Sin dal suo avvio l’approccio hotspot ha portato a sistematiche privazioni de facto della libertà personale, nella fase di identificazione, estese a tutti i cittadini stranieri presenti nell’ottica di identificare e classificare rapidamente tutte le persone in arrivo, e talvolta, sistematicamente nel caso di Lampedusa, nelle fasi successive propedeutiche al trasferimento e all’incanalamento nelle procedure di accoglienza o di rimpatrio. Le aperte violazioni della normativa e, soprattutto, la grave lesione dei diritti individuali che tali prassi hanno comportato sono state rapidamente normalizzate e accettate da tutti gli attori coinvolti., tra cui le istituzioni competenti, gli enti di tutela e l’ente gestore dei centri che tendono a rappresentare gli hotspot come luoghi detentivi tout court.
La condizione di fatto che vivono i cittadini stranieri, inclusi minori e soggetti vulnerabili, durante la permanenza presso gli hotspot ha tutte le caratteristiche della privazione della libertà personale, ricadente nella disciplina dell’art. 13 della Costituzione attuata tuttavia in assenza di qualsiasi garanzia. Con riferimento all’hotspot di Lampedusa, in tempi e contesti diversi, di fronte alla sistematica chiusura del cancello d’ingresso, soggetto a sorveglianza da parte dei militari e delle autorità di pubblica sicurezza, e all’assenza di regolamentazione dell’ingresso e dell’uscita dalla struttura, l’unica possibile reazione da parte dei cittadini stranieri illegittimamente trattenuti era l’utilizzo, in alcune circostanze, di una modalità informale, e tutt’affatto tutelante del rispetto di una libertà fondamentale, di uscita, ovvero un’apertura nella recinzione perimetrale, oggi chiusa nell’ambito dei lavori di ristrutturazione del centro. Una modalità discrezionalmente tollerata dalle autorità competenti a seconda delle esigenze contingenti di contenimento. Le persone continuano ad essere soggette a chiusura fisica e a regimi di controllo e limitazioni particolarmente rigidi, in condizioni materiali inadeguate e di forte sovraffollamento e di promiscuità, con picchi anche di più di 1000 persone e per tempi variabili[1].
Un trattenimento che resta privo di base giuridica anche alla luce delle novità introdotte dalla l. 132/2018, e confermate dal c.d. Decreto Lamorgese, che hanno fatto pensare, in un primo momento, a una formalizzazione delle prassi detentive[2]. Cosi come non è prevista una convalida davanti ad un giudice per il trattenimento in hotspot e non esistono rimedi giurisdizionali specifici per poter contestare le condizioni di vita in tali centri.
Conseguentemente, continua a riprodursi la medesima situazione fattuale verificatasi a Lampedusa nel 2011 e che ha portato la Corte EDU con la nota sentenza Khlaifia nel 2016 a condannare l’Italia per la violazione dell’art. 5 Cedu, commi 1, 2 e 4 in relazione al trattenimento privo di base legale e di garanzie di tre cittadini tunisini trattenuti nel 2011, dapprima presso il Centro di soccorso e prima accoglienza (Cspa) di Contrada Imbriacola (oggi hotspot) a Lampedusa, e poi a bordo delle navi Vincent e Audacia. Inoltre riscontrava la violazione dell’art. 13 Cedu, in combinato disposto con l’art. 3 Cedu, in ragione dell’assenza di rimedi per contestare le condizioni del trattenimento.
Successivamente alla sentenza si è aperta una procedura rafforzata di supervisione sull’attuazione della decisione della Corte EDU da parte del Comitato dei Ministri, finalizzata a esaminare, attraverso una serie di revisioni annuali, le misure adottate dall’Italia per evitare il reiterarsi delle medesime violazioni che hanno condotto alla condanna.
Vari gli interventi del governo italiano atti a rappresentare che tutte le misure volte ad evitare il ripetersi delle violazioni che avevano condotto alla condanna dell’Italia fossero state adottate al fine di ottenere la chiusura della procedura[3].
Varie le denunce della società civile in merito alle prassi illegittime attuate nell’ambito dell’approccio hotspot[4] e gli interventi della società civile in questo procedimento attraverso l’invio di comunicazioni[5], al fine di portare all’attenzione del Comitato dei ministri le varie violazioni del diritto alla libertà personale che venivano osservate negli hotspot e della necessità di proseguire nella supervisione, ai sensi della Rule 9.2 delle Rules of the Committee of Ministers of the Council of Europe for the supervision of the execution of judgments and the terms of friendly settlements.
Tuttavia, il 2 dicembre 2021 il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa decide di chiudere la procedura nonostante lo Stato italiano continui a non prevedere diritti e garanzie nel sistema hotspot perseguendo nelle prassi illegittime condannate dalla Corte.
Pubblichiamo in questa pagina le comunicazioni inviate e le denunce redatte nell’ambito della procedura di supervisione al fine di ricostruire il quadro in merito alla prassi, ancora gravemente attuale, di trattenimento illegittimo in hotspot:
- Nota di approfondimento redatta da ASGI, A Buon Diritto Onlus e CILD in merito alla chiusura della procedura di supervisione
- Comunicazione ASGI, A buon Diritto e CILD e replica del Governo italiano del 12 ottobre 2021
- Comunicazione ASGI, A buon Diritto e CILD e replica del Governo italiano del 28 ottobre 2021
- Comunicazione CILD 27 gennaio 2021
- Comunicazione ASGI e A Buon Diritto Onlus 27 gennaio 2021
- Nota di approfondimento redatta da ASGI, A Buon Diritto Onlus e CILD in merito alle comunicazioni inviate nel gennaio 2021 e alla decisione di marzo 2021 del Comitato dei Ministri di prosecuzione della procedura: 2016-2021: Cambiano i governi, ma non le violazioni dei diritti negli hotspot
- Comunicazione CILD 28 febbraio 2020
- Comunicazione AIRE, DCR, ECRE, ICJ 5 settembre 2019
- Comunicazione ASGI e A Buon Diritto Onlus 13 agosto 2019
- Comunicazione ASGI 20 febbraio 2019
- Comunicazione Progetto In Limine 16 luglio 2018
Qui è possibile visionare anche le valutazioni attuate nell’ambito della procedura di supervisione da parte del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa e i posizionamenti del Governo.
Si segnalano alcuni saggi di approfondimento in materia:
- A. Massimi, F. Ferri, L’attualità del caso Khlaifia. Gli hotspot alla luce della legge 132/2018: la politica della detenzione extralegale continua, in Questione e Giustizia
- Santoro, G. (2020), The Contemporary Relevance of Khlaifia and others v. Italy, in Border Criminologies
- Bisignano, L. and Santoro, G. (2021). The Case of Khlaifia 2011-2021: 10 years of human rights violations in Italian hotspots, in Border Criminologies
- G. Felici, M. Gancitano, La detenzione dei migranti negli hotspot italiani: novità normative e persistenti violazioni della libertà personale, in Sistema Penale, 27 gennaio 2022
[1] Si veda https://inlimine.asgi.it/hotspot-di-lampedusa-sempre-piu-un-luogo-di-confinamento-chiuso-anche-il-buco-nella-recinzione/.
[2] Per approfondimenti si veda: https://inlimine.asgi.it/affare-delloggi-e-del-domani-il-trattenimento-dei-richiedenti-tra-norma-e-prassi/.
[3] Si veda da ultimo https://hudoc.exec.coe.int/eng#{%22EXECIdentifier%22:[%22DH-DD(2021)1062E%22]}.
[4] A titolo esemplificativo si vedano: https://www.medicisenzafrontiere.it/news-e-storie/news/lampedusa-approccio-emergenziale-poco-efficiente/; https://www.borderlinesicilia.it/monitoraggio/lampedusa-e-lemergenza-infinita/.
[5] Per approfondimento in merito a tale possibilità di azione si veda: https://www.einnetwork.org/rule-9-submission-guide.