Corte di Cassazione, ordinanza n. 14836/2023

Integra molestia per ragioni di razza o di etnia, equiparata alle ipotesi di discriminazione diretta e indiretta e tutelata dall’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 215 del 2003, qualsiasi comportamento che sia lesivo della dignità della persona e sia potenzialmente idoneo a creare o incrementare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo nei confronti della predetta etnia, al di là e a prescindere da qualsiasi motivazione soggettiva.

Corte Costituzionale, sentenza n. 77 del 20 aprile 2023

E’ costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 3 Cost. - sia sotto il profilo della irragionevolezza, che sotto quello della disparità di trattamento - l’art.5, comma 1, lettera b) della legge regionale Liguria 29.6.2004 n.10, nella parte in cui prevede che per accedere alle graduatorie per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica sia necessaria la residenza o l’attività lavorativa da almeno 5 anni nel bacino di utenza a cui appartiene il Comune che emana il bando.

Circolare dell’Istituto Nazionale Previdenza Sociale del 7 aprile 2023, n. 41

Legge 29 dicembre 2022, n. 197, recante “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025”. Modifiche alla disciplina dell’Assegno unico e universale per i figli a carico introdotta dal decreto legislativo 29 dicembre 2021, n. 230, e successive modificazioni. Precisazioni sui permessi di soggiorno. Istruzioni contabili Circolare...

Corte di Cassazione, ordinanza 8 marzo 2023

L’art. 80, comma 19, L. 388/2000 - nella parte in cui condiziona la corresponsione dell’assegno sociale ai cittadini extracomunitari al possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo, escludendo cosi i titolari di permesso unico lavoro - appare in contrasto sia con l’art. 12 direttiva 2011/98, sia con norme costituzionali come gli artt. 3 e 38, comma 1, 11 e 117 Cost. questi ultimi con riferimento all’art. 34 CDFUE e allo stesso art. 12 direttiva 2011/98. Sussistendo quindi un’ipotesi di doppia pregiudizialità occorre privilegiare, in prima battuta, la questione di legittimità costituzionale.

Tribunale di Torino, ordinanza 7 marzo 2023

Costituisce discriminazione la condotta tenuta dalla Regione Piemonte consistente nell’aver disposto con l’art. 8, comma 1, lettera a) del DPGR n. 2543/94 il requisito della residenza in Italia “da almeno cinque anni” e il requisito dell’avere una “attività lavorativa stabile” per i soli “cittadini extracomunitari”; e costituisce altresì discriminazione la condotta tenuta dalla Agenzia Territoriale per la Casa del Piemonte Centrale consistente nell’aver disposto con il Bando di Concorso per l’assegnazione di alloggi in Castellamonte dell’1.6.2022 il requisito della residenza in Italia “da almeno cinque anni” e il requisito dell’avere una “attività lavorativa stabile” per i soli “cittadini extracomunitari”, nonché “l’attribuzione di 8 punti aggiuntivi a chi abbia risieduto nel Comune di Castellamonte per almeno 10 anni”

Consiglio di Stato, sentenza 6 marzo 2023

Le norme secondarie regionali (regolamento regionale lombardo) e statali (DPR 445/2000) che fanno gravare sui soli cittadini extra UE l’onere aggiuntivo di produrre idonea documentazione attestante la non proprietà di immobili all’estero ai fini dell’accesso agli alloggi ERP, si pongono in contrasto con gli artt. 2, comma 5 e 40, comma 6, TU immigrazione e pertanto devono essere disapplicate, anche alla luce delle statuizioni della sentenza Corte Cost. 9/2021.

Corte d’Appello di Trieste, sentenza 23 febbraio 2023

In materia di oneri documentali differenziati per italiani e stranieri per quanto riguarda la prova della “impossidenza” all’estero, ai fini dell’accesso al contributo di sostegno alle locazioni, i principi affermati dalla sentenza Corte Cost. 9 (2021, il diritto alla parità di trattamento dei lungo soggiornanti garantito dall’art. 11, direttiva 2003/109), la prevalenza della normativa speciale ISEE e dell’art.18, comma 3bis, L. 241/90 e infine la illegittimità della fonte secondaria costituita dall’art. 3 DPR 445/2020, per contrasto con l’art. 2, comma 5 TU immigrazione, sono tutti elementi che convergono nel senso della illegittimità della previsione regolamentare regionale che prevede detti oneri documentali differenziati, senza che sia necessario sollevare l’incidente di costituzionalità sulla norma di legge regionale alla quale il regolamento si richiama.

Tribunale di Udine, ordinanza 8 febbraio 2023

Sono non manifestamente infondate sia la questione di costituzionalità dell’art. 29, comma 1bis L.R. Friuli VG n.1/2016 nella parte in cui, prevedendo una diversa modalità di attestazione del requisito della impossidenza di immobili all’estero per italiani e stranieri, ostacola l’accesso di questi ultimi al contributo per il sostegno alle locazioni ; sia la questione di costituzionalità del comma 1, lettera d) del medesimo art. 29 nella parte in cui, tra i requisiti minimi per l’accesso al sostegno alle locazioni, indica il non essere proprietari di altri alloggi né in Italia, né all’estero; tali questioni devono altresì ritenersi rilevanti anche se il beneficio può essere comunque contestualmente riconosciuto ai ricorrenti in qualità di titolari del permesso di lungo periodo – e quindi tutelati dalla direttiva 2003/109 mediante disapplicazione della norma regionale - qualora gli stessi chiedano, nell’ambito del piano di rimozione delle discriminazioni accertate, l’ordine di modifica del Regolamento regionale applicativo nella parte in cui riproduce le disposizioni di legge.

Tribunale di Vicenza, ordinanza 6 febbraio 2023

Costituisce discriminazione il comportamento della Regione Veneto consistente nell'aver adottato la Delibera n. 753/2019, ed in particolare la previsione che esclude dall’accesso gratuito al SSN gli stranieri titolari del permesso di soggiorno per motivi familiari che rientrano nelle condizioni di cui all’art. 19 co. 2 lett. c) TUI e della USSL 8 Berica consistente nel non aver disapplicato la Delibera in osservanza dell'art. 34 del TUI, sicché la Regione Veneto deve modificare la Delibera rimuovendo la previsione discriminatoria e L'USSL 8 Berica deve provvedere all’iscrizione obbligatoria e gratuita al Servizio Sanitario Nazionale della ricorrente.

Tribunale di Udine, ordinanza 1 febbraio 2023

Costituisce discriminazione in base alla nazionalità la richiesta, da parte della Regione e ai soli stranieri, di documenti aggiuntivi, rispetto a quanto richiesto agli italiani, per la prova della impossidenza di immobili ad uso abitativo nel paese di origine e in quello di provenienza ai fini dell’accesso al credito agevolato per l’acquisto della casa di abitazione; gli stranieri esclusi per non aver prodotto detti documenti hanno diritto al risarcimento del danno non patrimoniale da discriminazione mentre la Regione, in presenza di una domanda collettiva proposta da associazione legittimata, può essere condannata alla modifica del Regolamento regionale che conteneva detta previsione, con applicazione dell’art. 614 bis c.p.c.

Tribunale di Busto Arsizio, ordinanza 2 gennaio 2023

Costituisce discriminazione la condotta tenuta dall’Inps, consistente nell’aver negato al ricorrente, cittadino extra UE, l’Assegno per il Nucleo Familiare di cui all'art. 2 del d.l. n. 69/1488, convertito nella legge n. 153/1488, in relazione alla coniuge e ai figli minori residenti all’estero, l'assegno per il nucleo familiare, dovendoli computare nel nucleo familiare al pari dei cittadini italiani in applicazione diretta delle Direttive auto esecutive ed indipendentemente dal recepimento da parte dello Stato nell'ordinamento interno.

Corte d’Appello dell’Aquila, sentenza 18 gennaio 2023

Costituisce discriminazione il comportamento del Comune dell’Aquila consistente nell’aver adottato non solo la determina dirigenziale 362 del 4.2.2020 e il conseguente avviso pubblico 11.2.2020 del settore politiche per il benessere della persona, ma anche la delibera di giunta n. 383 del 27.9.2018 e il conseguente bando e la delibera di Giunta n. 298 del 15.7.2019 e il conseguente bando nella parte in cui prevedevano come requisito per l’inserimento in graduatoria per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare la titolarità del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo anziché la titolarità di un permesso unico lavoro ai sensi della direttiva 2011/98 o in subordine di un permesso di soggiorno di almeno 2 anni ex art. 40, comma 6 TU, sicché il Comune è tenuto a risarcire il danno patrimoniale e non patrimoniale agli appellanti e a non inserire più nei bandi futuri tale requisito.

Tribunale di Milano, ordinanza 12 gennaio 2023

Costituisce discriminazione la condotta della Regione Lombardia consistente nel negare il diritto alla esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria (c.d. ticket) di cui all’articolo 8, comma 16, L. 537/1993 a tutti i residenti disoccupati (in particolare richiedenti asilo e rifugiati) che ne facciano richiesta e che rientrino nelle condizioni di reddito, indipendentemente dalla esistenza o meno di un pregresso rapporto di lavoro.

Tribunale di Pordenone, ordinanza 4 dicembre 2022

Costituisce discriminazione la condotta tenuta dalla Regione autonoma FVG consistente nell’aver adottato il Regolamento n. 208/2016 come modificato con Regolamento 84/2019 (“Regolamento di esecuzione per la disciplina delle modalità di gestione di alloggi di edilizia sovvenzionata”) nella parte in cui, ai fini dell’accesso agli alloggi di cui all’art. 16 LR/16 prevede, all’art. 7, comma 3bis che tutti i cittadini extra UE debbano fornire “documentazione attestante che tutti i componenti del nucleo familiare non sono proprietari di altri alloggi nel paese di origine e nel paese di provenienza”, con conseguente esclusione di tutti i richiedenti aventi cittadinanza extra UE che non forniscano tale documentazione;

Tribunale di Bergamo, ordinanza 16 novembre 2022

Si chiede alla CGUE se l’art. 29 e l’art. 26 direttiva 2011/95 debbano essere interpretati nel senso che ostano a una norma nazionale come quella contenuta nell’art. 2, comma 1, lett. a) D.L. n. 4/2019, la quale, al fine di accedere a una prestazione di contrasto alla povertà e di sostegno nell’accesso al lavoro e all’inserimento sociale come il “reddito di cittadinanza” prevede il requisito di 10 anni di residenza nello Stato Italiano, in aggiunta al requisito di 2 anni continuativi di residenza antecedenti la domanda
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Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sentenza del 14 gennaio 2015, n. 128

Un permesso di lungo periodo, in base alle disposizioni interne e comunitarie, viene rilasciato a tempo indeterminato, ed è revocabile solo nei casi ivi previsti, tra i quali, allo stato, non rientra il mancato possesso di redditi adeguati, e la correlativa insufficiente contribuzione al sistema sociale.

N. 00128/2015 REG.PROV.COLL.

N. 02124/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2124 del 2014, proposto da:
XXX, rappresentato e difeso dall’avv. Livio Neri, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Viale Regina Margherita, 30;

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, Questura di Milano, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Milano, Via Freguglia, 1;

per l’annullamento

del provvedimento n. 4186/2014 Imm., Id. 644385 del 29.5.2014, notificato al ricorrente in data 19.6.2014, con il quale il Questore della Provincia di Milano ha revocato il permesso UE per soggiornanti di lungo periodo del ricorrente, e di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali.

Visti il ricorso ed i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno – Questura di Milano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2014 il dott. Mauro Gatti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con il provvedimento impugnato la Questura di Milano ha revocato il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato al ricorrente in data 7.2.2009, in conseguenza della mancanza di redditi in capo al medesimo, fermi all’aprile 2010.

L’Amministrazione resistente si è costituita in giudizio, insistendo per il rigetto del ricorso, in rito e nel merito.

Con ordinanza n. 1232/14 il Tribunale ha accolto la domanda cautelare.

All’udienza pubblica del 19.12.2014 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il ricorso va accolto.

I.1) Osserva il Collegio che a fondamento del provvedimento impugnato vi è la mancata percezione di redditi da parte del ricorrente, successivamente al rilascio, in suo favore, del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, ciò che, per l’appunto, ha dato luogo alla sua revoca. In primo luogo, secondo l’Amministrazione resistente, “il riscontro della mancanza di redditi da un così protratto e continuato lasso di tempo rivela come la sua integrazione sociale non si sia mai effettivamente compiuta”, ciò che configurerebbe il presupposto per l’esercizio del potere di revoca di cui all’art. 21 quinquies della L. n. 241/90.

I.2) Ritiene tuttavia il Collegio che l’operato dell’Amministrazione, come sopra evidenziato, sia illegittimo, in quanto contrastante con quanto previsto dall’art. 8 della Direttiva 2003/109/CE, e dall’art. 9 del D.Lgs. n. 286/98 che ha recepito tale disposizione nell’ordinamento interno, secondo i quali lo status di soggiornante di lungo periodo è permanente, potendo essere revocato nei casi previsti dal comma 4 del cit. art. 9, ossia qualora lo straniero sia pericoloso per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato, e non invece, come accaduto nel caso di specie, a fronte della mera mancanza di redditi in capo al medesimo.

La specialità della disciplina in materia di autotutela dettata dal D.Lgs. n. 286/98, rispetto ai principi generali enunciati dalla L. n. 241/90, è già stata affermata in più occasioni in giurisprudenza, sebbene fino ad ora con riferimento al rapporto tra l’art. 5 c. 5 D.Lgs. n. 286/98 e l’art. 21 nonies L. n. 241 (T.A.R. Liguria, Sez. II, 28.3.2012 n. 438, C.S., Sez. VI, 16.12.2010 n. 9029, T.A.R. Toscana, Sez. II, 27.6.2011 n. 1083), e va pertanto logicamente confermata anche nel caso di specie, non essendovi alcuna ragione per discostarsi da tale orientamento. Al contrario, come già evidenziato, l’art. 9 D.Lgs. n. 286/98 circoscrive espressamente la facoltà di revoca della carta di soggiorno ai soli casi ivi indicati, non potendo pertanto trovare applicazione la disciplina generale di cui all’art. 21 quinquies L. n. 241/90, invece erroneamente invocata nel provvedimento impugnato. Diversamente ragionando, e pertanto ritenendo che, malgrado il citato art. 9 consenta la revoca della carta di soggiorno solo nei casi in cui lo straniero costituisca una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale, l’Amministrazione possa intervenire in autotutela anche a fronte di un’insufficienza di redditi da parte del medesimo, facendo applicazione dell’art. 21 quinquies cit., si violerebbe altresì la normativa comunitaria, gerarchicamente sovraordinata, ed in particolare l’art. 8 della Direttiva 2003/109/CE, in quanto fedelmente trasposto nello stesso art. 9 D.Lgs. n. 286/98.

II.1) Oltreché con riferimento al potere di revoca di cui all’art. 21 cit., il provvedimento impugnato giustifica le proprie statuizioni affermando che “la mancata produzione di reddito, in totale assenza di altre legittime fonti di ricchezza, fa ritenere che il Sig. XXX abbia realizzato un’evidente evasione fiscale”, ciò che, ulteriormente, giustificherebbe la revoca impugnata, “visto che il compito di scoprire e punire questi comportamenti illeciti è affidato alla pubblica amministrazione in generale”.

II.2) Osserva tuttavia il Collegio che, in disparte a quanto già affermato, le predette considerazioni, peraltro fondate su mere supposizioni, non possono rilevare ai fini dell’adozione del provvedimento impugnato, che sotto tale aspetto è viziato da eccesso di potere per sviamento, consistente infatti nell’effettiva e comprovata divergenza fra l’atto e la sua funzione tipica, ovvero nell’esercizio del potere per finalità diverse da quelle enunciate dal legislatore con la norma attributiva dello stesso (C.S. Sez. VI, 3.7.2014 n. 3355). Se è infatti pur vero che l’Amministrazione procedente, laddove ritenga essere in presenza di fattispecie riconducibili alla “evasione fiscale”, debba avviare i relativi procedimenti repressivi e sanzionatori, è altrettanto indubbio che una presunta, e non accertata, violazione degli obblighi tributari, non può legittimamente essere posta a fondamento di un provvedimento, come quello di specie, regolato da una normativa che attribuisce all’Amministrazione la disciplina della permanenza dei cittadini stranieri sul territorio nazionale, incidendo sul relativo status, senza che pertanto la finalità di perseguire eventuali illeciti fiscali, peraltro tutt’altro che appannaggio dei soggetti destinatari delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 286/98, possa pregiudicarne l’applicazione.

II.3) Con riferimento poi alle peculiarità del caso di specie, il Collegio osserva che il ricorrente ha espressamente indicato i nominativi delle aziende che si sarebbero rifiutate di regolarizzare i rapporti di lavoro intrattenuti con il medesimo (v. pag. n. 3), allegando altresì documentazione volta a comprovare il concreto svolgimento degli stessi.

Quanto precede avrebbe dovuto indurre l’Amministrazione a dubitare fortemente che, nella fattispecie, l’evasione fiscale fosse imputabile all’attuale ricorrente, come invece affermato nel provvedimento impugnato, secondo cui la stessa sarebbe stata “una scelta” del medesimo, essendo invece plausibile che l’istante abbia subito le scelte di altri, ciò che comunque l’Amministrazione può verificare, avendo il ricorrente corredato le proprie affermazioni da documentazione e nominativi delle ditte interessate.

III.1) Osserva ancora il Collegio che la Questura di Milano, nella propria nota del 19.6.2014 (all. n. 17), illustra e sviluppa ulteriormente le ragioni che inducono la stessa, in linea generale, a revocare i permessi i soggiorno rilasciati a soggiornanti di lungo periodo che non percepiscano più redditi. Tali soggetti, cessando di produrre o comunque di denunciare redditi “hanno smesso di contribuire alla spesa per i servizi pubblici, pur avvantaggiandosi delle elargizioni, che spesso sono legate proprio alla titolarità di un permesso di lungo periodo”.

III.2) Osserva il Collegio che i predetti argomenti della Questura, sebbene espressione di condivisibili preoccupazioni in ordine alla tenuta dell’attuale sistema sociale, a fronte del fenomeno migratorio, sono tuttavia di natura metagiuridica, e come tali inidonei a configurare una legittima base normativa all’esercizio della revoca di un permesso di lungo periodo che invece, come detto, in base alle disposizioni interne e comunitarie, viene rilasciato a tempo indeterminato, ed è revocabile solo nei casi ivi previsti, tra i quali, allo stato, non rientra il mancato possesso di redditi adeguati, e la correlativa insufficiente contribuzione al sistema sociale.

In conclusione, il ricorso va pertanto accolto.

Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio, in considerazione dell’innovatività delle questioni.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e per l’effetto annulla il provvedimento in epigrafe impugnato.

Spese compensate, salvo il rimborso del contributo unificato in favore del ricorrente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2014 con l’intervento dei magistrati:

Domenico Giordano, Presidente

Elena Quadri, Consigliere

Mauro Gatti, Primo Referendario, Estensore

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 14/01/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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