Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sentenza del 14 gennaio 2015, n. 128

Un permesso di lungo periodo, in base alle disposizioni interne e comunitarie, viene rilasciato a tempo indeterminato, ed è revocabile solo nei casi ivi previsti, tra i quali, allo stato, non rientra il mancato possesso di redditi adeguati, e la correlativa insufficiente contribuzione al sistema sociale.

N. 00128/2015 REG.PROV.COLL.

N. 02124/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2124 del 2014, proposto da:
XXX, rappresentato e difeso dall’avv. Livio Neri, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Viale Regina Margherita, 30;

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, Questura di Milano, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Milano, Via Freguglia, 1;

per l’annullamento

del provvedimento n. 4186/2014 Imm., Id. 644385 del 29.5.2014, notificato al ricorrente in data 19.6.2014, con il quale il Questore della Provincia di Milano ha revocato il permesso UE per soggiornanti di lungo periodo del ricorrente, e di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali.

Visti il ricorso ed i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno – Questura di Milano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2014 il dott. Mauro Gatti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con il provvedimento impugnato la Questura di Milano ha revocato il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato al ricorrente in data 7.2.2009, in conseguenza della mancanza di redditi in capo al medesimo, fermi all’aprile 2010.

L’Amministrazione resistente si è costituita in giudizio, insistendo per il rigetto del ricorso, in rito e nel merito.

Con ordinanza n. 1232/14 il Tribunale ha accolto la domanda cautelare.

All’udienza pubblica del 19.12.2014 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il ricorso va accolto.

I.1) Osserva il Collegio che a fondamento del provvedimento impugnato vi è la mancata percezione di redditi da parte del ricorrente, successivamente al rilascio, in suo favore, del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, ciò che, per l’appunto, ha dato luogo alla sua revoca. In primo luogo, secondo l’Amministrazione resistente, “il riscontro della mancanza di redditi da un così protratto e continuato lasso di tempo rivela come la sua integrazione sociale non si sia mai effettivamente compiuta”, ciò che configurerebbe il presupposto per l’esercizio del potere di revoca di cui all’art. 21 quinquies della L. n. 241/90.

I.2) Ritiene tuttavia il Collegio che l’operato dell’Amministrazione, come sopra evidenziato, sia illegittimo, in quanto contrastante con quanto previsto dall’art. 8 della Direttiva 2003/109/CE, e dall’art. 9 del D.Lgs. n. 286/98 che ha recepito tale disposizione nell’ordinamento interno, secondo i quali lo status di soggiornante di lungo periodo è permanente, potendo essere revocato nei casi previsti dal comma 4 del cit. art. 9, ossia qualora lo straniero sia pericoloso per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato, e non invece, come accaduto nel caso di specie, a fronte della mera mancanza di redditi in capo al medesimo.

La specialità della disciplina in materia di autotutela dettata dal D.Lgs. n. 286/98, rispetto ai principi generali enunciati dalla L. n. 241/90, è già stata affermata in più occasioni in giurisprudenza, sebbene fino ad ora con riferimento al rapporto tra l’art. 5 c. 5 D.Lgs. n. 286/98 e l’art. 21 nonies L. n. 241 (T.A.R. Liguria, Sez. II, 28.3.2012 n. 438, C.S., Sez. VI, 16.12.2010 n. 9029, T.A.R. Toscana, Sez. II, 27.6.2011 n. 1083), e va pertanto logicamente confermata anche nel caso di specie, non essendovi alcuna ragione per discostarsi da tale orientamento. Al contrario, come già evidenziato, l’art. 9 D.Lgs. n. 286/98 circoscrive espressamente la facoltà di revoca della carta di soggiorno ai soli casi ivi indicati, non potendo pertanto trovare applicazione la disciplina generale di cui all’art. 21 quinquies L. n. 241/90, invece erroneamente invocata nel provvedimento impugnato. Diversamente ragionando, e pertanto ritenendo che, malgrado il citato art. 9 consenta la revoca della carta di soggiorno solo nei casi in cui lo straniero costituisca una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale, l’Amministrazione possa intervenire in autotutela anche a fronte di un’insufficienza di redditi da parte del medesimo, facendo applicazione dell’art. 21 quinquies cit., si violerebbe altresì la normativa comunitaria, gerarchicamente sovraordinata, ed in particolare l’art. 8 della Direttiva 2003/109/CE, in quanto fedelmente trasposto nello stesso art. 9 D.Lgs. n. 286/98.

II.1) Oltreché con riferimento al potere di revoca di cui all’art. 21 cit., il provvedimento impugnato giustifica le proprie statuizioni affermando che “la mancata produzione di reddito, in totale assenza di altre legittime fonti di ricchezza, fa ritenere che il Sig. XXX abbia realizzato un’evidente evasione fiscale”, ciò che, ulteriormente, giustificherebbe la revoca impugnata, “visto che il compito di scoprire e punire questi comportamenti illeciti è affidato alla pubblica amministrazione in generale”.

II.2) Osserva tuttavia il Collegio che, in disparte a quanto già affermato, le predette considerazioni, peraltro fondate su mere supposizioni, non possono rilevare ai fini dell’adozione del provvedimento impugnato, che sotto tale aspetto è viziato da eccesso di potere per sviamento, consistente infatti nell’effettiva e comprovata divergenza fra l’atto e la sua funzione tipica, ovvero nell’esercizio del potere per finalità diverse da quelle enunciate dal legislatore con la norma attributiva dello stesso (C.S. Sez. VI, 3.7.2014 n. 3355). Se è infatti pur vero che l’Amministrazione procedente, laddove ritenga essere in presenza di fattispecie riconducibili alla “evasione fiscale”, debba avviare i relativi procedimenti repressivi e sanzionatori, è altrettanto indubbio che una presunta, e non accertata, violazione degli obblighi tributari, non può legittimamente essere posta a fondamento di un provvedimento, come quello di specie, regolato da una normativa che attribuisce all’Amministrazione la disciplina della permanenza dei cittadini stranieri sul territorio nazionale, incidendo sul relativo status, senza che pertanto la finalità di perseguire eventuali illeciti fiscali, peraltro tutt’altro che appannaggio dei soggetti destinatari delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 286/98, possa pregiudicarne l’applicazione.

II.3) Con riferimento poi alle peculiarità del caso di specie, il Collegio osserva che il ricorrente ha espressamente indicato i nominativi delle aziende che si sarebbero rifiutate di regolarizzare i rapporti di lavoro intrattenuti con il medesimo (v. pag. n. 3), allegando altresì documentazione volta a comprovare il concreto svolgimento degli stessi.

Quanto precede avrebbe dovuto indurre l’Amministrazione a dubitare fortemente che, nella fattispecie, l’evasione fiscale fosse imputabile all’attuale ricorrente, come invece affermato nel provvedimento impugnato, secondo cui la stessa sarebbe stata “una scelta” del medesimo, essendo invece plausibile che l’istante abbia subito le scelte di altri, ciò che comunque l’Amministrazione può verificare, avendo il ricorrente corredato le proprie affermazioni da documentazione e nominativi delle ditte interessate.

III.1) Osserva ancora il Collegio che la Questura di Milano, nella propria nota del 19.6.2014 (all. n. 17), illustra e sviluppa ulteriormente le ragioni che inducono la stessa, in linea generale, a revocare i permessi i soggiorno rilasciati a soggiornanti di lungo periodo che non percepiscano più redditi. Tali soggetti, cessando di produrre o comunque di denunciare redditi “hanno smesso di contribuire alla spesa per i servizi pubblici, pur avvantaggiandosi delle elargizioni, che spesso sono legate proprio alla titolarità di un permesso di lungo periodo”.

III.2) Osserva il Collegio che i predetti argomenti della Questura, sebbene espressione di condivisibili preoccupazioni in ordine alla tenuta dell’attuale sistema sociale, a fronte del fenomeno migratorio, sono tuttavia di natura metagiuridica, e come tali inidonei a configurare una legittima base normativa all’esercizio della revoca di un permesso di lungo periodo che invece, come detto, in base alle disposizioni interne e comunitarie, viene rilasciato a tempo indeterminato, ed è revocabile solo nei casi ivi previsti, tra i quali, allo stato, non rientra il mancato possesso di redditi adeguati, e la correlativa insufficiente contribuzione al sistema sociale.

In conclusione, il ricorso va pertanto accolto.

Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio, in considerazione dell’innovatività delle questioni.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e per l’effetto annulla il provvedimento in epigrafe impugnato.

Spese compensate, salvo il rimborso del contributo unificato in favore del ricorrente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2014 con l’intervento dei magistrati:

Domenico Giordano, Presidente

Elena Quadri, Consigliere

Mauro Gatti, Primo Referendario, Estensore

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 14/01/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)