Con la sentenza del 10 settembre 2015 la Corte di Giustizia Europea conferma che l’accesso alla professione notarile non può essere riservato ai cittadini.
La Corte si era già espressa in tal senso nel 2011 in una serie di sentenze con le quali aveva statuito che gli Stati membri dell’UE non possono riservare ai loro cittadini l’accesso alla professione notarile: tale riserva sarbbe infatti in contrasto con la libertà di stabilimento dei cittadini di altri Paesi membri dell’UE, tutelata dall’art 49 TFUE nonché con il divieto di discriminazioni fondate sulla cittadinanza.
Nella sentenza in commento, relativa alla Lettonia, la CGUE ha confermato tali principi, affermando che la professione notarile è una libera professione che viene svolta in regime di concorrenza (e pertanto soggetta all’art.49 TFUE) e che, stante le attività svolte dai notai in Lettonia, essi non partecipano direttamente e specificamente all’esercizio di pubblici poteri.
Quanto alla eccezione prevista dall’art. 51 TFUE, che consente di sottrarre al principio di liberà di circolazione le attività che partecipano all’esercizio di pubblici poteri, la Corte ritiene che tale eccezione non sia applicabile ai notai: le attività notarili infatti, come definite negli Stati membri interessati nelle cause esaminate (Belgio, Francia, Lussemburgo, Austria, Germania, Grecia, Portogallo e dal ultimo Lettonia), benché perseguano certamente obiettivi di interesse generale, non possono considerarsi incluse nella predetta eccezione.
Per giungere a tale conclusione la Corte ha interpretato l’eccezione in maniera estremamente rigorosa. Infatti, benché il testo della norma preveda che le attività escluse dalla libera concorrenza siano “le attività che in tale stato partecipano, sia pure occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri”, la Corte ha sempre ritenuto, stante il rilievo del principio di libera circolazione, che per potervi derogare occorre che l’esercizio dei pubblici poteri non si affatto occasionale. La limitazione è infatti “consentita solo per quelle attività che “costituiscono una partecipazione diretta e specifica all’esercizio dei pubblici poteri” (CGUE – Sentenza Reyners punti 44 – 45)” e che “sono pertanto da escludere tutte quelle attività che sono svolte nell’interesse generale o che costituiscono un ausilio o una collaborazione al funzionamento della pubblica autorità”.
Per quanto riguarda l’Italia, fino al 2003, l’accesso alla professione di notaio era riservato ai cittadini italiani (Legge n. 89 del 16 febbraio 1913, art.5). Con l’art.6 lettera a) della L. 31 ottobre 2003 n.306 l’accesso alla professione è stato esteso ai cittadini comunitari ma l’art 11 DPR 137 del 2012 (“regolamento recante la riforma degli ordinamenti professionali a norma dell’art. 3, comma 5 DL 138/11) ha confermato l’esclusione degli altri stranieri.
Ancora oggi dunque i cittadini extra UE in Italia come in gran parte dei paesi europei, non possono accedere alla professione notarile: l’apertura del pubblico impiego ad alcune categorie di stranieri (intervenuta con la L. 97/2013 che ha modificato l’art. 38 Dlgs 165/01) non è certamente estendibile per analogia a una libera professione come quella del notaio, mentre la norma sulla liberalizzazione delle libere professioni (art. 3 DL 138 del 13.8.11 convertito in L.148 del 14.9.2011 e rubricato “Abrogazione delle indebite restrizioni all’accesso e all’esercizio delle professioni e delle attività economiche”) è di rango primario e ammette pertanto deroghe specifiche come quella contenuta appunto nella L. 89/13 e 306/03.
Tuttavia proprio l’interpretazione data dalla CGUE all’art. 51 TFUE e alle deroghe ivi previste consente di porre un problema relativo ai lungosoggiornanti.
La direttiva 2003/109, laddove all’art. 11 fissa il principio di parità di trattamento, contiene anche il riferimento all’accesso alle libere professioni. Tuttavia sia con riferimento all’accesso al lavoro subordinato, sia con riferimento all’accesso alle libere professioni, precisa che la parità di trattamento nell’accesso a una attività lavorativa autonoma o subordinata è garantita purché questa non implichi, nemmeno in via occasionale, la partecipazione all’esercizio di pubblici poteri, nonché le condizioni di assunzione e lavoro, ivi comprese quelle di licenziamento e retribuzione”.
L’espressione utilizzata per derogare al principio di parità con riferimento all’esercizio di pubblici poteri è dunque analoga a quella utilizzata nell’art. 51 TFUE: “nemmeno in via occasionale” nella direttiva; “sia pure occasionalmente” nella direttiva.
Dunque se la CGUE ha dato di tale ultima espressione una interpretazione restrittiva è giocoforza ritenere che la medesima interpretazione debba essere data alla seconda e che pertanto ogni qualvolta l’esercizio dei poteri sia “occasionale” dovranno essere ammessi sia i cittadini comunitari sia i lungosoggiornanti.
In effetti tale impostazione ha avuto un riscontro in giurisprudenza con la ordinanza del Tribunale di Milano (ordinanza 29.8.2013, est. Dossi) che ha riconosciuto il diritto di uno straniero lungosoggiornante ad accedere all’esame per la professione di consulente del lavoro.
Commento a cura di Anna Baracchi e Alberto Guariso