Lettera aperta dell’ASGI sulla proposta del bus separato per i rom

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La proposta di istituire una linea di autobus separata per i rom, avanzata dal sindaco di Borgaro Torinese appare illegittima, inutile e addirittura dannosa rispetto all’obiettivo della tutela della sicurezza. La crescente esclusione sociale che ne deriva, infatti, non solo comporta la violazione di diritti fondamentali nei confronti delle persone coinvolte, ma rischia di favorire ulteriormente quei comportamenti illegali che si intendono contrastare.

La questione della sicurezza sui mezzi di trasporto e più in generale della sicurezza urbana è un problema grave, che va affrontato con interventi efficaci e nel pieno rispetto dei diritti fondamentali. La proposta di istituire una linea di autobus separata per i rom, avanzata dal sindaco di Borgaro Torinese la scorsa settimana per porre rimedio al reiterarsi di comportamenti aggressivi messi in atto sulla linea 69 e attribuiti a persone rom, non sembra andare in questa direzione.

Tale proposta, infatti, appare non solo illegittima, ma anche inutile e addirittura dannosa rispetto all’obiettivo della tutela della sicurezza.

Illegittima, in quanto istituire due linee separate, una per i rom e l’altra per i non rom, sarebbe evidentemente una misura discriminatoria.

Occorre ricordare che l’art. 3, comma 1 della Costituzione vieta ogni distinzione fondata sulla lingua, sulla razza e sulla condizione personale o sociale e che le persone rom e sinte appartengono a condizioni giuridiche molto diverse (cittadini italiani, cittadini di altri Stati membri dell’UE, cittadini di Stati non appartenenti all’UE, rifugiati, apolidi).

Lo status definito di “separati ma uguali”, introdotto dalle leggi statunitensi (c.d. di Jim Crow) fino al 1965 e che prevedeva la segregazione tra bianchi e neri nei servizi pubblici, fu dichiarato incostituzionale in base al principio di eguaglianza sostanziale.

In Italia, tale principio, previsto dall’art. 3, comma 2 della Costituzione della Repubblica Italiana, è oggi corroborato dal solido apparato giuridico dell’Unione Europea, che l’Italia ha recepito. In particolare va ricordato il Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 215 che attua la Direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica in varie aree, tra cui l’accesso a beni e servizi (art. 3, lett i).

La proposta del sindaco di Borgaro appare inoltre inefficace rispetto all’obiettivo di tutelare la sicurezza, in quanto colpisce indistintamente tutta la comunità rom che usufruisce della linea 69, senza intervenire nei confronti degli individui autori di reato (siano essi rom o non rom), che invece potranno continuare ad agire indisturbati sugli autobus e altrove.

Va infine considerato come tutte le misure che vanno nella direzione di una contrapposizione su base etnica e di una sempre maggiore segregazione e stigmatizzazione della “comunità rom” rafforzino ulteriormente gli atteggiamenti di rifiuto e ostilità da parte della società maggioritaria nei confronti di questa minoranza, rendendo così sempre più difficile per i cittadini rom intraprendere un percorso di inclusione sociale (trovare un lavoro, una casa ecc.), oltre a impedire a queste persone di sentirsi membri di una società fondata su regole uguali per tutti. Tali effetti si producono anche quando proposte come quelle del sindaco di Borgaro non vengono messe in atto, ma solo annunciate come “provocazione” e successivamente amplificate dai media. La crescente esclusione sociale che ne deriva non solo comporta la violazione di diritti fondamentali nei confronti delle persone coinvolte, ma rischia di favorire ulteriormente quei comportamenti illegali che si intendono contrastare.

Questi rischi sono stati anche evidenziati dalla Strategia nazionale d’inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti, adottata dal Governo italiano il 28 febbraio 2012 e presentata alla Commissione europea, nella quale si dichiara “necessario superare l’approccio di tipo assistenzialista e/o emergenziale ed attuare misure adeguate e specifiche, affinché siano pienamente affermati l’uguaglianza, la parità di trattamento (art. 3 della Costituzione italiana) e la titolarità dei diritti fondamentali e dei doveri inderogabili (art. 2 della Costituzione italiana).”

Anziché indulgere in provocazioni populistiche, ci sembra che le strade da percorrere siano essenzialmente due.

In primo luogo, è urgente che lo Stato adempia al suo fondamentale dovere di garantire la sicurezza di tutti coloro che vivono sul suo territorio. Come è stato da più parti fatto notare, è difficilmente comprensibile come le istituzioni preposte alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza (tra cui il Sindaco che è per legge autorità locale di pubblica sicurezza) abbiano potuto consentire che la situazione sulla linea 69 arrivasse a un tale punto di disagio.

La stessa inadempienza circa la tutela della sicurezza delle persone, va sottolineato, si registra quando le vittime di violenze sono persone rom: ad esempio le famiglie che vivono nel campo autorizzato di v. Germagnano, gestito dal Comune di Torino, sono state nell’ultimo anno oggetto di ripetute aggressioni all’interno del campo stesso, senza che le istituzioni intervenissero a protezione delle vittime, così come nel 2011 le autorità di pubblica sicurezza non impedirono che alcuni “cittadini arrabbiati” dessero fuoco al campo della Continassa, mentre vi erano ancora persone nelle baracche.

Il Nucleo Nomadi della Polizia Municipale della Città di Torino conta una quarantina di agenti impegnati solo ed esclusivamente nei “campi nomadi”, quindi non pare trattarsi di un problema di mancanza di risorse. Sembra piuttosto che i “campi nomadi” (e dintorni) siano spesso considerati dalle autorità come “aree extraterritoriali”, dove le leggi non valgono.

E’ urgente che le istituzioni competenti tutelino la sicurezza individuale di ogni persona indipendentemente dalla sua cittadinanza o appartenenza etnica e contrastino i comportamenti che violano la legge, a prescindere dall’appartenenza etnica degli autori dei reati, e sempre nel rispetto dei diritti fondamentali.

In secondo luogo, è cruciale prevenire i comportamenti illegali, superando la logica emergenziale e affrontandone le cause profonde.

Fino a quando i mezzi di comunicazione continueranno a rappresentare i rom soltanto come “nomadi” (ormai soltanto una minoranza di rom vive in una vita in situazione itinerante) o come criminali; fino a quando i proprietari di casa rifiuteranno di locare a uno “zingaro”, ancorché in possesso di un regolare contratto di lavoro; fino a quando lo Stato italiano continuerà a costruire “campi nomadi” segregati dal resto della popolazione e non cancellerà le conseguenze derivanti dallo stato di emergenza proclamato dal Governo Berlusconi a causa della ’“emergenza nomadi”, poi dichiarato illegittimo dal Consiglio di Stato con sentenza n. 6050 del 16 novembre 2011 confermata dalla Corte di Cassazione nel 2013 e durante la quale, lo ricordiamo, sono state prese impronte digitali alle persone che vivevano nei “campi nomadi”, inclusi i cittadini italiani e i bambini; fino a quando un sindaco, per reagire ai comportamenti aggressivi di alcuni abitanti di un campo, non disporrà interventi di tutela della sicurezza dei viaggiatori di una linea di autobus, ma riterrà legittimo e politicamente redditizio proporre di istituire una linea di autobus separata, di fatto criminalizzando l’intera popolazione rom e suggerendo l’idea che l’unica soluzione è la separazione tra comunità etniche, inevitabilmente molte persone rom non potranno sentirsi davvero parte di questa società, cittadini titolari di pari diritti e doveri.

Comportamenti come quelli registrati sulla linea 69 spesso nascono proprio da questo senso di “non appartenenza”. E’ un problema che riguarda molte minoranze altamente discriminate ed emarginate e non ha nulla a che vedere con una supposta “cultura rom” che accetterebbe tali comportamenti come tradizionali e renderebbe la comunità rom inidonea a vivere integrata in una società fondata su regole essenziali da osservare.

Individuare queste radici profonde non significa in alcun modo giustificare i comportamenti illegali che, lo ribadiamo, vanno perseguiti e contrastati, le cui conseguenze negative comunque devono ricadere soltanto su ogni persona che compia azioni illegali, visto che la responsabilità penale è personale (art. 25 della Costituzione), e non certo anche su tutti gli altri appartenenti ad una medesimo gruppo.

Si vuole invece attirare l’attenzione sul fatto che, per prevenire tali comportamenti, è necessario mettere in atto politiche che promuovano efficacemente l’inclusione sociale delle persone che vivono in condizioni di emarginazione e segregazione e farle sentire parte di una società in cui davvero, come prevede l’art. 3 della Costituzione, tutti i cittadini siano eguali di fronte alla legge e abbiano pari opportunità di partecipazione economica, sociale e politica alla vita di questo Paese.

Foto: Flickr – Giorgio Raffaelli

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