in quanto attraverso la sua ricerca ed il suo rintraccio è possibile giungere ai “trafficanti” attraverso un sistema di delazioni a catena. Ciò che comporta anche restrizioni nella vita dei migranti, oltre che maggiori pericoli e costi più alti. Inoltre, a causa della menzionata assenza di sentenze o decisioni giudiziarie, è anche difficile ricostruire le motivazioni degli arresti. In particolare, a quanto ci è stato riferito molto spesso sono arrestati i migranti, nonostante la legge preveda la sanzione solo per chi offre il trasposto illecito; si tratta quindi di un’applicazione illegittimamente estensiva del reato, che però non è in alcun modo limitata da interventi giurisdizionali e sta di fatto creando una situazione di criminalizzazione del migrante priva di qualsiasi fondamento legislativo.

D’altra parte, le misure previste dalla legge in relazione al divieto di refoulement dei migranti richiedenti asilo, in accordo con la normativa internazionale, sembrano essere, considerata la realtà locale e la possibilità effettiva degli individui di accedere ad una qualche forma di tutela innanzi alle autorità amministrative o giudiziarie, una mera chimera.

A quanto risulta, secondo un documento del Ministero degli Interni nigerino di cui non si ha peraltro disponibilità diretta, 7.681 persone sarebbero state rimpatriate al confine e 1.762 scortate fuori dal paese nel primo semestre del 2017.

Se della attendibilità di tali numeri è lecito dubitare, è facile invece immaginare che la criminalizzazione del trasporto di migranti abbia reso precaria la stessa condizione del migrante in Niger, sia pur proveniente da un Paese membro dell’ECOWAS.

Dunque la criminalizzazione sia dei trafficanti che dei migranti risulta essere innanzitutto irragionevole, in quanto il trasporto di migranti o le attività ad esso connesse (oggi pur perseguibili in ipotesi di favoreggiamento) erano considerate innanzitutto forme di occupazione ordinarie e in linea con la storia locale; ma, anche, “legittime” nel nord come nel sud del Niger, tanto che nel settentrione tali attività hanno contribuito alla fine della guerra interna ed allo sviluppo economico e alla stabilità della Regione. Fino a quando la legge del 2015 non è stata concretamente applicata (ovvero dalla metà del 2016) i migranti viaggiavano apertamente in autobus legalmente gestiti da compagnie private, verso e all’interno del Niger, fino alla città di transito sahariana di Agadez. Da lì, spesse volte a causa della difficoltà delle rotte su camioncini meno confortevoli, si continuava apertamente e non meno legalmente. I conducenti raccoglievano i passeggeri nella stazione degli autobus, quindi unitamente alle scorte armate, ogni lunedì, viaggiavano in relativa sicurezza sino alla loro destinazione in Libia. Ora tutto ciò è diventato illegale e perseguito penalmente. Con quali garanzie per le persone, non è dato sapere.

Ciò che pare certo e che come tale è percepito dalla popolazione nigerina ad ogni livello sociale è che ciò che prima era considerato usuale, normale, lecito, oggi è oggetto di criminalizzazione e che la legge ha rafforzato un sistema di contrabbando consegnando nelle mani dei trafficanti, oltre che armi e droga, anche esseri umani.

 

Dario Belluccio                                                                                        Cristina Laura Cecchini

Giulia Crescini                                                                                         Francesca De Vittor

Salvatore Fachile                                                                                       Lucia Gennari

Loredana Leo                                                                                              Luca Masera

Cesare Pitea


 

[1]    Si veda https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2015/11/11/valletta-summit-press-pack/

[2]    Il testo è reperibile al link https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52015DC0240&from=EN. Si veda, al riguardo, Difendere i diritti delle persone e non le frontiere – Osservazioni e proposte dell’ASGI sull’Agenda europea sulla migrazione, al link https://www.asgi.it/notizie/difendere-i-diritti-delle-persone-e-non-le-frontiere-osservazioni-e-proposte-dellasgi-sullagenda-europea-sulla-migrazione/

[3]    Interessanti i rilievi sui  tempi, modi e contenuti della gestione del fondo per l’Africa (tra i cui finanziatori primeggia anche l’Italia) anche con specifico riguardo ai progetti concernenti il Niger si possono rinvenire nelle specifiche analisi proposte dalla Corte dei conti UE alla fine del 2018pubblicate al link https://www.eca.europa.eu/Lists/ECADocuments/SR18_32/SR_EUTF_AFRICA_IT.pdf

[4]   L’unione Europea elargisce ingenti risorse al Niger, principalmente attraverso i fondi di Eu Trust Fund, tanto che il Niger è strettamente legato alle politiche comunitarie. Si è a parlato molto del legame che si instaura tra il paese beneficiario e il donatore, specialmente quando le risorse economiche sono così frequenti e cospicue, da influenzare scelte governative e politiche di Stati sovrani, arrivando a definire il principio di condizionalità. Si veda, sul punto, Federico Ferri, Convergenza delle politiche migratorie e di cooperazione allo sviluppo dell’Unione europea e accordi con Stati terzi, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2016, Fasc. 3 e 4, pagg. 39 ss, Franco Angeli; Concord Italia, Partnership o condizionalità dell’aiuto? Rapporto di monitoraggio sul Fondo Fiduciario d’Emergenza per l’Africa e i Migration Compact dell’Unione Europea, Novembre 2017, in http://www.concorditalia.org/wp-content/uploads/2017/11/rapporto-completo-EUTF.pdf; Sara Prestianni, La pericolosa relazione tra migrazione, sviluppo e sicurezza per esternalizzare le frontiere in Africa. Il caso di Sudan, Niger e Tunisia, luglio 2018, in https://www.arci.it/documento/la-pericolosa-relazione-tra-migrazione-sviluppo-e-sicurezza-per-esternalizzare-le-frontiere-in-africa-il-caso-di-sudan-niger-e-tunisia/

[5]    La si veda al link  https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2019/05/Loi_N2015-36_relative_au_trafic_illicite_de_migrants.pdf

[6]    E’ doveroso, per chiarezza espositiva, sottolineare che l’approvazione della legge precede di alcuni mesi il vertice de La Valletta. Numerosi interlocutori istituzionali intervistati durante la missione di Asgi in Niger hanno, cionondimeno, affermato che senza l’approvazione di una normativa similare il Niger non avrebbe potuto beneficiare di ingenti fondi i cui stanziamenti sarebbero giunti solo a seguito di più ampie intese a livello internazionale. Per tale motivo le istituzioni del Niger hanno approvato la legge 2015-36 e, successivamente, hanno ottenuto finanziamenti che avrebbero anche dovuto contribuire ad implementarla.