Tribunale di Monza: è discriminatorio negare il diritto di una mamma extracomunitaria alla prestazione del “bonus bebè”

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Il Tribunale di Monza ha ritenuto discriminatoria la condotta del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che pretendeva di ottenere in restituzione da una cittadina sudamericana il “bonus bebè” di 1000 euro che la stessa aveva percepito ai sensi dell’art.1 commi 331-332 L.226/2005).

Si tratta probabilmente dell’ultimo atto di una risalente vicenda passata alle cronache anche per la lettera dell’allora Presidente del Consiglio Berlusconi che invitava le giovani mamme (italiane e straniere) a presentare domanda ignorando che la L. 226 prevedeva effettivamente il requisito della nazionalità e inducendole cosi a indicare sul modulo prestampato la cittadinanza italiana.

Ne erano nati procedimenti penali per false dichiarazioni, azioni di recupero e infine una legge di sanatoria (art. 1 commi 1287-1289 L. 296/06) che tuttavia secondo il MEF non sarebbe stata applicabile al caso di specie, perché applicabile solo ai casi di riscossione della prestazione effettuate entro il 1.1.2007, data di entrata in vigore della legge.

Il tribunale ha invece riconosciuto che il dato letterale della norma sopra citata si riferisce alle somme erogate in favore di soggetti sprovvisti del requisito della cittadinanza italiana o comunitaria, senza che sia indicato alcun limite temporale. Anzi proprio perché la ratio della norma è quella di sanare una prassi ambigua dell’amministrazione “che attraverso comunicazioni discordanti aveva favorito la presentazione delle domande da parte degli stranieri” una interpretazione costituzionalmente orientata della norma ne impone la sua applicazione anche ai casi di erogazione successivi alla sua entrata in vigore. Infatti, distinguere i beneficiari a seconda della data di erogazione ne determinerebbe una disparità di trattamento, in violazione dell’art. 3 della Costituzione.

In ogni caso, anche prescindendo dalla possibilità o meno di applicare la sanatoria, il bonus bebè costituisce una prestazione sociale finalizzata al sostegno delle famiglie, sicché la sua attribuzione ai soli cittadini italiani o comunitari costituisce un comportamento discriminatorio, in violazione del principio di parità di trattamento previsto dall’art 3 del D.lgs. 215/2003. Non solo ma il tribunale ha anche affermato che attribuire un trattamento differenziato, seppure solo indirettamente basato sulla nazionalità, è in contrasto con i principi fondamentali le norme imperative del diritto dell’Unione e in particolare con l’art. 14 Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e l’art. 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione.

Ordinanza del Tribunale di Monza

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