Tribunale di Trento, sentenza 19 settembre 2023

Costituisce una discriminazione diretta individuale, per violazione dell'art. 12 della direttiva 98/2011, la condotta dell’I.N.P.S consistente nell'aver negato la corresponsione dell’AUU, ritenendo non rientrasse, tra i requisiti soggettivi idonei a consentire al cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione Europea l’accesso alla suddetta prestazione, la titolarità del permesso di soggiorno per attesa occupazione ex art. 22 co.11 d.lgs. 286/1998 ed ex art. 37 co. 5 d.P.R.394/1999 e costituisce discriminazione diretta collettiva la condotta con cui l’I.N.P.S., mediante il messaggio n. 2951 del 25/07/2022 ha ritenuto che: “Non possono invece essere inclusi nella platea dei beneficiari i titolari dei seguenti permessi: Attesa occupazione (art. 22 del D.lgs n. 286/1998 e successive modificazioni; art. 37 D.P.R. n. 394/1999 e successive modificazioni)…”, con conseguente pregiudizio per i cittadini degli Stati non appartenenti all’Unione Europea che, essendo in possesso del citato permesso di soggiorno in attesa di occupazione, non hanno presentato domanda di corresponsione dell’AUU perché dissuasi dall’orientamento interpretativo espresso dall’Istituto;

Tribunale di Roma, ordinanza del 6 giugno 2023

Il Tribunale di Roma riconosce la cittadinanza italiana ex art. 4 co. 2 l. 91/92 ad una ragazza neomaggiorenne priva di permesso di soggiorno e di iscrizione anagrafica continuativa, affermando in maniera chiara che il possesso del permesso di soggiorno non costituisce elemento necessario ai fini del riconoscimento della cittadinanza. In particolare il Tribunale chiarisce...

Corte di Cassazione, ordinanza n. 14836/2023

Integra molestia per ragioni di razza o di etnia, equiparata alle ipotesi di discriminazione diretta e indiretta e tutelata dall’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 215 del 2003, qualsiasi comportamento che sia lesivo della dignità della persona e sia potenzialmente idoneo a creare o incrementare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo nei confronti della predetta etnia, al di là e a prescindere da qualsiasi motivazione soggettiva.

Corte Costituzionale, sentenza n. 77 del 20 aprile 2023

E’ costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 3 Cost. - sia sotto il profilo della irragionevolezza, che sotto quello della disparità di trattamento - l’art.5, comma 1, lettera b) della legge regionale Liguria 29.6.2004 n.10, nella parte in cui prevede che per accedere alle graduatorie per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica sia necessaria la residenza o l’attività lavorativa da almeno 5 anni nel bacino di utenza a cui appartiene il Comune che emana il bando.

Circolare dell’Istituto Nazionale Previdenza Sociale del 7 aprile 2023, n. 41

Legge 29 dicembre 2022, n. 197, recante “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025”. Modifiche alla disciplina dell’Assegno unico e universale per i figli a carico introdotta dal decreto legislativo 29 dicembre 2021, n. 230, e successive modificazioni. Precisazioni sui permessi di soggiorno. Istruzioni contabili Circolare...

Corte di Cassazione, ordinanza 8 marzo 2023

L’art. 80, comma 19, L. 388/2000 - nella parte in cui condiziona la corresponsione dell’assegno sociale ai cittadini extracomunitari al possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo, escludendo cosi i titolari di permesso unico lavoro - appare in contrasto sia con l’art. 12 direttiva 2011/98, sia con norme costituzionali come gli artt. 3 e 38, comma 1, 11 e 117 Cost. questi ultimi con riferimento all’art. 34 CDFUE e allo stesso art. 12 direttiva 2011/98. Sussistendo quindi un’ipotesi di doppia pregiudizialità occorre privilegiare, in prima battuta, la questione di legittimità costituzionale.

Tribunale di Torino, ordinanza 7 marzo 2023

Costituisce discriminazione la condotta tenuta dalla Regione Piemonte consistente nell’aver disposto con l’art. 8, comma 1, lettera a) del DPGR n. 2543/94 il requisito della residenza in Italia “da almeno cinque anni” e il requisito dell’avere una “attività lavorativa stabile” per i soli “cittadini extracomunitari”; e costituisce altresì discriminazione la condotta tenuta dalla Agenzia Territoriale per la Casa del Piemonte Centrale consistente nell’aver disposto con il Bando di Concorso per l’assegnazione di alloggi in Castellamonte dell’1.6.2022 il requisito della residenza in Italia “da almeno cinque anni” e il requisito dell’avere una “attività lavorativa stabile” per i soli “cittadini extracomunitari”, nonché “l’attribuzione di 8 punti aggiuntivi a chi abbia risieduto nel Comune di Castellamonte per almeno 10 anni”

Consiglio di Stato, sentenza 6 marzo 2023

Le norme secondarie regionali (regolamento regionale lombardo) e statali (DPR 445/2000) che fanno gravare sui soli cittadini extra UE l’onere aggiuntivo di produrre idonea documentazione attestante la non proprietà di immobili all’estero ai fini dell’accesso agli alloggi ERP, si pongono in contrasto con gli artt. 2, comma 5 e 40, comma 6, TU immigrazione e pertanto devono essere disapplicate, anche alla luce delle statuizioni della sentenza Corte Cost. 9/2021.

Corte d’Appello di Trieste, sentenza 23 febbraio 2023

In materia di oneri documentali differenziati per italiani e stranieri per quanto riguarda la prova della “impossidenza” all’estero, ai fini dell’accesso al contributo di sostegno alle locazioni, i principi affermati dalla sentenza Corte Cost. 9 (2021, il diritto alla parità di trattamento dei lungo soggiornanti garantito dall’art. 11, direttiva 2003/109), la prevalenza della normativa speciale ISEE e dell’art.18, comma 3bis, L. 241/90 e infine la illegittimità della fonte secondaria costituita dall’art. 3 DPR 445/2020, per contrasto con l’art. 2, comma 5 TU immigrazione, sono tutti elementi che convergono nel senso della illegittimità della previsione regolamentare regionale che prevede detti oneri documentali differenziati, senza che sia necessario sollevare l’incidente di costituzionalità sulla norma di legge regionale alla quale il regolamento si richiama.

Tribunale di Udine, ordinanza 8 febbraio 2023

Sono non manifestamente infondate sia la questione di costituzionalità dell’art. 29, comma 1bis L.R. Friuli VG n.1/2016 nella parte in cui, prevedendo una diversa modalità di attestazione del requisito della impossidenza di immobili all’estero per italiani e stranieri, ostacola l’accesso di questi ultimi al contributo per il sostegno alle locazioni ; sia la questione di costituzionalità del comma 1, lettera d) del medesimo art. 29 nella parte in cui, tra i requisiti minimi per l’accesso al sostegno alle locazioni, indica il non essere proprietari di altri alloggi né in Italia, né all’estero; tali questioni devono altresì ritenersi rilevanti anche se il beneficio può essere comunque contestualmente riconosciuto ai ricorrenti in qualità di titolari del permesso di lungo periodo – e quindi tutelati dalla direttiva 2003/109 mediante disapplicazione della norma regionale - qualora gli stessi chiedano, nell’ambito del piano di rimozione delle discriminazioni accertate, l’ordine di modifica del Regolamento regionale applicativo nella parte in cui riproduce le disposizioni di legge.

Tribunale di Vicenza, ordinanza 6 febbraio 2023

Costituisce discriminazione il comportamento della Regione Veneto consistente nell'aver adottato la Delibera n. 753/2019, ed in particolare la previsione che esclude dall’accesso gratuito al SSN gli stranieri titolari del permesso di soggiorno per motivi familiari che rientrano nelle condizioni di cui all’art. 19 co. 2 lett. c) TUI e della USSL 8 Berica consistente nel non aver disapplicato la Delibera in osservanza dell'art. 34 del TUI, sicché la Regione Veneto deve modificare la Delibera rimuovendo la previsione discriminatoria e L'USSL 8 Berica deve provvedere all’iscrizione obbligatoria e gratuita al Servizio Sanitario Nazionale della ricorrente.

Tribunale di Udine, ordinanza 1 febbraio 2023

Costituisce discriminazione in base alla nazionalità la richiesta, da parte della Regione e ai soli stranieri, di documenti aggiuntivi, rispetto a quanto richiesto agli italiani, per la prova della impossidenza di immobili ad uso abitativo nel paese di origine e in quello di provenienza ai fini dell’accesso al credito agevolato per l’acquisto della casa di abitazione; gli stranieri esclusi per non aver prodotto detti documenti hanno diritto al risarcimento del danno non patrimoniale da discriminazione mentre la Regione, in presenza di una domanda collettiva proposta da associazione legittimata, può essere condannata alla modifica del Regolamento regionale che conteneva detta previsione, con applicazione dell’art. 614 bis c.p.c.

Tribunale di Busto Arsizio, ordinanza 2 gennaio 2023

Costituisce discriminazione la condotta tenuta dall’Inps, consistente nell’aver negato al ricorrente, cittadino extra UE, l’Assegno per il Nucleo Familiare di cui all'art. 2 del d.l. n. 69/1488, convertito nella legge n. 153/1488, in relazione alla coniuge e ai figli minori residenti all’estero, l'assegno per il nucleo familiare, dovendoli computare nel nucleo familiare al pari dei cittadini italiani in applicazione diretta delle Direttive auto esecutive ed indipendentemente dal recepimento da parte dello Stato nell'ordinamento interno.

Corte d’Appello dell’Aquila, sentenza 18 gennaio 2023

Costituisce discriminazione il comportamento del Comune dell’Aquila consistente nell’aver adottato non solo la determina dirigenziale 362 del 4.2.2020 e il conseguente avviso pubblico 11.2.2020 del settore politiche per il benessere della persona, ma anche la delibera di giunta n. 383 del 27.9.2018 e il conseguente bando e la delibera di Giunta n. 298 del 15.7.2019 e il conseguente bando nella parte in cui prevedevano come requisito per l’inserimento in graduatoria per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare la titolarità del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo anziché la titolarità di un permesso unico lavoro ai sensi della direttiva 2011/98 o in subordine di un permesso di soggiorno di almeno 2 anni ex art. 40, comma 6 TU, sicché il Comune è tenuto a risarcire il danno patrimoniale e non patrimoniale agli appellanti e a non inserire più nei bandi futuri tale requisito.
Numero dei documenti:

Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza del 23 novembre 2017, n. 5449

L’esistenza di una condanna, per quanto relativa ad un reato grave e tale da comportare allarme sociale, non è ritenuta dall’art. 5, comma 5, cit., di per sé sufficiente a giustificare il diniego del rinnovo del permesso di soggiorno, così esonerando dall’onere di ulteriore motivazione, qualora sussistano legami familiari ed una stabile permanenza in Italia.

Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza del 23 novembre 2017, n. 5449


 

N. 05449/2017REG.PROV.COLL.

N. 02206/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2206 del 2017, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Rocco Condello, Francesco Mainetti, con domicilio eletto presso lo studio Francesco Mainetti in Roma, piazza Mazzini, 27;

contro

Ministero dell’Interno, Questura -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. LOMBARDIA –-OMISSIS-, resa tra le parti, concernente diniego di rinnovo del permesso di soggiorno di cui al decreto della Questura di-OMISSIS-;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell’Interno e Questura -OMISSIS-;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 ottobre 2017 il Cons. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti l’avvocato Rocco Condello e l’Avvocato dello Stato Alberto Giua;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. La controversia è originata dal diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, opposto dalla Questura di-OMISSIS- all’odierno appellante in ragione dell’esistenza di una condanna per il reato di detenzione e spaccio di un ingente quantitativo di marijuana (commesso a 19 anni), ritenuto ostativo ai sensi degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del d.lgs. 286/1998 (affermandosi anche la mancanza di qualsiasi attività lavorativa e di integrazione sociale, la pessima condotta morale e la pericolosità dello straniero).

2. L’appellante ha impugnato il diniego dinanzi al TAR Lombardia, lamentando la mancata valutazione in concreto dei legami familiari, dell’inserimento sociale e lavorativo e la carenza di motivazione circa la pericolosità sociale.

3. Il TAR Lombardia, con la sentenza appellata (-OMISSIS-), ha respinto il ricorso, sottolineando che non ricorrono circostanze che potrebbero costituire i “sopraggiunti nuovi elementi” previsti dall’art. 5, comma 5, che non rileva lo svolgimento di attività lavorativa (non derivando la preclusione dalla carenza di tale requisito) e che risulta che l’Amministrazione abbia valutato i vincoli familiari.

4. Nell’appello, si prospetta che sia sostanzialmente mancata la valutazione comparativa richiesta dall’art. 5, comma 5, del d.lgs. 286/1998, in quanto:

– la pericolosità sociale è stata affermata sulla base della mancanza di un lavoro, mentre invece l’appellante ha sempre lavorato, e in particolare, in data -OMISSIS-aveva documentato alla Questura il rapporto di lavoro esistente con la -OMISSIS-;

– risulta dalla documentazione che ha iniziato a lavorare nel dicembre del 2013, all’età di 19 anni; ha lavorato durante la permanenza in carcere in maniera ininterrotta dal novembre 2014 al gennaio 2016; ha ricominciato a lavorare nel marzo 2016 durante l’applicazione delle misure alternative alla detenzione; ha proseguito con altra ditta nel settembre 2016 e lavora tutt’oggi (cfr. documenti prodotti in primo grado fasc. odierno appellante da 16 a 21);

– la circostanza che per il periodo marzo 2016- settembre 2016 manchi la relativa contribuzione previdenziale nell’ estratto conto INPS prodotto dalla Questura in primo grado comporterà semmai accertamenti nei confronti del datore di lavoro;

– è stata sottovalutata la presenza in Italia di un nucleo familiare di supporto pienamente integrato, irreprensibile nella condotta, ossequioso delle regole sociali e comunitarie, economicamente stabile; infatti, l’appellante, arrivato in Italia nel 2003, a 10 anni, ha in Italia tutta la famiglia (genitori, con lavoro stabile, e sorella, universitaria), mentre in -OMISSIS-non ha più alcun legame.

5. Inoltre, si sottolinea che l’applicazione dei criteri stabiliti dalla CEDU avrebbe dovuto condurre a diverso esito, ricordando che (come affermato anche dal Consiglio di Stato, con sentenza n. 552/2016) la Corte Europea (cfr. CEDU, GC, 23 giugno 2008, Maslov, punto 71; II, 15 novembre 2012, Shala, punto 45) ritiene che si debbano considerare (1) la natura e la gravità delle infrazioni commesse dal cittadino extracomunitario, (2) la durata del soggiorno, (3) il tempo trascorso dalle infrazioni e la condotta mantenuta nel frattempo, (4) la solidità dei legami sociali, culturali e familiari con lo Stato ospitante e con quello di origine.).

6. L’Amministrazione si è costituita in giudizio con memoria di stile.

7. Con ordinanza n.-OMISSIS-, questa sezione ha sospeso l’esecutività della sentenza, sottolineando la necessità di approfondire la adeguatezza della motivazione del diniego di rinnovo, e la possibilità per la Questura di adottare nelle more ulteriori motivati provvedimenti.

8. Gli unici atti adottati successivamente concernono la concessione, in data -OMISSIS-, della cittadinanza italiana ai genitori ed alla sorella dell’appellante.

9. Il Collegio ribadisce il principio (ribadito dalla Sezione anche con la citata ordinanza cautelare n.-OMISSIS-) secondo il quale la valutazione comparativa richiesta dall’art. 5, comma 5, del d.lgs. 286/1998, qualora l’intero nucleo familiare dello straniero sia radicato in Italia e non vi sia alcun legame nel Paese d’origine, non può limitarsi a postulare la prevalenza delle esigenze di tutela della collettività, in ragione delle caratteristiche del reato commesso, ma deve anche formulare un giudizio prognostico ex ante circa la verosimile probabilità che la condotta illecita sia reiterata dallo stesso trasgressore con la conseguente diffusione di un ulteriore allarme sociale (cfr. Cons. Stato, III, n. 4492/2016).

Nel caso in esame, detto principio non è stato applicato (o, quanto meno, il provvedimento impugnato non contiene al riguardo un’adeguata motivazione).

Infatti, da un lato gli elementi di fatto esposti e documentati dall’appellante non sono stati confutati. Dall’altro, nessun elemento oggettivo, oltre alla condanna, è stato prospettato e tantomeno documentato a carico dell’appellante, e, soprattutto, è mancata la valutazione comparativa richiesta dalla norma.

Nel diniego impugnato, al riguardo, si legge (soltanto) “… la gravità del reato commesso fa prevalere l’esigenza di proteggere la collettività dalla presenza di soggetti socialmente pericolosi mettendo in secondo piano il principio della tutela del nucleo familiare.”.

Deve pertanto concludersi che il diniego, al di là delle formule stereotipe (nel caso in esame, come esposto, con tenore meramente assertivo), non evidenzia che gli elementi forniti dall’appellante circa il proprio cambiamento di vita, sulla base dello svolgimento continuativo di attività lavorativa a partire dal periodo trascorso in carcere (e, a quanto sembra, sino ad epoca recente – cfr. buste paga relative ai mesi di giugno e luglio 2017, versate in atti), siano stati specificamente considerati e ponderati.

Tuttavia, si ripete, l’esistenza di una condanna, per quanto relativa ad un reato grave e tale da comportare allarme sociale, non è ritenuta dall’art. 5, comma 5, cit., di per sè sufficiente a giustificare il diniego, così esonerando dall’onere di ulteriore motivazione, qualora sussistano legami familiari ed una stabile permanenza in Italia.

10. L’appello deve pertanto essere accolto, con riforma della sentenza appellata ed annullamento del diniego impugnato in primo grado.

La Questura di -OMISSIS- è conseguentemente tenuta a rivalutare la posizione dell’appellante e ad adottare riguardo all’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno un nuovo motivato provvedimento.

11. Considerata la natura e l’esito della controversia, le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso proposto in primo grado ed annulla il provvedimento con esso impugnato.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 ottobre 2017 con l’intervento dei magistrati:

Marco Lipari, Presidente

Umberto Realfonzo, Consigliere

Massimiliano Noccelli, Consigliere

Pierfrancesco Ungari, Consigliere, Estensore

Giorgio Calderoni, Consigliere

L’ESTENSOREIL PRESIDENTE
Pierfrancesco UngariMarco Lipari

IL SEGRETARIO

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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